Strage politica, destabilizzare per stabilizzare (di Carmelo Molfetta)
“Strage Politica”: così, per la prima volta, anche giuridicamente, viene qualificata la strage di Piazzale della Loggia a Brescia del 28 maggio 1974.
La Corte di Cassazione, in questi giorni, ha confermato l’impianto accusatorio della sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Milano, condannando all’ergastolo Maggi Carlo Maria e Tramonte Maurizio.
Con una punta di risentito rammarico la Corte milanese ha detto: “…il risultato è stato devastante per la dignità stessa dello Stato e della sua irrinunciabile funzione di tutela delle istituzioni democratiche, visto che sono solo un ultraottantenne ed un non più giovane informatore dei Servizi a sedere, oggi, a distanza di 41 anni dalla strage, sul banco degli imputati, mentre altri, parimenti responsabili, hanno da tempo lasciato questo mondo o anche solo questo paese, ponendo una pietra tombale sui troppi intrecci che hanno connotato la mala-vita anche istituzionale, dell’epoca delle bombe”.
Tutti presi dalla notizia del “fascismo da spiaggia” che ha occupato i primi titoli dei mass media per alcuni giorni, la notizia di questa sentenza, apparsa negli stessi giorni, che chiude un processo durato oltre 40 anni e che ha riguardato uno dei tanti episodi di inquinamento delle istituzioni democratiche, è stata data e bruciata nel giro poche ore.
Non mancano di ricordare i giudici, che quella “fu una strage di chiara matrice fascista” per così come venne definita dallo stesso ministro degli Interni Mariano Rumor.
Dunque non solo una strage politica, ma anche una strage politica di chiara matrice fascista.
L’analisi rigorosa di tutto il materiale probatorio, e tra questo le dichiarazioni di Vincenzo Vinciguerra, “ordinovista udinese di primo livello autoaccusatosi della strage di Peteano” il quale affermò “tutte le stragi che hanno insanguinato l’Italia appartengono ad un’unica matrice organizzativa”, ha definitivamente chiarito il contenuto della famosa espressione “strategia della tensione”.
L’espressione fu usata dal ministro degli Interni Paolo Emilio Taviani quando, udito come testimone nel processo relativo alla strage della Questura di Milano, definì la strategia della tensione come quel “complesso degli attentati stragisti che si andavano ripetendo in quegli anni”.
Quale era l’obiettivo di queste forze antidemocratiche nel porre in atto questa letale strategia? A questa domanda i giudici, riprendendo una terribile dichiarazione del Vinciguerra, danno una risposta davvero inquietante; “Il fine politico che attraverso le stragi si è tentato di raggiungere è molto chiaro: attraverso gravi provocazioni innescare una risposta popolare di rabbia da utilizzare poi per una successiva repressione. Il fine massimo era quello di giungere alla promulgazione di leggi eccezionali o alla dichiarazione di stato di emergenza. In tal modo si sarebbe realizzata quella operazione di rafforzamento del potere che di volta in volta sentiva vacillare il proprio dominio…..che si può riassumere nella formula <<destabilizzare per stabilizzare il Paese>>.
Così nel mentre il popolo italiano conquistava in quegli anni Lo Statuto dei Diritti dei Lavoratori, vinceva i referendum, proiettando l’Italia verso conquiste civili e democratiche, vi era qualcuno che nell’ombra, a volte coperti anche dalle divise, tramava contro l’affermarsi della democrazia.
Il Giudice Istruttore del Tribunale di Brescia, in altro procedimento penale, sul punto offre una lucidissima analisi politica: “ Né, ovviamente, va dimenticato o perso di vista il più ampio contesto storico politico in cui l’eccidio di piazza della Loggia ebbe a verificarsi e che contribuisce ad elevarne al massimo il tasso di politicità ..:il Paese si era da poco spaccato in due sul tema del divorzio assurto a vero spartiacque tra progressisti e conservatori;…la prospettiva di un reale spostamento a sinistra dell’asse politico veniva a profilarsi in termini meno velleitaristici che in passato…contro questa prospettiva si erano sotterraneamente mobilitate forze eterogenee..a Villa Wanda si era tenuta, indetta da Licio Gelli capo della P2, una riunione a cui aveva partecipato l’allora Procuratore Generale di Roma, Carmelo Spaguolo, e alcuni Generali, ivi compreso il socialdemocratico Giovan Battista Palumbo Comandante della Divisione Pastrengo dei Carabinieri…”, discutendo su “l’incerta e preoccupante situazione politica di quel momento”.
Questi sono fatti che ormai appartengono alla storia di questo paese, ma che spesso si tende a minimizzare se non proprio a dimenticare in attuazione di processo di sedimentazione di fatti storici, ripetendo anche errori del passato, che invece dovrebbero costituire la linfa viva e vitale a cui bisognerebbe abbeverarsi sempre per mantenere alto il tasso di democrazia in questo paese.
Non fosse altro per conservare la memoria da tramandare ai giovani che nulla sanno di tutto ciò, anche per gravissime deficienze strutturali del nostro sistema scolastico.
Mesagne 20 luglio ’17
Carmelo Molfetta