C’è troppa ignoranza in giro (di Homo Videns)
Sì, da qualche giorno si sta vedendo troppa gente in giro.
Dopo 5 giorni di clausura sono uscito a fare la spesa; e… con mia grande sorpresa, ho visto un traffico un po’ vivace. “Mi son perso qualcosa? – ho pensato – hanno detto che tutto è passato, e non ho capito?”. Quando sono tornato a casa, ho acceso la tv, ma lì dicevano sempre “iorestoacasa”. E allora, che succede? Vediamo.
Tra i comuni mortali, c’è chi si affanna a cercare di capire che cosa ci può succedere se ci prendiamo questo virus. C’è anche chi è convinto di aver capito tutto; e c’è chi se ne frega, e continua a ballare e suonare. Ecco: questo è il risultato della società dello spettacolo. Poi, ci sono quelli che sono colpiti personalmente, che sono colpiti nei propri affetti più intimi. E chi ancora non lo è, spera di non esserlo domani. Abbiamo, comunque, tutti, la speranza di non essere infettati. Ma… c’è troppa ignoranza in giro… e quelli già infetti, purtroppo, non hanno la forza di raccontare quello che hanno passato. E le autorità: non sarebbe meglio che ci dicessero i nomi di quelli che sono morti per il coronavirus? Possono essere persone che conosciamo…
Tra i medici, gli scienziati, i biologi, quelli che sanno, invece; che succede? Sembrerebbe che questo covid-19 sia un grande sconosciuto anche per loro. Il tale scienziato dice che il coronavirus si trasmette per via aerea; un altro dice che solo per contatto; un altro dice che non si trasmette agli animali, né loro lo trasmettono all’uomo; ma qualcun altro riporta dei casi che dimostrano il contrario; non parliamo dei tamponi (servono, non servono); né delle mascherine (tipo 1, 2, 3; solo per i lavoratori della sanità; solo per gli infetti; no: servono per tutti). E la distanza di sicurezza? Un metro, un metro e mezzo? Non lamentiamoci poi se ognuno fa quello che gli pare.
Abbiamo visto che lo stesso atteggiamento di superficialità è stato preso dal primo ministro britannico Boris Johnson (all’inizio); ma poi, quando il virus (forse la Provvidenza) ha colpito proprio lui, allora l’atteggiamento è diventato più guardingo (forse non troppo).
Idem è avvenuto negli Stati Uniti di Trump, dove fino a poche settimane fa il virus era considerato come una fake-news; e oggi (4 aprile 2020) gli infetti americani sono diventati quasi 300.000, in Cina 90.000, 125.000 in Italia e Spagna, 95.000 in Germania, 85.000 in Francia. L’Italia ha il record dei morti: oggi siamo arrivati a 15.000; e nessuno sa spiegare il perché.
Ad oggi, quindi, gli infetti e le vittime stanno maggiormente nei paesi più avanzati; mentre il virus sta facendo disastri nei paesi sottosviluppati (dove le conseguenze sanitarie saranno molto più gravi). Ma già, se guardiamo a ciò che sta succedendo in Ecuador, vediamo che lì il livello di moralità ha toccato il fondo, una cosa inimmaginabile fino a pochi giorni fa…. E bisogna andare tanto lontano? Basta forse guardare più vicino a noi, a Calimera (per ammirare, qui, la prodezza di un medico a danno di un vecchietto di 85 anni).
Torniamo ora a riflettere sul coronavirus, su ciò che avviene in Italia e negli altri paesi avanzati: possibile che non ci siano definizioni scientificamente certe, verificate, confrontate, stabilite e quindi standardizzate? Sì, purtroppo, è possibile. E, quindi, questo vorrà pur significare qualche cosa…
Una cosa immediatamente visibile è la novità assoluta di una epidemia imprevista, imprevedibile, forse mai vista dall’influenza spagnola. Ciò sta mettendo a dura prova i massimi scienziati; ma ci sta anche facendo vedere, in maniera tangibile, come funziona la ricerca scientifica, specialmente nel campo di una disciplina come la medicina. Si fanno ipotesi, si esaminano dati, si fanno analisi, e occorrono competenze biologiche, cliniche, biochimiche, tecnologiche, ma anche storiche. Queste competenze scarseggiano a volte anche tra gli esperti; figuriamoci tra noi comuni mortali. Quello che ci viene detto chiaramente, però, è che si dovrà convivere con il coronavirus. E non sarà un periodo breve.
Purtroppo… c’è ancora troppa ignoranza in giro… Abbiamo capito che cosa significa “convivere con il coronavirus”? Io no, non l’ho capito; ma, se l’ho capito, rabbrividisco. E mi pare di essere in buona compagnia. Allora, perché non cogliere questa occasione per un grande programma di alfabetizzazione sanitaria della popolazione? Sono state inventate le piattaforme per la pubblica istruzione; perché non inventarne altre per l’alfabetizzazione sanitaria di massa? A chi non piacerebbe sapere che cosa sono i virus? Che cosa sono i batteri. Come funzionano le cellule. E gli organismi più complessi. E il corpo umano. Che cos’è l’influenza? Che cos’è stata, per esempio, la cosiddetta “spagnola”? Girano tante cose su internet. Ma una cosa sono le opinioni; altra cosa sono i pareri argomentati, ponderati, verificati e anzitutto fondati sull’autorevolezza non tanto della retorica di chi parla, ma quanto della capacità di argomentare, esporre, semplificare, in poche parole della chiarezza e competenza. Cosa a volte rara, se non assente, perfino nelle conferenze serali della protezione civile.
Alla fine dell’Ottocento, in Italia, oltre ai primi passi della pubblica istruzione, ci furono anche dei progetti di alfabetizzazione finanziati sia da Associazioni filantropiche che dallo Stato; nei primi anni del ‘900 nacquero le biblioteche popolari (una di queste fu quella di Mesagne). Oggi ci sono le Tv, facebook, youtube, ecc. ecc.; e un sacco di biologi, medici, letterati, farmacisti, sia disoccupati, neo-laureati, ma anche in pensione. Invece di investire soltanto sullo spettacolo, si potrebbe pensare a dei programmi di base, ma anche a programmi strutturati per livelli diversi. E tutto questo potrebbe aiutarci a capire la singolare, ma spaventosa, complessità del mondo; ma anche quanto siamo fragili.
È così tanto difficile realizzare qualcosa di simile? Non c’è nessuno che si fa avanti?
(Homo Videns)
PS: che fine hanno fatto i grandiosi progetti di digital library, edu-tainment, e compagnia cantando? o erano soltanto paroloni per gli allocchi?