25 aprile: solo un rito? (di Carmelo Molfetta)
“Giuro di lottare con fedeltà ed onore sino all’estremo sacrificio per la liberazione del mio paese,
di non deporre l’arma che mi è stata affidata prima di avere spazzato via dal suolo della patria l’ultimo usurpatore tedesco e l’ultimo traditore fascista, di lavorare con tutte le mie forze, a vittoria ottenuta, per la ricostruzione del paese e per fare del mio popolo un popolo felice e rispettato nella comunità dei popoli liberi”.
Con questa formula, e con altre similari, i partigiani si aggregavano alle brigate prima di darsi alla macchia sui monti per combattere per la liberazione della <<patria>> dall’oppressore nazista e dai traditori fascisti.
Giovani e meno giovani, donne coraggiosissime, quando giunse il momento, combatterono per la loro e la nostra libertà: anche a costo della vita.
Erano tutti mossi da un unico desiderio: contribuire alla rinascita dell’Italia, della Patria, come ancora si diceva; sicché accanto ai vecchi antifascisti, quelli che neanche le purghe, le bastonate e il carcere avevano piegato, si arruolarono i giovani, quelli che avevano conosciuto la follia imperialista e colonialista, i reduci di guerra della Russia, senza alcuna distinzione di fede politica o religiosa, avutasi infatti la presenza di cattolici, ebrei, tutti uniti dal desiderio di rinascita dopo il buio democratico della dittatura fascista.
Nei confronti di qualcuno, in verità, non vi era un particolare gradimento; è nota la posizione di Giorgio Amendola che in una sua “lettera a Milano” del 13 dicembre 1943 diceva “Bisogna invece non riconoscere l’autorità di quei generali che si dicono incaricati da Badoglio o da Messe di dirigere la lotta partigiana, o che vorrebbero imporsi al CLN”. (La prima resistenza armata in Italia Giorgio Fedel pag. 38)
Da quella lotta di liberazione sbocciò il fiore più bello: la Costituzione della Repubblica Italiana.
Lo strettissimo nesso esistente tra la lotta di liberazione e la Costituzione è notorio oggetto di studio.
Parafrasando una bellissima espressione di Don Daniele Cavaliere (il quale riferendosi alla nostra festa della Madonna di Luglio usava dire: “una volta il tempo era scandito da prima e dopo la Madonna“), potremmo dire che ci fu un’Italia prima della Costituzione e un’altra dopo la Costituzione.
Quella di prima era contrassegnata dai connotati del regime fascista, quella che venne dopo aveva invece i tratti di una nazione democratica che si riconosceva nei dettati della Costituzione.
Il più grande lascito, dunque, che ci ha tramandato la lotta di liberazione è la Carta Costituzionale.
Purtroppo man mano che si va affievolendo la memoria vivente di quel glorioso, novativo e fondante movimento di liberazione, anche lo stretto nesso con la Costituzione si va allentando.
Eppure se oggi dovessi immaginare un nuovo fronte di lotta e di rivendicazione democratica quello sarebbe proprio da ricercare nella lotta in difesa della Costituzione.
Quello scrigno, custode gelosissimo dei principi fondamentali della Repubblica Italiana, va difeso a tutti i costi.
Una sentenza della Corte Costituzionale che viene spesso citata, proprio per sottolineare la intangibilità dei principi fondamentali contenuti nella Costituzione (15/12/1988 n. 1146) certifica agli occhi dei distratti che “La Costituzione italiana contiene alcuni principi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali. Tali sono tanto i principi che la stessa Costituzione esplicitamente prevede come limiti assoluti al potere di revisione costituzionale, quale la forma repubblicana (art. 139 Cost.) quanto i principi che pur non essendo espressamente menzionati fra quelli non assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale, appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione Italiana”.
Siamo sicuri che tutta la legislazione nazionale che si dice essere necessaria in quanto resa in esecuzione di leggi sovranazionali sia rispettosa dei principi fondamentali della nostra Costituzione, ad iniziare dalla erosione del principio di sovranità nazionale?
Siamo sicuri che le riforme istituzionali in atto, compresa la legge elettorale denominata Italicum che avrebbe dovuto riformare quell’altra denominata Porcellum, siano attuative dei principi di rappresentanza politica, partecipazione democratica, voto libero ed eguale, previsti dalla Costituzione come cardini della democrazia contemporanea?
Non sarebbero questi, temi da porre a base di una nuova resistenza nei confronti di una politica spesso arrogante, autoreferenziale, dimentica delle radici antifasciste?
Arriva anche quest’anno il 25 aprile; le marcette suonate dalle bande cittadine intoneranno l’Inno di Mameli e qualcuna proprio sovversiva suonerà Bella Ciao; non mancheranno le repliche degli Inti Illimani.
Siamo sicuri che ciò basti a ricordare la Resistenza ed a difendere il più bel fiore da essa prodotto cioè la Costituzione della Repubblica Italiana?
Mesagne 22 aprile 2016
Carmelo Molfetta