E' difficile per il centrosinistra ricomporre i cocci (di Giuseppe Florio)..
Il vecchio centrosinistra è morto, ma il nuovo centrosinistra non è ancora nato: e, forse, non rinascerà mai più. È questo, in estrema sintesi, lo stato dell’arte dello schieramento progressista dopo oltre 4 anni di amministrazione del medesimo segno ed a pochi mesi dalle elezioni di primavera.
Della coalizione che riuscì a governare dopo le due clamorose vittorie di Enzo Incalza non restano che cocci: fondata su uno schema classico – Sel ala sinistra, il Pd centravanti, le liste Ferrarese e Vizzino a centrocampo – , oggi è trasfigurata. Il centro è un moncherino, ridotto ad un minimo peso consiliare con l’estromissione del movimento civico intestato al sindacalista in seguito al rimpasto dello scorso dicembre. Il rapporto tra Sel e Pd è invece quello di due estranei costretti alla convivenza, come accade nei matrimoni fasulli finalizzati all’ottenimento della cittadinanza. Con l’aggravante, se la straniera non è disponibile alle voglie del partner, di guardarsi in cagnesco, o di arrivare ad odiarsi.
Così le trasposizioni dei partiti di Vendola e Renzi sono giunti al conto finale: e se sia nato prima l’uovo o la gallina, se le responsabilità ricadano in capo all’uno o all’altro è praticamente impossibile stabilirlo. Certo è che due forze politiche che al momento (perché il destino della giunta Scoditti è ancora incerto) governano insieme, domani saranno prima «competitors» e poi avversari.
Sfasciandosi l’attuale formula di centrosinistra, è facile scommettere che non ne gemmeranno due più piccini, come per mitosi: l’identità progressista verrà quindi dissipata, in favore della nascita di nuovi soggetti politici, la cui qualità e consistenza è tutta ancora da dimostrare. L’autocandidatura di Pompeo Molfetta origina proprio da un’esplicita volontà di ripudiare gli steccati ideologici e di abbracciare la città ed i civismi: dalle prime reazioni delle forze in campo, si può prevedere la costituzione di un «rassemblement» di liste non immediatamente riconducibili a partiti di ispirazione nazionale. Oltre alla stessa Sel, dovrebbero sostenerlo la Lista Vizzino, una lista di centro che farà capo al consigliere comunale Omar Ture ed all’assessore Gianfrancesco Castrignanò; ma potrebbero anche sostenerlo movimenti civici destrogiri come Mesagne Futura. Ma: attenzione, se l’appello di Molfetta rivolto originariamente alla città per ottenere un consenso vasto e trasversale per la sua «rivoluzione felice» dovesse cadere nel vuoto o essere inefficace, la prima filiazione del fu centrosinistra si rivelerà un guazzabuglio, peraltro di difficile comprensione.
D’altro canto, il Pd, isolato dai propri partner tradizionali, cercherà – come già sta cercando di fare ora – di ricreare le condizioni per rifondare il centrosinistra pur in assenza degli ingredienti richiesti dalla ricetta. Ed ecco il pressing su Maria De Guido, dissidente sellina, affinché prenda in mano le redini del partito vendoliano o per l’abbandono del partito da parte del deputato Matarrelli, o per la sua estromissione per mano di «Nichi il gentile». Ed ecco anche i conciliaboli con i moderati di ProgettiAmo Mesagne, plausibili surrogati di un centro che sembra tutto da inventare. Pure questa ipotesi – forse l’unica possibile per la sopravvivenza del Pd – corre il rischio, se non ben apparecchiata, di risultare poco credibile. E, stando così le cose, non saranno i grillini locali e il loro puntuale cicaleccio a destare preoccupazione: ma il partito dell’astensionismo, che potrebbe impartire una lezione memorabile.
Giuseppe Florio