Mesagne vista da sinistra (di Michele Graduata)

Nei giorni scorsi l’amico Pino Giordano ha pubblicato, in rete, un pregevole resoconto degli avvenimenti nei quali, a ridosso degli anni Settanta,

rimasero coinvolte a Mesagne le varie correnti del partito della Democrazia Cristiana.

Come leggemmo, a sinistra, “quella fase di latente conflittualità mentre si cercava una pace provvisoria in attesa di futuri sviluppi politici ed amministrativi” di cui parla l’autore?

All’epoca tutti i partiti erano guidati da culture politiche che legavano sempre le vicende locali a quelle nazionali e viceversa. Sul piano nazionale infatti, dopo il tumultuoso biennio 68/69, i processi di modernizzazione economica e sociale in atto nel mondo rendevano anacronistiche le risposte conservatrici sulle quali era ancora arroccata la Dc. Il vecchio blocco di potere continuava a detenere la direzione della cosa pubblica, ma sempre meno riusciva a organizzare il consenso. Il partito-stato, attraverso la pratica dei decreti legge, cercava di dare risposte ai problemi del Paese. Essi però, di fatto, finivano per paralizzare l’attività del Parlamento perché, in moltissimi casi, non si riusciva a convertirli in legge per le divisioni presenti all’interno della stessa maggioranza di governo.

A mano a mano che, in Italia, incalzava la fine della Prima Repubblica, travolgendo le vecchie certezze sulle quali si era retta, nelle singole realtà locali toccò a “uomini di frontiera” inventare e praticare un nuovo modo di fare politica. Per la prima volta si diffuse la convinzione che ci fosse bisogno di uomini pragmatici, risoluti, forti, capaci di acquisire potere personalizzando le istituzioni. Elio Bardaro possedeva naturalmente tutte queste qualità e per questo si impose nella guida di un Comune importante della nostra provincia.

Egli fu precursore e interprete originale di un “nuovo sistema politico copernicano” nel quale i partiti giravano intorno al centro di un gruppo di potere che si riconosceva nell’uomo solo al comando. Da quel momento iniziò la stagione durante la quale la Dc era Bardaro.

Elio, per la prima volta, innalzò a dogma la mesagnesità, attraverso la quale cercò di allargare il consenso accaparrandosi la benevolenza di figure illustri che, nei diversi campi, avevano onorato la città.

Si impose come uomo d’ordine e, mentre elargiva pacche sulle spalle di tutti e proponeva a chi subiva torti di rivolgersi direttamente a lui e non alle forze dell’ordine, nello stesso tempo sfidava in pieno consiglio comunale a prove di forza personali chi nel pubblico osava essere intemperante.

Questo era il modo di pensare e di agire politico di Elio Bardaro e, per questo, lo combattemmo aspramente fino al punto di bollarlo come il “sindaco sceriffo”. In gioco, infatti, vi erano visioni diverse del mondo, diversi valori e differenti modi di fare politica che, tuttavia, non fecero mai perdere nei rapporti umani un fondo di civiltà, perché Elio era una persona leale e sincera nelle amicizie.

E’ stato autorevolmente scritto che tutti i fatti e i personaggi si presentano per così dire due volte; la prima volta come tragedia, la seconda come farsa. Quando, sprovvisti di una storia politica appena decente da esibire, si pensa di riproporre quella scritta da altri, scimmiottandone lo stile; quando si è alla continua ricerca di un padrino politico dal quale farsi adottare e di laudatores da cui farsi proteggere per le accuse che vengono rivolte alla luce del sole; quando infine si usa il potere per intimidire gli avversari e si trasfigura l’antico amico in nemico da abbattere, allora si cessa di essere una cosa seria e si diventa semplicemente ridicoli.

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