Sarà lotta all'ultimo voto tra promesse ed atti concreti (di Giuseppe Florio).
Una falsa credenza dipinge ancora l'elettorato del ventunesimo secolo come sprovveduto o addirittura succube dei condizionamenti del potente di turno.
La fama di ingenuità dell'elettore medio ha origine probabilmente nel 1948, anno in cui fu coniato lo slogan «Dio ti vede, Stalin no», intendendo con ciò che l'Altissimo non avrebbe gradito un voto oltrecortina. Da allora molta acqua è passata sotto ai ponti, lo stesso Padreterno negli anni ha mutato il senso dei propri interessi ed il cittadino recatosi nel frattempo troppe volte alle urne ha acquisito esperienza, mestiere, malizia. Il prossimo 30 aprile saranno presentate ufficialmente le liste dei candidati mesagnesi alla carica di consigliere comunale, ma già da alcune settimane le comunità reale e virtuale pullulano di competitor di ogni tipo, vecchie volpi e giovani agnelli (ma anche qualche lupo spelacchiato) in cerca di un posto al sole. Come da tradizione consolidata, si sprecheranno i medici e gli infermieri, non mancheranno avvocati e commercialisti, avanzeranno sindacalisti e titolari di patronato, amministratori di condominio, imprenditori, figure pie sortite da chiese e associazioni di volontariato.
I nullafacenti serviranno a riempire le liste, contorni di polli ben più succulenti. Lo sforzo, come e più di sempre, è infatti quello di candidare soggetti magnetici, in grado cioè per ruolo professionale o per biografia di calamitare massimamente il consenso, autentico feticcio ben prima delle idee, dei progetti, dei programmi. L'elettore contemporaneo è geneticamente mutato anche a Mesagne: ha smesso di temere l'assalto dei candidati, non avverte necessariamente la gratitudine per un vecchio favore o una recente raccomandazione, è consapevole di poter capitalizzare l'occasione, fino a farsi beffe del questuante che lo sollecita al voto. Qui si travalicano i confini della malizia, il cittadino gusta il sapore del sadismo, sfiora la lama della cattiveria.
Con una certa ragione: perché, per una volta, i ruoli si capovolgono, l'umiliazione di dover chiedere per ottenere inverte di segno. Anche il più arrogante dei candidati sa di dover bussare col cappello in mano a casa di chi dovrà esprimere un voto di preferenza. Magari potrà rievocare quella certa cortesia, quella volta che non si è pagato la prestazione professionale, quell'altra in cui sollecitò l'assunzione, quell'altra ancora in cui la pratica fu sveltita. Ma con la affilata certezza che, nel chiuso della cabina elettorale, l'elettore farà i conti soltanto con la propria coscienza, compiendo un rapido bilancio tra frustrazioni e soddisfazione. Perché, ormai è un fatto noto, i voti non possono essere controllati, soprattutto dinanzi ad una pletora di candidati e col meccanismo della doppia preferenza, introdotto per tutelare le cosiddette «quote rosa». Allora al candidato che ancora si ostina a velatamente minacciare: «In via Pacinotti prenderò soltanto i tuoi voti», l'elettore replica in cuor suo con una sonora pernacchia. «E' un periodo in cui finalmente mi diverto un po'», spiega un arguto 35enne con alle spalle un po' di anni di disoccupazione.
«Al momento voterò per tre diversi sindaci, Pompeo perché ha sempre seguito con premura mia madre in ambulatorio, Ninni perché ha continuato a seguirla in ospedale e Sabrina per due ragioni: ha sbrigato le pratiche per l'accompagnamento ed ha un bel paio di gambe». «Ma il gusto non si limita qui», incalza mentre gli baluginano gli occhi. «Ho già promesso il voto ad una mezza dozzina di candidati consiglieri, quasi tutti mi hanno assicurato di darmi una mano a trovare un lavoro, uno invece pretende che lo voti per avermi fatto lavorare qualche mese un paio di anni fa». Per capire, come voterai alla fine della fiera? «Scheda nulla – non ti dico che cosa scarabocchio di solito – o Movimento 5 Stelle».
Giuseppe Florio
(Per questo articolo ringrazio Geusa Massimo)