Simone ... quella morte, quel dolore riguarda tutti noi, nessuno escluso. (Maria Cariello)
Le tante vessazioni subite negli ultimi mesi avrebbero spinto Simone, sabato notte a gettarsi dalla terrazza dell’ex pastificio Pantanella a Roma. A riferirlo è lo stesso Simone nella lettera trovata dagli investigatori nello zainetto. Simone studiava Medicina all’università La Sapienza, mentre faceva il tirocinio al Policlinico Umberto I. Il messaggio lasciato nel borsello che aveva ancora a tracolla è chiaro: «L’Italia è un Paese democratico, libero. Ma è anche una nazione dove ci sono persone omofobe. E chi ha questi atteggiamenti dovrà fare i conti con la propria coscienza».
Chi di noi può giudicare, conoscere i sentimenti profondi di un adolescente o di un giovane adulto alla ricerca di se stesso, alle prese con i suoi cambiamenti e desideri dirompenti? Alle prese poi, con l’impatto con il mondo esterno, quello degli adulti, dei suoi coetanei, dei mass media in una società incancrenita nel quotidiano disprezzo per la diversità, qualsiasi essa sia.
Parlando con i ragazzi, incontro adolescenti smarriti e impauriti, impreparati ad affrontare l’impensabile: il suicidio di chi sedeva loro accanto, ogni giorno. Impreparati ad affrontare le ragioni, vere, presunte, le responsabilità. Cerchiamo di spiegare loro, cosa sia il bullismo, il disprezzo dell’altro, della sua diversità, sia essa l’omosessualità (vera o presunta) o di altro tipo, quanta attenzione ci vuole per non ferire.
La diversità di Simone e di Andrea, i suoi compagni, i suoi professori la vedevano, la conoscevano, non l’hanno negata. Ma – come Andrea – non sapevano nominarla, non sapevano affrontarla. L’hanno gestita come hanno saputo fare: goffamente, superficialmente, a volte accogliendo, a volte facendo finta di niente.
Caro Simone, l’Italia non è un paese democratico e tanto meno libero, ecco perché fuori o dentro una classe, nella scuola come nel mondo, quella maldestra, inetta protezione viene meno. Vero è che oggi, vi è da un lato, un trascinarsi dei giovani che procrastinano una fase della vita che dovrebbe essere transitoria e dall’altro, l’adultescente, un genitore cronologicamente adulto che si comporta come un adolescente, in una visione narcisistica dell’esistenza.
Adultescenti, non in grado di educare, accompagnare l’adolescente, in quel percorso che prevede tra le tante cose, la scoperta del proprio orientamento sessuale che ancora oggi si accompagna a disagio e vergogna.
L’omosessualità per l’adolescente, è trovare un inquilino diverso da quello che gli altri ospitano, portatore di una sofferenza rispetto ai coetanei che stanno facendo lo stesso percorso di crescita della propria identità; l’idea di essere l’unico a vivere quelle sensazioni, porta ad autoconfinarsi ai margini del sentiero della vita, negandosi il diritto di viverla pienamente. E qualcuno non ce la fa.
La scoperta di un figlio omosessuale per il genitore, mette in crisi le immagini mentali del proprio figlio, non contemplata l’idea dell’omosessualità. La domanda “dove ho sbagliato?” rivela l’idea che l’omosessualità sia il risultato di un errore e mette in moto meccanismi tesi a ripristinare la normalità; genitori che se non allontanano il figlio da casa, lo allontanano dal loro cuore.
Ecco che il genitore fragile e affatto libero dai suoi pregiudizi, ha difficoltà ad entrare in relazione con un’altra identità, con qualcuno che è “diverso” da lui, tentando come accade a livello sociale, di annullare la “diversità” che ci rende unici. Il tonfo di quel corpo sull’asfalto, le grida di un genitore di fronte al cadavere del figlio è bene che risuoni a lungo nelle orecchie, perché quella morte, quel dolore, mi riguarda, riguarda tutti noi, nessuno escluso.