Tutti insieme appassionatamente per cambiare le sorti della cittadina (di Giuseppe Florio).

Qualcuno tra i più salaci commenta a caldo: «Mille partecipanti per gli organizzatori, 500 per la questura, 50 per il Partito Democratico». Il primo incontestabile dato è invece proprio quello dell'affluenza: la presentazione della coalizione “Diamoci una mano” e del candidato sindaco Pompeo Molfetta è stata un successo autentico, trasformandosi in una inattesa festa di popolo.

Il primo colpo d'occhio fa strano: sul palco dell'auditorium una foto di gruppo sancisce il patto tra le diverse componenti, ammiccano e sorridono tra loro uomini e donne di destra e sinistra, vecchi moderati, giovanissimi, in un pout-pourri che può leggersi come il ribaltamento delle formule tradizionali o, agli occhi dei detrattori, come un indigeribile minestrone. Per ogni lista civica – Mesagne Futura, Mesagne al centro, Lista Vizzino, Pompeo Sindaco, La mia città, Mesagne domani – un rappresentante spiega succintamente le ragioni dello stare insieme.
Spetta – con una modalità inedita - al provetto psicologo e formatore Alessandro Rubino delineare le tracce principali del programma e colpisce nel segno: evoca la riscoperta dell'orgoglio di essere mesagnesi, la necessità di investire sui «plus» che appartengono alla storia della comunità cittadina, annuncia l'impegno unanime dei movimenti che sostengono il progetto politico a scommettere su un programma sobrio e cioè realizzabile e concretamente partecipato.
Poi è la volta di Pompeo Molfetta, alla fine dei conti la «festa» è stata organizzata per lui. Raggiunge il microfono in preda ad una emozione inusitata, poi imbastisce l'intervento ponendosi alcune provocatorie domande (quelle che gli rivolgerebbe un avversario) e rispondendosi con franchezza ed un pizzico di umorismo: «Chi te lo ha fatto a fare? Che cos'è questa frittura mista? Non dirmi che questa cosa la fai per il tuo paese?». I venti minuti di intervento sono di formidabile efficacia, ma non per abilità oratoria, è l'autodafè di Molfetta che conquista e convince la platea. Fair play verso il principale competitor (inseguitore?) Ninni Mingolla («Facciamogli un applauso, è un mio amico ed è una persona perbene») ma non verso il PD: «Quando fu per Scoditti mi chiesero di rinunciare alle primarie, ora invece le pretendevano, la verità vera è che nel loro DNA non è previsto un candidato diverso, li ho sostenuti per 30 anni ma quando ti avvicini all'argenteria ti tagliano le mani...».
Sul senso politico della coalizione offre le risposte migliori: «Destra e sinistra insieme? Una frittura mista? Lo vedremo. Intanto però sappiamo che non sempre gli schemi tradizionali funzionano, il centrosinistra che ha sostenuto Scoditti ne è la prova negativa, una coalizione solida sulla carta e dopo 15 giorni già non ci parlavamo più. “Diamoci una mano” ha un valore politico significativo che poggia sull'assoluta identità degli intenti programmatici ed ha una connotazione popolare forte ed omogenea. E poi, noi siamo l'unica “cosa” che ha aggregato, il PD è riuscito soltanto a coalizzarsi con se stesso, gli altri vanno da soli e in ordine sparso». Trasformismo? «Comprendo ed apprezzo chi offre giudizi politici critici ma non chi si cimenta in giudizi morali o della doppia morale: se questa operazione l'avesse realizzata il PD, come in effetti aveva provato a fare, sarebbe stata buona».
Il finale è letteralmente da tripudio: «I nostri figli devono avere una voglia smisurata di partire ed una voglia altrettanto grande di ritornare a Mesagne, si può fare, possiamo immaginare di cambiare!». Così mentre il popolo di Molfetta si accalca per ringraziarlo, si fa strada la figura incerta di quel galantuomo dell'ex sindaco Enzo Incalza: «E' il primo giorno che esco di casa, dopo un po' di mesi di malanni, sono venuto per lui». E il loro abbraccio fa commuovere più di qualcuno.

Giuseppe Florio

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