Partiti Politici Democrazia e Movimenti (di Carmelo Molfetta)
Cum Communistarum Praecepta Vigebant (scusate il latinorum) la vita interna al partito comunista italiano era regolata
dal micidiale “centralismo democratico” di diretta derivazione sovietica.
La granitica compattezza del vecchio PCI era garantita da una ferrea legge interna al partito che nel mentre consentiva una certa vivacità di dibattito, vietava altresì, assolutamente, voci fuori dal coro pena l’espulsione o peggio l’irrisione e l’isolamento.
Secondo una nobile interpretazione del meccanismo, il centralismo democratico doveva servire a tenere insieme il momento del confronto interno con quello unitario per vietare il formarsi di frazioni organizzate: le odiatissime correnti pur ectoplasmaticamente esistenti.
Assolto a tale compito, in realtà, il centralismo democratico era uno strumento liberticida: nessuno vi sfuggiva.
Il tempo scorreva, i Papi cambiavano, i Presidenti degli Stati Uniti si alternavano, in Russia arrivava Gorbaciov e la perestroika, ma il centralismo democratico, in Italia, resisteva al mondo che cambiava.
Il “primato della politica” era la formula con la quale si illudevano di governare i cambiamenti: da principio attuativo della pratica politica sottoposto a verifica quotidiana, era divenuto un dogma.
Altrove non era molto diversa la situazione. L’organizzazione interna agli altri partiti era basata sulla spartizione correntizia: le correnti interne si rapportavano ai capi i quali dosavano la distribuzione delle briciole del potere di governo ai loro associati in cambio della fedeltà assoluta al capo. Pena l’esclusione dalla spartizione del potere, l’isolamento e la rovinosa caduta in disgrazia. La fedeltà al capo poteva portare finanche alla invenzione di un ministero (chi si ricorda del Ministero della Gioventù prima inesistente) salvo poi, in caso di tradimento, subirne le conseguenze.
Intanto cresceva nell’opinione pubblica la disaffezione nei confronti della classe politica e una sfiducia galoppante nei confronti delle istituzioni.
Sino ai giorni nostri dominati dall’astensionismo elettorale, ormai forza politica maggioritaria, e dal disimpegno politico da parte di una sempre più crescente fascia di cittadini.
Vittime privilegiate di questo fenomeno i partiti politici. Questi, connotati da una antropofaga competizione interna, perdevano sempre più velocemente il ruolo, costituzionalmente previsto, di aggregazione dei cittadini finalizzata alla partecipazione della vita politica nazionale, nonché di mediazione delle istanze tra popolo e istituzioni. (Solo il PD in quest’ultimo periodo ha gemmato LEU, Italia Viva, Azione, tutte piccole formazioni guidate da personaggi che avrebbero voluto guidare il Partito Democratico da monarca, e che però non hanno retto alla competizione interna.)
I fenomeni corruttivi, largamente ed equamente distribuiti tra tutte le forze politiche, costituiscono l’ultimo momento di una condotta che nasce tra l’opinione pubblica, convinta di poter ottenere la soddisfazione dei propri diritti mediante i favori elargiti dal ceto politico, ed arriva sino ai livelli istituzionali a loro volta interessati, mediante un reciproco scambio, al mantenimento dello status quo.
Ciclicamente si passa da “la fantasia al potere”, ad “una risata vi seppellirà”, dal mitico motto Morettiano “fate qualcosa di sinistra” a i “forconi”, dal francesismo “vaffa” alle “sardine” di oggi. Tutti movimenti di natura extraparlamentare, nel senso di nati fuori dal parlamento, rappresentativi di un disagio giovanile sempre ben accetto ogni volta che si manifesta, ma deresponsabilizzati da ogni azione di governo che non possono esercitare senza essere partiti essi stessi –causa Costituzione- e dunque non sanzionabili da alcun responso elettorale, e dichiaratamente contro i partiti e la loro degenerazione. Qualcuno di questi, messi alla prova del governo, ha già mostrato la corda.
In questo contesto così compendiato, l’esigenza di un rilancio della funzione dei partiti politici rimane primaria per la stessa sopravvivenza della democrazia.
L’infantile illusione della cosiddetta “democrazia diretta” esercitata privatamente, fuori dalle istituzioni e contro il sistema rappresentativo, ha mostrato la propria inconsistenza costituzionale.
Tuttavia i partiti hanno il dovere morale di attrezzarsi in modo da poter risolvere almeno due importanti problemi: a) la democrazia interna che deve essere finalizzata alla valorizzazione di tutte le istanze presenti; b) rapporto con cittadini ed elettori nella diversa rappresentazione dei rispettivi interessi al fine di mantenerlo sempre vivo essendone interprete dei loro bisogni ed in quanto essere la loro stessa ragione di esistere.
Mesagne 23 novembre 2019
Carmelo Molfetta