La sinistra tra passato e futuro
La sinistra, in Italia, in Europa e nel mondo, vive un momento difficile
mentre il populismo di estrema destra parla alla pancia della gente, la sinistra rischia di perdere la sua voce.
Noi del movimento libero & progressista abbiamo iniziato il nostro incontro mensile chiedendoci “come siamo arrivati a questo punto?”
Per rispondere al nostro quesito, abbiamo ritenuto necessario analizzare le origini e le cause della trasformazione del capitalismo per comprendere i conseguenti cambiamenti della sinistra.
Il nostro non è stato un puro esercizio stilistico, ma un tentativo di approfondire le tappe che ci hanno condotto alla situazione attuale per cercare di diventare attori di un effettivo cambiamento.
Alla fine dell’incontro abbiamo redatto un documento che vogliamo offrire alla città per ricominciare a parlare di politica e di sinistra, perchè in questo momento storico, per noi, non sono importanti le poltrone e le spartizioni degli incarichi.
Ciò che conta è rifondare la sinistra. per guardare avanti bisogna conoscere il passato per evitare di ripetere gli errori.
La politica non ha una storia, un inizio ed una fine, un disegno prestabilito valido per tutti i luoghi e per tutte le stagioni: procede per scansioni. Ogni ciclo politico ha i suoi problemi ed anche i protagonisti che si candidano a risolverli. Esso è sempre preceduto e accompagnato da una rivoluzione culturale che, prima, dissolve le vecchie convinzioni per sostituirle con altre, spesso anche più vecchie ma presentate come moderne e, poi, impone nuovi blocchi di potere e una diversa distribuzione della ricchezza.
Nel corso degli anni Settanta del secolo scorso, prima in America e poi in Europa, entrò in crisi il modello fordista che aveva sostituito quello liberista infrantosi contro la crisi del 1929. Uno alla volta caddero i pilastri su cui si era retto. Nel 1968, attraverso le lotte operaie, che produssero aumenti salariali, cadde quello del basso costo del lavoro. Nel 1972, dopo le guerre in Medio Oriente che provocarono la diminuzione della produzione del petrolio, cadde il secondo pilastro del basso costo delle materie prime. Appena si sviluppò il settore terziario, si ridusse l’esercito di riserva di manodopera a disposizione del capitale. Infine, quando gli Usa abusarono del potere di stampare carta moneta senza copertura aurea, per affrontare le spese militari della guerra in Vietnam, cadde il signoraggio del dollaro sulle altre divise.
Il concatenarsi di tutti questi elementi, prima, inceppò il modello fordista e, poi, lo mise in crisi. C’era bisogno di una risposta che non si fece attendere. Si cominciò in America il 15 Agosto 1971 con l’introduzione di una imposta del 10% sulle importazioni di merci e si proseguì nel 1973, quando gli Usa stracciarono unilateralmente gli accordi di Bretton Woods, passando dai cambi fissi a quelli variabili. Queste misure consentirono al governo americano, da un lato, di scaricare il suo debito pubblico sui bilanci degli altri paesi e, dall’ altro, di passare dalla fase della cooperazione a quella della competizione fra gli Stati.
Le decisioni assunte da Nixon produssero una serie di effetti a cascata che dall’America si trasferirono in Europa, nei paesi del Terzo Mondo e nei paesi socialisti. Nel nostro continente si rispose con un rilancio in grande stile del progetto europeo e con l’introduzione, nel 1975, dell’Ecu uno strumento antesignano dell’Euro. I paesi del Terzo mondo, produttori di petrolio, si rifecero delle perdite subite, diminuendo la produzione dal 4,9% al 2,2% e facendo aumentare di sei volte il suo prezzo. I paesi socialisti dal canto loro, dopo l’era immobilista brezneviana, si risvegliarono con Gorbaciov quando ormai non c’erano più margini né per competere, né per sopravvivere alle nuove sfide.
Dopo la fine del ciclo fordista iniziò quello neoliberista che si materializzò attraverso una “disintegrazione controllata” dei vecchi rapporti di produzione e delle vecchie strutture di potere. Si incaricò un gruppo di sociologi, economisti e politologi, molti dei quali con militanza trosckista alle spalle, come Irving Kristol, di trasformare la Destra americana da un “partito stupido” in un partito intelligente.
