La gente vuole programmi e non sterili polemiche (di Giuseppe Florio).
Come un regista in attesa della prima, il deputato Toni Matarrelli è in fibrillazione. Il film «Diamoci una mano», ideato e realizzato insieme al candidato sindaco Pompeo Molfetta, è di un genere nuovo.
Per la prima volta a Mesagne, ad esempio, tra i protagonisti mancherà il Pd. Per la prima volta, pezzi di sinistra, di centro e di destra rinunceranno alla propria identità in favore di un vessillo civico.
Piacerà questa pellicola o critica e pubblico la bocceranno?
«Sono convinto che sarà di assoluto gradimento popolare. E non a caso uso questo termine. La matrice della nostra coalizione è assolutamente verace, vuole interpretare le istanze di coloro che fino ad oggi si sono sentiti esclusi o trascurati. E, prima che me lo chiedi, visto che spesso la definisci così, non è un “pastrocchio”, ma un’alleanza solida, motivata, coesa, tra diverse specchiate sensibilità. Quegli stessi soggetti con cui il Pd ha cercato ad ogni costo di allearsi. Anzi, le hanno tentate tutte addirittura con i più destri della destra, quelli di ProgettiAmo Mesagne. Ed oggi, in linea con il vizio della doppia morale, hanno pure da ridire su di noi, dopo aver candidato consiglieri comunali del centrodestra».
L'ipotesi, sempre più verosimile, è che tu entrerai prima o poi nel Pd: proprio in quel partito che per te sembra rappresentare un problema tale da dover rompere l’unità del centrosinistra?
«Il mio ingresso nel Pd non è all’ordine del giorno. E, comunque, che cos'è il Pd? Se parliamo della sezione di Mesagne, posso dire tranquillamente che per me non rappresenta la sinistra. Io ho piena sintonia con quella classe dirigente giovane ma messa ai margini, il Pd è ancora nelle mani di 4 o 5 persone ossessionate dal potere e dalla gestione. Se invece parliamo del Pd di Michele Emiliano, allora si tratta di un riferimento gradito dalla gente: autentico, in grado di risvegliare le coscienze, di ascoltare la gente, di interpretare la vocazione del Mezzogiorno. Se il Pd non sarà questo, sarò molto lontano dall’entrarci».
Perché candidare Molfetta e non una figura più fresca?
«Pompeo Molfetta non è soltanto la mia risposta in termini di assoluta preparazione, passione civile, integrità morale, libertà. Lui, per energie da spendere, è il più giovane e nuovo di tutti, e sono pronto a dimostrare questo paradosso, non soltanto visto il quadro che lo circonda. Saprà pensare adeguatamente a chi oggi soffre per estremo bisogno, a riattivare l’economia, a valorizzare la cultura e la storia di una città».
Che ha il “quadro” che non va?
«Rispondo con pacatezza, ma preciso che non mi interessa partecipare al fuoco delle polemiche perché ai nostri concittadini sono attenti a programmi, idee, prospettive. Mingolla è una persona perbene, è stato un bravo medico ed è un vero peccato che sia andato in pensione. Per il resto, esattamente come è accaduto con Franco Scoditti (che per cambiare un assessore ha impiegato 4 mesi perché tirato per la giacchetta dal Pd), non avrebbe alcuna autonomia politica. Guarini, che ben conosco, è anch’egli una brava persona, ma priva di radicamento, avendo vissuto altrove per tutta la vita. Mi è simpatico ma insiste con una grande bugia: che lui sia uno nuovo. Ha 23 anni più di me, tutti spesi a bazzicare il potere che conta davvero, tanto nei ranghi militari quanto da pensionato (è stato consulente di Finmeccanica). Non ha chances perché è abituato a parlare solo con i ricchi, non sa stare tra la gente».
Un commento almeno sulle tremende bordate che ti ha rivolto Cosimo Faggiano.
«Lui ci ha tenuto e tiene ad essere l’onorevole, io sono e resto Toni per tutti. Abbiamo una storia diversa, parliamo lingue diverse. Quanto mi ha scritto è incomprensibile».
Giuseppe Florio