La mia vita nel PCI, dalla morte di Berlinguer alla Bolognina.

Raccontare cosa sia stata la vita di funzionario di Partito, di questo mestiere poco conosciuto e spesso criticato, a mio avviso è cosa utile al giorno d'oggi.

Subito dopo la Guerra, durante la fase di ricostruzione del Paese, anche i Partiti si riorganizzarono affidandosi a uomini e donne che dedicavano il proprio tempo a titolo per lo più gratuito. Nella fase successiva, in particolare nel periodo dell’autunno caldo tra il 1968 e il 1970, nel Partito si fece strada l’esigenza di avere una organizzazione più strutturata e di conseguenza un numero sempre maggiore di persone impegnate a tempo pieno. Si trattava di gente che si dedicava completamente all’organizzazione del Partito, spinta da uno slancio di partecipazione infinito, in un periodo in cui essere funzionario di Partito voleva dire guadagnare pochi soldi.

Nel PCI il lavoro di funzionario era ancora più particolare rispetto agli altri partiti. Essendo un Partito di opposizione molta parte del tempo era dedicata al volantinaggio e all’organizzazione di comizi e assemblee, per non parlare della preparazione delle feste dell'Unità. C’era poi il lavoro che veniva svolto per la preparazione delle liste elettorali: occorreva passione e tensione politica, oltre che tanto impegno, per non assuefarsi a un tipo di attività burocratica e di routine.

Ho avuto la fortuna di conoscere questo lavoro in un periodo assai intenso di mobilitazione. Dopo l’esperienza nella segreteria regionale della Federbraccianti a Bari, agli inizi del 1984 arrivai in quella provinciale del PCI di Brindisi dove rimasi fino al marzo del 1990. In quegli anni ho vissuto momenti importanti, dalla morte di Berlinguer fino alla svolta della Bolognina dell’89. In particolare, in quest’ultima occasione divenni il referente provinciale di quella mozione congressuale che aveva criticato il modo in cui si scelse di abbracciare la svolta e che ottenne il 36% dei voti congressuali. Tale mozione era sostenuta da politici del calibro di Ingrao, Tortorella, Natta.

Tre sono gli avvenimenti che mi hanno colpito in particolare durante la mia vita di funzionario di Partito: la preparazione dell’Assemblea provinciale dei lavoratori del 1988; la preparazione delle feste provinciali dell'Unità; i drammatici momenti della morte di Berlinguer.

La preparazione della Conferenza nazionale dei lavoratori si svolgeva a giugno a Roma. A Brindisi, in preparazione della nostra Assemblea provinciale, decidemmo di distribuire un questionario nelle fabbriche del territorio provinciale. Ne diffondemmo 3.500 copie e dopo pochi giorni ce ne vennero restituite 1.320. I temi principali del questionario erano il PCI, il lavoro, il Sindacato.  Alla domanda Il PCI difende i lavoratori? il 57% dei lavoratori intervistati diede risposta affermativa, mentre per ciò che riguardava l’oggetto dell’attività politica del PCI (Di cosa deve interessarsi il PCI?)  il 25% rispose il lavoro, il 22% la droga, il 20% l’emarginazione. Sul ruolo del Sindacato e sul rapporto di quest’ultimo con i lavoratori (Quanto pesano i lavoratori sulle scelte del Sindacato?) il 47% degli intervistati affermò che i lavoratori contassero poco nell’indirizzare le scelte del Sindacato, il 18% pensava non contassero affatto mentre il 22% riteneva fossero determinanti.

In quello stesso anno – era il 1988 – come Federazione decidemmo di stampare un libro che raccogliesse tutta l’elaborazione politica e le iniziative di quel periodo. Tra i collaboratori c’era il compianto professore Giorgio Nebbia, Senatore indipendente eletto nelle liste del PCI tra il 1987 e il 1992. Diede un contributo fondamentale per organizzare una indagine sul Canale Reale e sull’affluenza delle sue acque nella riserva di Torre Guaceto. Successivamente, il libro Ambiente, territorio e sviluppo racchiuse tutto il corposo lavoro fatto e mostrò come quei temi – di stretta attualità politica ed economica per il nostro territorio – aprissero la strada ad una concezione verde del PCI.

In merito alle feste provinciali dell'Unità organizzate tra il 1985 e il 1989 ricordo ancora le straordinarie serate nel centro storico di Brindisi, in cui tantissima gente affluiva per le strade che portavano alla Piazzetta di San Giovanni al Sepolcro, all’allora abbandonato Palazzo Nervegna, a Piazza Vittoria e alle Colonne romane. Mi restano nella mente le tombolate in Piazza Vittoria, con famiglie, bambini e ragazzi impegnati nel gioco. Divertimento, musica e dibattiti politici si intrecciavano in quelle serate ricche di comunità, politica aperta e rapporti umani.

A proposito di ricordi, il più intenso resta sicuramente quello relativo al malore di Berlinguer durante il comizio del 7 giugno in Piazza dei frutti a Padova. La campagna elettorale per le europee del 17 giugno 1984 era agli sgoccioli e in quei giorni a Brindisi, così come in ogni provincia, erano presenti gli oratori nazionali del Partito impegnati nei comizi conclusivi. A Brindisi c’era Alfredo Reichlin della Direzione Nazionale che rimase in un contatto telefonico costante con la sede centrale del Partito e con l'Ospedale di Padova dove Berlinguer era stato ricoverato. In quelle ore drammatiche furono sospese tutte le attività elettorali e tutti si era in attesa di notizie confortanti che invece non arrivarono. Al contrario, l'11 Giugno, verso mezzogiorno, arrivò la notizia che nessuno di noi avrebbe voluto ricevere. L'Unità comunicò la decisione della diffusione di una edizione straordinaria per l’occasione e la nostra Federazione si impegnò a diffondere 10 mila copie. Andai a Fasano a prelevare le copie e iniziai il giro dei comuni della provincia nel primo pomeriggio. Arrivai a Torchiarolo, l’ultimo comune, verso le 23.  Il clima era mesto ovunque ma già si percepiva il bisogno di una forte mobilitazione che sarebbe poi culminata nei funerali del 13 giugno in Piazza San Giovanni a Roma. Le emozioni di quella giornata sono diventate patrimonio collettivo di tutto il Paese, un’eco che continua nella lunga bibliografia che ha attraversato questi 36 anni. Proprio in questi giorni è uscito nelle librerie un ultimo lavoro di Pietro Ruzzante e Antonio Martini – Eppure il vento soffia ancora – che racconta quei giorni drammatici ed indimenticabili.

A proposito di libri, di recente mi sono imbattuto in Come era bello il mio PCI, scritto qualche anno fa da Diego Novelli, già sindaco di Torino. Riporto un estratto dall’ultima pagina perché penso racchiuda in maniera perfetta il significato di un Partito come il PCI.

“È il Partito che lo chiede, è il Partito che lo esige. Il partito veniva inteso e vissuto come una sorta di entità metafisica, nei confronti della quale c'era una condizione di reverente, tacita sudditanza. Non era mai il segretario o il dirigente che ti chiedeva di svolgere certi compiti o di assumere determinate responsabilità. Era il Partito che lo chiedeva ed era difficile dire no.”

Essere stato funzionario del PCI – di un Partito che ha avuto certamente limiti e che a volte ha commesso errori, ma che è stato crogiuolo di tanti sentimenti umani – è stata per me una occasione umana irripetibile. Una straordinaria esperienza politica in un periodo storico in cui la Politica non si declinava mai con l'Io ma sempre con il Noi.

7 giugno 2020

Cosimo Zullo

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