Perfetto o asimmetrico (di Carmelo Molfetta)
Prima si chiamava “perfetto” o “paritario”; oggi si dovrebbe chiamare “asimmetrico”.
Così il sistema parlamentare previsto e realizzato dai fondatori della Repubblica Italiana, passa da una definizione assertiva e rassicurante per il cittadino italiano, ad altra definizione che già nella intitolazione rende l’idea di qualcosa di instabile, di claudicante.
Dopo “l”anatra zoppa”, cioè quel sistema regolatore del governo degli enti locali che rende possibile la elezione di un sindaco rappresentante di una forza politica diversa da quella della maggioranza consiliare risultata dalle elezioni, con crisi amministrativa assicurata ed elezioni anticipate certe, si passerà ad un Parlamento asimmetrico che vorrebbe garantire la certezza della governabilità.
Prima erano entrambe le Camere che erano chiamate ad esprimersi sulla fiducia al Governo, ( spesso in verità con diversi margini di sicurezza per il governo tra una camera e l’altra).
Ora il problema è (sarebbe) risolto all’origine perché solo la Camera dei Deputati avrà stretto rapporto fiduciario con il governo.
Si vedranno gli effetti del nuovo sistema parlamentare con l’applicazione pratica; anche la soluzione che si adotterà definitivamente sul problema della assegnazione del premio di maggioranza sarà significativa sul punto: se sarà premiata una coalizione di partiti il governo ne sarà espressione ed anche ne subirà le pressioni; se sarà premiato un solo partito il governo ne sarà espressione a seconda degli schieramenti interni non meno voraci dei partiti di coalizione.
Il problema sembrerebbe risolto secondo la molto prosaica soluzione offerta dall’ex ministro Calderoli, quello della “porcata” – sempre fulminante nel fornire definizioni - secondo il quale vincerebbe sempre e comunque “il partito delle mogli e del mutuo da pagare” che garantirebbe la fiducia al governo e dunque la durata della legislatura.
Ma in questo caso, come è facile dedurne, i sistemi parlamentari non c’entrano niente e men che meno c’entra la Costituzione.
Asimmetrico, si diceva, anche, ad esempio sulla durata in carica delle due Camere.
L’ultima stesura dell’art. 55 della Costituzione riformata, regola la durata “del mandato dei senatori” che viene legata a quella degli organi territoriali di provenienza. Poiché il rinnovo degli organi territoriali di provenienza, i consigli regionali o i consigli comunali, non avviene quasi mai contemporaneamente, sembrerebbe essere stato configurato una sorta di Senato permanente a rinnovo in corso d’opera. Quanto ciò influirà sul funzionamento del Senato anche in termini di uniformità di orientamento decisionale sui compiti e funzioni che gli vengono assegnati con la riforma, sarà ancora una volta l’applicazione concreta a dire l’ultima parola.
La riforma così concepita vorrebbe soddisfare l’esigenza di rappresentanza dei problemi e delle esigenze provenienti dal territorio di appartenenza, riservando quindi solo alla Camera dei Deputati le funzioni e il ruolo politico strettamente legato al Governo dal rapporto di fiducia.
La struttura generale così concepita, quindi, scomparse le Province anche dal testo letterale della Costituzione, risulterebbe costituita dallo Stato, Regioni ed Enti Locali.
L’obiettivo che si vorrebbe conseguire parrebbe quello di attribuire maggiore rilevanza alle istanze provenienti dal territorio che, rappresentato direttamente all’interno del Senato, dovrebbe essere maggiormente tutelato: come ferma autocritica alla capacità rappresentativa dei senatori finora registrato mi pare niente male.
Il contenzioso tra Stato e Regioni finora regolato dai frequenti interventi della Corte Costituzionale, dovrebbe quindi diminuire, anche se non vedo come ciò potrà avvenire considerato il nuovo meccanismo della formazione delle leggi nel quale il ruolo del Senato non appare così determinante da influire in modo significativo.
Di interessante appare la verifica del principio di diritto previsto dalla riforma, di modifica dell’art 117 della Costituzione, nella sua pratica applicazione.
Le Regioni potranno interloquire con la Comunità Europea nell’ambito della formazione delle norme e dell’eventuale loro contrasto con il principio di sussidiarietà e proporzionalità contenuto nel Trattato di Lisbona.
Di tutto questo e di tanto altro ancora si dovrebbe parlare e discutere nel territorio dovendosene occupare di ciò i partiti.
Ma, da quello che si vede, e credetemi la nostalgia non c’entra niente, (per riprendere di striscio l’appassionata riflessione sul tema di Dipietrangelo, Caldarola e Stamerra) di tutto si parla e su tanti argomenti si mette lingua, eccetto che sulle questioni che costituiranno le norme regolatrici del funzionamento della Nuova Repubblica Italiana.
Intanto il referendum ormai incombe e se non si corre subito ai ripari la discussione sarà riservata solo agli addetti ai lavori ed a tutti noi non rimarrà che dichiararsi solo se favorevoli o contrari alla riforma costituzionale.
Mesagne 24 gennaio 2016
Carmelo Molfetta