Diritti Fondamentali ai tempi del coronavirus.
Sono trascorsi pochi mesi da quando si sono invocati i “pieni poteri”.
Questo avveniva nella Italia democratica, e rivolgendosi direttamente al popolo italiano si chiedeva: “datemi i pieni poteri per contrastare il grave pericolo alla sicurezza nazionale –asseritamente- insidiata dalla invasione di migranti clandestini”.
Era una Italia dove ancora si poteva liberamente circolare in tutto il territorio nazionale (art. 16 Cost.); i cittadini potevano liberamente riunirsi (art. 17 Cost.) e riempiere le piazze, a contatto di gomito, per ascoltare i comizi del richiedente “i pieni poteri”; “le sardine” invadevano festosamente, come sardine, le piazze per protestare contro il richiedente i pieni poteri nel pieno esercizio del diritto di manifestare le proprie idee (art. 21 Cost.); si poteva liberamente esercitare la propria fede religiosa recandosi nei propri luoghi di culto (art. 19 Cost.); si poteva liberamente emigrare (art. 35 Cost.); i lavoratori (quelli fortunati che un lavoro ce l'hanno) potevano svolgere liberamente la loro attività così come i cittadini erano liberi di esercitare l’iniziativa economica (artt. 35 e 41 Cost.).
Tutto questo avveniva pochi mesi fa, ed ognuno di noi esercitava quei diritti senza alcuna riserva, dando per scontato la loro stessa essenza ed esistenza in quanto applicati direttamente sul campo.
Tanta era la naturalezza e l’abitudine, che se ne godevano gli effetti, anche senza ricollegarli alla stessa Costituzione ed al significato fondativo ed innovativo (rispetto alla dittatura fascista spazzata via dalla lotta di Liberazione) della stessa Carta Costituzionale.
Sino a quando il coronavirus ha fatto irruzione nella vita privata di ognuno di noi minacciandone la salute e la vita, e nel sistema economico – sociale italiano mettendo a dura prova l’esercizio dei diritti di libertà fino ad allora liberamente esercitati.
Non interessa oggi, in piena pandemia, di cui non se ne conoscono ancora gli effetti generali, cavalcare la polemica, che pure appassiona i tanti illustri costituzionalisti la cui pressione comunque ha avuto l’effetto, avendo segnalato gravi momenti di criticità, di portare il premier innanzi al Parlamento per rendere le dovute informazioni, della compatibilità delle misure restrittive con l’esercizio dei diritti fondamentali di libertà: è del tutto pacifico che per il principio di solidarietà di cui la Costituzione è impregnata, (altro tema peculiare della nostra Costituzione) i sacrifici imposti, che con senso di responsabilità accettiamo, sono del tutto compatibili con la salvaguardia della salute e della vita di ognuno di noi.
Il punto è che anche la gestione di una crisi, della più grave delle crisi, anche di questa crisi sanitaria mondiale, non può prescindere, mai, da una previsione normativa primaria, ed anche di rango costituzionale, idonea a fronteggiare la crisi in piena sicurezza democratica.
Senza alcuna polemica, ma solo con occhio critico e nell’esercizio del libero pensiero, mi chiedo cosa poteva diventare l’Italia nelle mani di chi solo pochi mesi orsono chiedeva i pieni poteri per la gestione della sicurezza del nostro paese.
È del tutto evidente che la fase di una ipotetica nuova crisi, di ogni tipo, mai auspicabile, necessita di una previsione normativa generale, anche di rango costituzionale, che garantisca la compatibilità dell’esercizio dei principi di libertà ed economici con la contingenza che si dovesse verificare, posto che, la nostra Costituzione non prevede lo stato di emergenza, ed altro discorso riguarda lo stato di eccezione. E’ prevista, come si sa, solo la dichiarazione dello stato di guerra (art. 87 Cost.) la cui dichiarazione è di stretta competenza del Presidente della Repubblica però “deliberato dalle Camere”.
Ecco, appunto, è proprio questo il passaggio che manca.
I tempi di reazione tra la consapevolezza della sua esistenza e successiva dichiarazione della pandemia da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, e l’azione conseguente della Politica, sono stati molto differenti.
L’OMS, esaminati i primi dati conosciuti ha immediatamente dichiarato lo stato di pandemia.
La Politica, invece, inopinatamente convinta che mai una crisi di questo tipo potesse colpire anche il mondo opulento dell’Occidente, ha perso tempo prezioso.
L’ assenza di un protocollo internazionale che, acquisito il dato scientifico incontrovertibile, ha ritardato l’iniziativa per far scattare, come un interruttore che spegne ed accende una fonte di luce, l’organizzazione degli Stati per fronteggiare l’emergenza nel pieno rispetto del sistema democratico, che sempre, deve supportare ogni ipotesi di crisi pandemica o di altro tipo di portata globale.
A cominciare, forse, dalla introduzione nella Costituzione della dichiarazione dello stato di emergenza.
Mesagne 26 marzo ’20
Carmelo Molfetta