Prelevamenti ingiustificati uguali ai compensi in nero.

Lo scorso martedì 22 aprile sulla Gazzetta del Mezzogiorno è apparso un interessante articolo dell'avv. Carlo Caforio, assessore al bilancio del Comune di Mesagne. L'argomento, pur non essendo di carattere amministrativo, lo abbiamo ritenuto interessante per i nostri lettori e lo pubblichiamo integralmente dopo che il giornale in formato cartaceo è stato ampiamente distribuito e, tra le altre cose, come in molte altre circostanze considerando la nostra fascia di lettori diversa da quella del quotidiano pugliese.

Prelevamenti ingiustificati uguali ai compensi in nero.

In tema di accertamenti bancari, come noto, la disciplina normativa prevede che i versamenti ed i prelevamenti effettuati sul conto corrente si considerano ricavi/compensi se il contribuente, nell’esercizio della propria attività d’impresa o di lavoro autonomo, non dimostra di averne tenuto conto ai fini della determinazione del reddito o che non hanno alcuna rilevanza reddituale, ovvero, per ciò che concerne i prelevamenti, indichi il soggetto beneficiario, sempreché non risultino dalle scritture contabili.

 

Nel corso delle indagini finanziarie nei confronti di un professionista, capita di frequente che vengano considerati compensi percepiti “in nero” i prelevamenti bancari in relazione ai quali il contribuente non sia stato in grado di indicare il soggetto beneficiario o non abbia dimostrato la relativa annotazione nelle scritture contabili.

Preme mettere subito in evidenza che, relativamente ai professionisti, la presunzione in base alla quale i prelevamenti non giustificati si presumono essere compensi nascosti al fisco, desta forti perplessità, poiché manca allo stato attuale una regola di comune esperienza che sottenda tale nesso “prelevamenti uguale compensi neri”. Infatti, nei conti dei lavoratori autonomi normalmente transitano operazioni di carattere sia personale, sia professionale; non vi è, nella realtà economica del professionista, netta separazione tra sfera personale e sfera professionale; nel caso di conto cointestato, poi, anche altri soggetti, rispetto al professionista, hanno accesso e possibilità di utilizzo del conto.

Ulteriori perplessità emergono se solo si ha riguardo al fatto che i prelevamenti non possono essere direttamente correlati ai compensi, ma ai costi. Ed invero, il prelevamento è finalizzato a generare la liquidità necessaria con la quale acquisire beni o servizi, e quindi dovrebbe essere funzionale al sostenimento di un costo e non al conseguimento di un compenso.

Non vi è dubbio quindi che la logica posta a base della disposizione è che il prelevamento sia diretto all’acquisto di beni o servizi “in nero”, a loro volta funzionali all’ottenimento di un compenso “in nero”.

Se questo è lo spirito della legge, è palmare allora che la disposizione in questione ha una sua logicità e ragionevolezza se applicata nei confronti dell’imprenditore, il quale potrebbe occultare costi che sono normalmente destinati ad acquistare beni o servizi che poi producono ricavi (anch’essi occultati). E’ ragionevole, dunque, presumere che l’imprenditore nell’esercizio della propria attività d’impresa acquisti un bene “in nero” per poi venderlo e conseguire, così, un ricavo “in nero”. La stessa Corte Costituzionale, sentenza 8 giugno 2005, n. 225 -con riferimento alla presunzione riguardante gli imprenditori- ha affermato che questa presunzione non è lesiva del canone di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., “non essendo manifestamente arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati dai conti correnti bancari effettuati da un imprenditore siano stati destinati all’esercizio dell’attività d’impresa e siano, quindi, in definitiva, detratti i relativi costi, considerati in termini di un bene “in nero” per poi venderlo e conseguire, così, un ricavo “in nero”.

La stessa Corte Costituzionale, sentenza 8 giugno 2005, n. 225 -con riferimento alla presunzione riguardante gli imprenditori- ha affermato che questa presunzione non è lesiva del canone di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., “non essendo manifestamente arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati dai conti correnti bancari effettuati da un imprenditore siano stati destinati all’esercizio dell’attività d’impresa e siano, quindi, in definitiva, detratti i relativi costi, considerati in termini di reddito imponibile”. Ma lo stesso non può dirsi per i professionisti; nella produzione del reddito di lavoro autonomo, non vi è una relazione ugualmente diretta fra costi e compensi.

Applicare ai professionisti la stessa presunzione prevista per gli imprenditori, significherebbe attribuire al professionista un modello operativo (a lui non appartenente) che lo vedrebbe acquistare “in nero” per cedere, di nuovo, “in nero”; il professionista non compra beni per poi rivenderli.

Per come costruita la disposizione presenta dunque significativi profili di illogicità ed irragionevolezza, in quanto fondata su un modulo presuntivo sganciato da regole di comune esperienza e contrario al principio di capacità contributiva, in quanto coinvolge elementi che nulla hanno a che fare con il conseguimento di un reddito professionale.

Un simile modello presuntivo potrebbe in astratto ammettersi laddove l’indagine bancaria si basa su fattispecie contrassegnate da una significativa probabilità di evasione, mentre diventa illogico ed irragionevole se applicato a qualsiasi posizione soggetta a verifica.

Awocato del Foro di Brindisi e Cultore di Diritto Tributario Università del Salento.



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