La democrazia 2.0 ( di Maria De Mauro)
Un tempo a fare politica si imparava nelle sezioni giovanili dei partiti,
militando nelle fabbriche e nel sindacato, a scuola e nelle università, nei movimenti, nei centri sociali e culturali.
L’appartenenza ideologica era una cosa seria, poteva essere il frutto di una passione improvvisa, dell’emulazione, dei tempi, della tradizione familiare, ma poi chi decideva di dedicarsi alla politica si impegnava sul serio.
Poi, purtroppo, la politica è diventata altro. Una sconfinata prateria buona per essere colonizzata, percorsa in lungo e in largo da molti avventurieri alla ricerca di una sistemazione e di una affermazione sociale condotta fuori dal mondo del lavoro e dello studio. Uno studio sociologico approfondito, e ce ne sono di autorevoli, potrebbe ripercorrere le tappe di questo cambiamento, rintracciare i momenti critici, il momento in cui a tutti noi è sembrato normale accontentarsi di chiunque avesse un buon pacchetto di voti per farci rappresentare.
Voti che scambiano il diritto col favore e il bisogno.
La democrazia rappresentativa consente a tutti i cittadini aventi diritto di voto di candidarsi e di essere eletti. Ma questa è una grande responsabilità, un macigno. A nessuno di noi può sfuggire l’importanza che ha rivestire il ruolo di sindaco, di assessore, di consigliere regionale, di deputato, di senatore della repubblica. E poi di ministro ecc ecc...Non è possibile che senza alcuna preparazione politica, e molto spesso senza alcuna istruzione degna di questo nome, si ricoprano cariche così importanti, che NECESSITANO, per essere svolte, di capacità e competenze che non tutti possiamo avere e che riguardano la materia amministrativa e costituzionale innanzitutto. Eppure siamo sempre più rappresentati da individui interessati solo al prestigio personale, all’esercizio del potere, alla visibilità sui social, alla costruzione di feudi e fidelizzazioni personali, ai lauti guadagni che certe cariche garantiscono. Il risultato è il patetico show al quale assistiamo giornalmente, nei vari salotti televisivi. È così tra compulsività social, televisioni, interviste, fuori dal parlamento e dalle sedi istituzionali, si consuma il canto del cigno di una politica che non è più in grado di rispondere ai bisogni del Paese reale.
La politica è l’arte di governare e per farlo a nome di tutti bisogna applicarsi e quindi lo studio potrebbe colmare questo deficit, ma bisognerebbe prima riconoscere di averne bisogno. Non bastano furbizia, scaltrezza e soldi da spendere nelle faraoniche campagne elettorali.
Oggi l’esercizio della politica non richiede nulla. Nemmeno una personalità forgiata sulla resistenza alle critiche, che ci sono e ci devono essere.
Un consigliere regionale, un personaggio pubblico, il rappresentante di un territorio, cioè uno che ha deciso da solo di scendere in politica e quindi di esporsi al giudizio degli altri, non può accanirsi contro una cittadina che esercita il suo diritto di critica, in virtù di un articolo sacro della Costituzione che è quello della libertà d’espressione.
Manca la misura del sè , manca la forza di incassare, di accettare, democraticamente, che altri possano non essere d’accordo con noi, che noi possiamo non piacere agli altri che devono quindi essere zittiti, vilipesi, controllati e monitorati sui social, nelle loro più innocue e libere manifestazioni. Una rete sottile di controllo che nessuno denuncia ma di cui tanti parlano. La democrazia 2.0.
A me è accaduto di essere oltremodo offesa su un social e, non avendo io un profilo fb, non ho potuto difendermi da un odiatore che, accecato dall'orgoglio paterno, ha vomitato bile, per un giudizio politico che nulla ha di personale.
Ad un consigliere regionale sarebbe convenuto tenere un comportamento equilibrato, all’altezza del ruolo che riveste. Per il quale sono necessari preparazione politica, aplomb istituzionale, carattere e personalità.
(Fonte Web)