Si partì dalla riformulazione di una nuova dottrina del potere che faceva perno sulla teoria dello Stato d’eccezione, una sorta di guerra permanente, che escludeva la possibilità di progetti alternativi fra Destra e Sinistra e puntava ad unire il popolo attorno ad un capo. A differenza dei vecchi liberali che avevano insistito su una logica assenteista dello Stato nella costruzione di un ordine sociale vivibile, i neoliberisti puntarono ad un liberismo attivo, interventista, non più conservatore ma riformista, cioè capace di adeguarsi continuamente al nuovo ordine imposto dalle ristrutturazioni capitalistiche. Sul terreno dell’economia si puntò a chiudere “l’interludio del sovrappiù confiscato da una parte della popolazione per darlo ad un'altra”, attraverso le misure adottate dallo Stato sociale. Sul terreno della democrazia veniva previsto un certo livello di apatia da parte di individui e gruppi e per questo bisognava concentrare l’attacco ai partiti, ai politici e ai sindacati. In poco tempo il neoliberismo influenzò il mondo intero.
Facendo riferimento a questa cultura politica, prima in Inghilterra con la Thatcher e poi in America con Reagan, la destra si riorganizzò, puntando sui nuovi movimenti sociali, che ponevano al centro questioni etniche, di genere, ecc. Iniziò, come scrisse Andrè Gorz: “l’addio alla classe operaia”.
Nel 1998, Tony Blair ed Antony Giddens raccolsero questa sfida della destra mediante la elaborazione di un manifesto per la costruzione di un nuovo centrosinistra per il XXI secolo. Incentrando la loro riflessione sulla globalizzazione e sui mercati finanziari “che stanno cambiando la vita delle persone”, giunsero alla conclusione che c’era bisogno di costruire un nuovo modello economico e sociale, fondato su un nuovo individualismo che consiste: “nell’accettare le responsabilità delle conseguenze di ciò che facciamo e degli stili di vita che adottiamo” e sul superamento della distinzione fra destra e sinistra e la spinta di tutti verso il centro poiché: ”con la morte del socialismo, in quanto teoria di gestione dell’economia, una delle linee divisorie fra destra e sinistra è scomparsa almeno per il futuro prevedibile”. La Terza via tra socialdemocrazia e liberismo, in sostanza, prometteva “opportunità, non governo”, “inclusione, non welfare”.
A mano a mano che questa sinistra si adattava alla nuova razionalità imposta dal capitalismo globalizzato e finanziarizzato, perdeva la sua identità ed il suo popolo. Pur assumendo responsabilità di governo in diversi paesi, infatti, non è mai riuscita a costruire un’alternativa democratica. Da qui la disillusione verso le sue varie classi dirigenti.
La crisi finanziaria del 2008 non ha provocato grandi proteste ma, di fatto, ha messo in crisi il neoliberismo. Da quel momento è cominciato un nuovo ciclo politico dominato da una nuova destra populista, sovranista e xenofoba, mentre la sinistra è ancora arroccata sulle posizioni suddette.
In presenza di queste trasformazioni economiche, politiche, sociali e culturali tocca alla sinistra dotarsi di una nuova funzione politica e di una nuova missione storica.
Il compito politico consiste, come ha sostenuto barca nel recente convegno di Bologna: “nel mettere al centro l’obiettivo della giustizia sociale, di cui bisogna convincersi e convincere che è al tempo stesso giusto e fondamentale per lo sviluppo”. La sua missione storica consiste nel costruire un’Italia giusta e solidale, traducendo la rabbia, il disincanto ed il risentimento in impegno civile e democratico.
La sinistra è sopravvissuta in tante parti del mondo alle persecuzioni dei tiranni, alle discriminazioni dei governi illiberali ed all’opportunismo di chi ha creato le proprie fortune politiche bazzicando ai suoi margini, perché ha fatto affidamento sulla passione civile e democratica di milioni di militanti.
La destra, infatti, non ha mai avuto bisogno di una base attiva e consapevole di sostenitori per realizzare il proprio programma, può gestire il capitalismo con l’aiuto di pochi tecnocrati.
Solo la sinistra ha bisogno di una comunità organizzata, capace di galvanizzare le energie delle persone oltre il sentiero della campagna elettorale.
Siamo convinti che in questa battaglia nessuno sarà disposto a concederci nulla.
Nello stesso tempo siamo convinti che esistono, come insegnano le piazze di Bologna e Modena, le forze, le energie, l’intelligenza e la passione di tanti che voglio dare le ali a questa nuova sinistra.