Il voto “eguale” di Carmelo Molfetta
Ci sono quelli che si occupano di aritmetica elettorale con l’obiettivo di garantire l’autosopravvivenza
ed impedire l’alternanza di governo senza curarsi dei diritti dell’elettore.
Ci sono anche quelli, sempre per lo stesso motivo, che preferiscono le leggi elettorali scritte dai giudici, quelli costituzionali, e non dal Parlamento.
Non che le leggi scritte dal Parlamento siano immune dallo stesso difetto: anzi la recente esperienza ci dice esattamente il contrario.
Tuttavia il Parlamento rimane l’assise che per definizione e nel rispetto del principio della divisione e del bilanciamento dei poteri dello Stato, svolge la funzione legislativa.
In quanto cittadino si vuole che la legge elettorale debba garantire che il voto degli elettori, il cui esercizio è dovere civico, possa essere esercitato in modo “personale ed eguale, libero e segreto”. (art. 48 Cost.)
E proprio sul concetto di “voto eguale” nasce più di qualche problema.
La governabilità e la stabilità politica tanto ambite, esibite come necessità imprescindibili per la stessa ripresa economica, e sempre che possano essere garantite semplicemente dalla ingegneria elettorale, il che è tutto da dimostrare, pur accedendo a principi di rango costituzionale, non possono comprimere il valore del “voto eguale” al punto da annullarlo.
Nel ricercare il giusto bilanciamento tra questi principi si qualifica l’azione politica del Parlamento con l’approvazione di una legge elettorale.
Sul voto eguale è nota la distinzione tra “voto eguale in entrata“ e “voto eguale in uscita”.
Era il 1961 e la Corte Costituzionale, per la prima volta, veniva investita del compito di interpretare, in modo conforme, l’art. 48 della Costituzione nella parte in cui –secondo comma- è detto che “Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico”.
Con ordinanza del 4 febbraio 1961 il Consiglio Provinciale di Bari, in occasione delle elezioni provinciali dell’epoca, sollevava, di ufficio, una questione di legittimità costituzionale.
Si doleva, l’Ente, del fatto che “nel caso di annullamento della votazione per mancata vidimazione delle liste elettorali, l’espressione del voto, pur essendosi effettuata secondo le prescrizioni del secondo comma dell’art. 48 Cost. resterebbe priva di efficacia, violandosi il principio dell’eguaglianza del voto. Principio che dovrebbe trovare applicazione non soltanto per quanto attiene al diritto di voto, ma altresì, per ciò che concerne gli effetti concreti che necessariamente si ricollegano all’esercizio del diritto stesso”.
E così per la prima volta entra in scena la famosa disputa, per nulla capziosa o priva di rilevanza dal punto di vista pratico per gli effetti che produce, della uguaglianza del voto in “entrata ed in uscita”.
Trattasi di argomento centrale nella discussione della scelta dei sistemi elettorali che devono garantire l’eguaglianza del voto in tutte le sue forme e manifestazioni.
Con la sentenza n. 43/1961 (per gli approfondimenti) la Corte Costituzionale dichiarò la infondatezza della questione di legittimità sollevata stabilendo, però, il principio di diritto secondo il quale “ “…l’esigenza sancita dall’art. 48 della Costituzione, che il voto, oltre che personale e segreto deve essere anche eguale, riflette l’espressione del voto, nel senso che ad essa i cittadini addivengono in condizioni di perfetta parità, non essendo ammesso né il voto multiplo né il voto plurimo. Ma …il principio dell’eguaglianza non si estende, altresì, al risultato concreto della manifestazione di volontà dell’elettore. Risultato che dipende invece esclusivamente dal sistema che il legislatore ordinario, non avendo la Costituzione disposto al riguardo, ha adottato per le elezioni politiche e amministrative, in relazione alle mutevoli esigenze che si ricollegano alle consultazioni popolari.”
Gli studiosi escludono, in verità, che possa esistere un sistema elettorale che garantisca l’eguaglianza assoluta del voto stante la possibilità sempre presente di disperdere i voti in sede di assegnazione dei seggi.
Torna dunque, il dettato della Corte Costituzionale secondo il quale, nel ribadire un principio di diritto super consolidato, spetta al legislatore ordinario ricercare la formula che, accolta nella legge elettorale, garantisca il giusto equilibrio tra tutte le esigenze in campo.
Tra qualche giorno può essere che il Parlamento approvi la nuova legge elettorale.
Forse mi sbaglierò ma mi pare che all’orizzonte si vedono addensarsi i neri nuvoloni della censura della Corte Costituzionale che sicuramente sarà di nuovo chiamata ad esprimersi sulla costituzionalità della legge fresca di approvazione.
In pochi anni per ben tre volte: anche questo sarebbe un record tipicamente italiano.
Mesagne 15 ottobre ’17
Carmelo Molfetta