Libertà di pensiero (di Carmelo Molfetta).
La storia del diritto costituzionale italiano ricorda un evento straordinario. Quell’evento, mai evento fu più profetico, riguardò la libertà di manifestare il proprio pensiero. La prima sentenza in assoluto pronunciata dalla Corte Costituzionale della Repubblica Italiana, la n. 1/1956, dichiarò la illegittimità costituzionale di un vecchio arnese fascista che limitava la libertà di manifestare il proprio pensiero.
Una norma del 1931 della vecchia legge di pubblica sicurezza prevedeva, infatti, che “ è vietato, senza licenza dell'autorità locale di pubblica sicurezza, distribuire o mettere in circolazione, in luogo pubblico o aperto al pubblico scritti o disegni.
È altresì vietato, senza la predetta licenza, in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, affiggere scritti o disegni, o fare uso di mezzi luminosi o acustici per comunicazione al pubblico, o comunque collocare iscrizioni anche se lapidarie…. Fermo restando il disposto di cui all'articolo precedente, l'affissione di propaganda politica, sociale e culturale in luogo pubblico o esposto al pubblico,...deve essere preventivamente autorizzata dal prefetto competente, il quale, ove lo creda, può sentire il ministero della cultura popolare, circa la opportunità della affissione.”
Forse oggi, con la diffusione planetaria di internet e della istantanea divulgazione delle notizie in ogni parte del pianeta, non si apprezza la forza coercitiva e limitativa della libertà di manifestazione del proprio pensiero contenuto in quella norma.
Ma all’epoca era proprio così: il controllo della censura era capillare sino al punto che tutto doveva essere filtrato dalla autorità di pubblica sicurezza, anche la semplice diffusione di volantini e l’affissione di manifesti.
A distanza di appena dieci anni dalla conclusione dell’immane disastro mondiale della seconda guerra mondiale, con la ricostruzione fisica in corso, in Italia anche l’esercizio effettivo della democrazia prendeva il via.
Ben trenta Pretori sparsi per tutto “lo Stivale” si rivolsero alla Corte Costituzionale e l’Italia si ritrovò unita a reclamare unanimemente la libertà di manifestazione del pensiero realizzando la prima concreta ed effettiva applicazione della Costituzione Italiana in uno dei fondamentali principi democratici recepita con l’ art. 21 della Costituzione.
Quella battaglia democratica venne combattuta da grandi giuristi come Mortati, Giannini, Crisafulli, Vassali, Calamandrei; deposte le armi della Resistenza, ripresero la loro amata toga continuando a difendere l’Italia.
L’Italia moderna nasce con l’imprinting della libertà di pensiero.
E adesso la domanda; prima però un avvertimento: non affrettatevi a rispondere.
L’evasione del boia nazista Priebke, fatto ormai abbastanza datato, ripropose un dibattito già noto tra coloro che ritengono che negare la “Shoah” sia materia da trattare con il codice penale e chi ritiene invece, essere sempre un errore imbrigliare la libertà di opinione nelle maglie della legge, tanto più penale. Intanto in Francia, il centro mondiale della tolleranza, il partito neo fascista di Le Pen raggiunge una legittimazione popolare, attraverso il voto, davvero impensabile, e solo pochi giorni addietro Parigi si mostrerà agli occhi del mondo indifesa e ferocemente attaccata e colpita a morte proprio nel principio cardine della “liberté” che è l’essenza dell’essere francese.
Ed allora, chi nega esserci stato il genocidio degli ebrei, esercita una sua libertà di opinione, o infrange la legge?
Ed ancora, volendo accedere alla prima ipotesi, si può sostenere con Mortati “la liberà dell’errore”?
Con un comunicato dell’ottobre del 2013 l’Unione delle Camere Penali dichiarò che “i pensieri miserabili si combattono con i pensieri nobili”.
Eppure bisognerebbe chiedersi: è consentita la libertà di opinione quando contrasta con lo spirito democratico e antifascista dello Stato Italiano? Negare il genocidio e la sua unicità, costituisce libero esercizio della propria opinione o azione razzista, xenofoba e dunque perseguibile?
Il genocidio purtroppo ci fu, ed io sono tra quelli che credono nella Storia.
Credo anche in quello che mi raccontò il Notaio Nicoletta, anzi come gli piace sottolineare, l’Avvocato Notaio Nicoletta, che giovane poco più che ventenne, ed oggi arzillo novantenne, evase dal campo di concentramento di DACHAU per ben due volte: ed egli l’inferno lo vide.
Mesagne 20 gennaio 2015
Carmelo Molfetta