L’arroganza dei due Mattei (di Homo Videns)
L’estate del 2019 sarà ricordata nella storia politica d’Italia come l’estate dei due Mattei.
Cominciò quello della Lega Nord, l’8 agosto, quando proclamò la marcia balneare su Roma. Terminò il 16 settembre, quando quello toscano proclamò la scissione dal Pd, in nome di una imprecisata missione salvatrice della patria.
Il primo Matteo, l’8 agosto, mise a nudo le mai appagate pulsioni razziste di una parte consistente di italiani. Si sapeva che la società di massa produce sempre nuovi ricchi e nuovi poveri, con enormi conflitti tra tutti; ma soprattutto con enormi rancori tra un indistinto “gruppo” che si sente defraudato da un altro indistinto “gruppo” che viene considerato privilegiato. E questo accade sia in Francia, che negli Usa, che in Russia; diverso il confronto con Cina, Giappone ed altri paesi di cultura diversa da quella “egoistica” del cosiddetto “Occidente”.
Di solito, siamo invidiosi del successo raggiunto dagli altri. Chissà perché ci aspettiamo pure che lo Stato ci metta tutti nelle stesse condizioni di ricchezza; indipendentemente dal fatto che uno se ne stia sul divano, oppure che lavori dalla mattina alla sera.
Questi rancori covano tra di noi ogni giorno, impalpabili, eppure così solidi e operativi; basti pensare al diritto di precedenza ad un incrocio, capace di condurre alle risse più devastanti. Oppure ai lampeggiamenti che rivolgiamo agli automobilisti che ci vengono incontro sull’altra corsia, per avvisarli che più avanti incontreranno un autovelox. Siamo pronti ad ammazzarci tra di noi; e nello stesso tempo siamo pronti a coalizzarci contro il “potere”, rappresentato – nel caso citato – da un autovelox.
Ecco, forse sarò semplicistico, ma le radici del populismo sono queste: i nostri guai non sono mai colpa nostra, sono sempre colpa dei “burocrati in camicia bianca”, dei “poteri forti dell’Europa”. Un disco che si è incantato da almeno un decennio. E che ha fatto strada, molta strada, in Gran Bretagna (che un Masaniello riscuota tanto successo tra i flemmatici britannici desta qualche sorpresa, no? Ci ritorneremo).
Adesso, da quando è scoppiata l’emergenza delle fughe dall’Africa, il livore si è scatenato sugli “africani che ci rubano il lavoro”; e chi lo dice, lo scrive, lo promulga, nasconde il fatto che nelle campagne, nelle fattorie, nessun italiano vuole raccogliere pomodori, o spalare il letame delle vacche e dei porci. I nemici perfetti, allora, sono diventati: gli africani, e la casta. Da anni, ormai, ci viene fatto un continuo lavaggio del cervello su queste cose. E da chi? proprio dalla casta!
L’8 agosto è avvenuto, però un fatto nuovo: il Matteo nord-leghista ha buttato la maschera e si è rivelato per quello che è e vuol essere: il nuovo “Duce”. Molti, prima, avevano fatto finta di non vederlo; a partire dai suoi alleati del governo Conte n.1. E poi intellettuali di calibro, i grandi giornali, le grandi TV. Molti ancora continuano a far finta di non vedere. Ma l’8 agosto è stato chiaro: e l’arroganza non poteva più essere ignorata, sottovalutata.
Così, dopo l’8 agosto, gli anticorpi istituzionali e costituzionali si sono messi in moto; come quando abbiamo l’influenza: gli anticorpi si coalizzano contro il germe infettivo. L’avvocato Conte si è messo alla testa degli anticorpi (in primis Grillo e Renzi); e lo hanno neutralizzato.
L’altro Matteo, che si era subito prestato con umiltà (così sembrava) alla reazione di Conte, il 16 settembre ha rispolverato la sua naturale propensione all’egoismo narcisistico, quello che lo aveva inorgoglito dell’evanescente 41%. Ha deciso di creare un nuovo partito, e di chiamarlo Italia viva; non si capisce perché non lo ha chiamato “Viva l’Italia”, lui che voleva trasformare il Pd in “Partito della nazione”; sarebbe stato più logico, no! Ma forse, ancora non sappiamo come andrà a finire, forse questo è solo un primo nome, un nomignolo, in attesa del nome vero, che potrebbe essere: “Viva Renzi”.
Per adesso, lo scopo sembra essere quello di un ritorno sulla scena politica del famoso personaggio craxiano “Ghino di Tacco”. Qualcuno ricorderà: Bettino Craxi, nel 1985, rappresentava appena il 13 per cento, ma era presidente del Consiglio. Cioè, il suo 13 % era indispensabile per far governare la DC senza l’abbraccio col PCI. E lui usò spregiudicatamente quell’irrisorio 13%. Tanto da firmare gli articoli che scriveva collo pseudonimo “Ghino di Tacco”. Era, costui, un signorotto che possedeva una rocca posta su una strada da dove si doveva per forza passare. E lui impose arrogantemente una gabella sul passaggio di uomini e merci sotto quella rocca.
Sembra che il Matteo da Firenze voglia fare la stessa cosa: imporre un pedaggio per passare sotto i voti della sua pattuglia di parlamentari.
Ecco perché, a mio modesto parere, qualsiasi confronto con le scissioni, e tantomeno con quella che nel ’21 portò alla nascita del Pci, è completamente fuori luogo.
Homo Videns