La crisi della rappresentanza politica
Se mille parlamentari sono una casta cinquecento parlamentari sono una super casta
Intorno ad uno dei più classici dei dilemmi, se cioè sia stata la crisi della rappresentanza politica a provocare il dissolvimento dei partiti, oppure se sia stato il dissolvimento dei partiti la causa della crisi della rappresentanza politica, cresce il dibattito sul referendum costituzionale su la riduzione del numero dei parlamentari.
Cresce il dibattito in realtà è un modo di dire, perché sinora, i sostenitori delle opposte proposte, vota si per confermare versus vota no per non confermare la riduzione del numero dei parlamentari, si esibiscono in una serie di previsioni catastrofiche sulla stessa sopravvivenza della democrazia nel caso in cui a vincere fosse la posizione opposta alla propria.
Perché si sia verificato il dissolvimento dei partiti, o perché sia intervenuta la crisi della rappresentanza politica, risultano argomenti del tutto esclusi dalla analisi che pure sarebbe utile, opportuno e necessaria effettuare.
Ora si aggiunge la presa di posizione del Partito Democratico, uno dei pochi partiti strutturati che ancora difende il principio della rappresentanza, il quale pone la condizione della approvazione della legge elettorale, di modifica di quella esistente, perché, in occasione del referendum, possa esprimere il proprio voto favorevole alla riduzione del numero dei parlamentari.
Questa presa di posizione ci fornisce, sebbene indirettamente, alcune informazioni: a) la forza politica più interessata, tanto da averne fatto la bandiera, è il M5S, attualmente alleato al governo del PD; b) in questo senso, sul piano politico, la posizione del PD è palesemente subalterna al M5S; c) la scelta di votare SI oppure NO alla riforma istituzionale non si basa su un giudizio di merito e men che meno di valore sulla riforma, ma assume il carattere contrattuale tipico dello scambio politico.
Nulla di grave, in verità, e tutto già visto nel corso di questi ultimi anni.
Se non fosse per il fatto che aver posto nell’ambito della gerarchia delle fonti, la primazia di una legge ordinaria e cioè la legge elettorale, (addirittura quale condizione per la stessa approvazione della legge costituzionale) nei confronti di una legge di rango costituzionale costituisce una grave anomalia di sistema.
Dal mio umile punto di vista lo ritengo anche un grave errore politico strategico.
Ed ove si nutrisse la recondita speranza della impossibilità del verificarsi della condizione posta, per giustificare il probabile voto contrario, lo ritengo anche un errore tattico, perché non offre al proprio elettorato ragioni politiche di merito che spieghino la propria posizione.
Dal progressivo e costante esautoramento delle funzioni del Parlamento (durante il periodo di lockdown ne abbiamo avuto ampia prova) sino all’ingannevole miraggio della democrazia diretta, il passo è brevissimo tanto da aver messo in aperta discussione il sistema rappresentativo parlamentare.
La capziosa identificazione associativa tra sistema parlamentare rappresentativo con la “casta dei privilegi” ha alimentato nel corso di questi ultimi tempi la pancia del populismo, contro il sistema della rappresentanza.
L’adeguamento del bilanciamento dei poteri dello Stato: dopo!
Il rapporto tra abitanti e rappresentanza territoriale: dopo!
Il rapporto tra censo, potere economico e candidabilità: dopo!
Il ruolo dei partiti nella scelta dei candidati: dopo!
Adesso conta dare in pasto alla opinione pubblica il dimezzamento (quasi) del numero dei parlamentari che avrà così immolato sull’altare del “castismo” il proprio diritto di essere adeguatamente rappresentato nel Parlamento.
Con il risultato, secondo il più classico “clamoroso autogol” o se si vuole “tafazzismo”, quale massima rappresentazione del masochismo, di aver sostituito ad una casta una super casta.
Tra il 1993 ed il 2013, la tendenza alla effettiva delegittimazione del Parlamento, a favore di una democrazia sempre meno mediata dai corpi intermedi dello Stato, (partiti politici, organizzazioni sindacali, associazioni di categoria datoriale) ha contribuito a costruire una illusoria idea di democrazia diretta.
Sicché nel mentre si propugna la riduzione del numero dei parlamentari, sempre più conformemente ad una idea di democrazia diretta <<più potere ad un minor numero di parlamentari uguale maggior potere al popolo>>, si ignora del tutto il dettato dell’art. 49 della Costituzione che assegna ai partiti il ruolo di concorrenti alla determinazione della politica nazionale, nonché dell’art. 2 in virtù del quale “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità…”.
Più facile tagliare!
Invece il vero baluardo contro ogni forma di privilegio è costituito dalla effettiva attuazione di questi principi e di questi diritti garantiti dalla Costituzione, il resto è solo miraggio e falsa rappresentazione della realtà.
Mesagne 27agosto ’20
Carmelo Molfetta