I cento anni del Pci (di Michele Graduata)
Antifascisti e comunisti della provincia di Brindisi
Da oltre quarant’anni la cultura del “nuovismo” ha offuscato la conoscenza del passato e rinunciato a immaginare un futuro diverso. E’ questo il motivo per cui, a cento anni dalla nascita del Pci, in tante parti d’Italia si sono intensificate le iniziative volte a ricordare la fermezza e la coerenza con le quali tanti uomini e donne si impegnarono per ridare onore al nostro paese e costruire la Repubblica.
Attraverso i documenti qui riportati, ricordiamo alcuni degli eroi dell’antifascismo e della costruzione della democrazia in provincia di Brindisi convinti, da un lato, di dover ripensare in modo critico quelle pagine di storia e, dall’altro, di dover rifuggire dall’illusione, oggi largamente diffusa, che sia possibile un futuro senza un passato.
Capitolo I - La lotta contro il fascismo
Nel 1923, due anni dopo la nascita del Pci a Livorno, l’organizzazione comunista in Puglia era ancora assai debole. Registrava 105 iscritti a Bari, 97 a Foggia, 30 a Taranto, 10 a Lecce e 2 a Brindisi, mentre l’impegno politico si esauriva nella diffusione di volantini, l’esposizione di drappi rossi sui campanili e la scrittura sui muri di slogan antifascisti.
Il 15 Gennaio 1926, a seguito dell’entrata in vigore del RDL che istituiva diciannove nuove province, Brindisi fu staccata dalla Terra d’Otranto ed elevata a provincia. Mussolini motivò la decisione con queste parole: “La Provincia di Brindisi l’ho voluta per vari motivi, per meriti acquisiti dalla città durante la guerra mondiale per cui ho deciso che debba sorgere a Brindisi il Monumento al Marinaio Italiano, perché il suo porto conosciuto da tutti i navigatori del mondo, è ritenuto il più sicuro di tutti i mari e di tutti gli oceani; perché Brindisi, potente al tempo dell’Impero Romano, dovrà ritornare al suo antico splendore. Epperò non è senza significato che oggi la città riprenda il posto che le compete nella storia d’Italia”.
Dopo l’attentato al Duce del 16 Ottobre 1926 per mano del quindicenne Antonio Zamboni, il fascismo intensificò l’azione repressiva. Il 5 Novembre, il ministro dell’Interno Federzoni sottopose all’approvazione del Consiglio dei Ministri una serie di misure che prevedevano la revisione di tutti i passaporti; la determinazione di severe sanzioni contro gli espatri clandestini; la revoca a tempo indeterminato di tutte le pubblicazioni quotidiane e periodiche ostili al regime; lo scioglimento di tutti i partiti, associazioni e organizzazioni esplicanti azioni contrarie al regime e la istituzione del confine di polizia. Il ministro della Giustizia Alfredo Rocco, dal canto suo, presentò un disegno di legge che introduceva la pena di morte per una serie di reati politici e istituì uno speciale organo giudiziario per giudicarli.
Da quel momento la storia del Pci si identificò con quella di migliaia di combattenti che nella lotta contro il regime dedicarono e, in alcuni casi, sacrificarono la propria vita. Nella provincia di Brindisi l’opposizione clandestina si sviluppò soprattutto nei comuni di Brindisi, Ceglie Messapica, Mesagne, Francavilla Fontana, Ostuni, Latiano e Oria, mentre alcuni antifascisti fuoriusciti, fra i quali Giuseppe Sardelli e Antonio Gigante di Brindisi, Santo Semeraro di Mesagne e Francesco Ricci di Ceglie Messapica, si impegnarono all’estero in una azione di raccordo.
Nell’estate del 1927, dopo che la polizia aveva scoperto a Brindisi una organizzazione di giovani comunisti ritenuti particolarmente pericolosi, ne condannò la maggior parte a complessivi 45 anni e 2 mesi di reclusione. Tra questi il calzolaio Domenico Conchiglia di Monopoli (papà dell’on. Cristina); il meccanico Teodoro Ostuni di Brindisi; il muratore Giuseppe Trastevere di San Vito dei Normanni; il barbiere Vincenzo Battista di Brindisi; Umberto Chionna di Brindisi; il muratore Giuseppe Ribezzi di Brindisi; il muratore Pietro Vacca di Brindisi; il bracciante Guglielmo Carella di Brindisi ed il muratore Gaetano Liuzzi di Brindisi. Tutti, durante l’istruttoria, dichiararono di essere stati seviziati.
Di pari passo alle accresciute misure di sorveglianza e repressione operate dal regime fascista, si intensificarono anche le proteste popolari. Il 1° Maggio 1927 a Ceglie Messapica, a seguito dell’affissione sui muri cittadini di alcuni manifesti scritti a mano, diverse persone furono sottoposte a interrogatori e persecuzioni domiciliari. Alcune furono denunciate al Tribunale speciale che, con sentenza 6 Giugno 1928, condannò il contadino Rocco Spina a 5 anni; l’operaio Giuseppe Lodedo a 4 anni; i calzolai Leonardo Chirulli e Giovanni Putignano entrambi a 2 anni. Il 22 Maggio dello stesso anno a Ostuni il sessantacinquenne calzolaio Vito Oronzo Marseglia, dopo aver pronunciato invettive contro il regime durante un comizio, fu incarcerato per 10 giorni.
Il 1° Settembre, a Mesagne, alcuni antifascisti commissionarono una corona di garofani rossi che depositarono sulla bara del loro compagno Angelo Volpe, ucciso il 30 Agosto in una rissa. Il fioraio, fornitore della corona, non ottenendo il pagamento di quanto gli era dovuto sporse denuncia provocando il fermo di Carmine Pignatelli, Giuseppe Radaelli, Aristide Di Nittis e Nicola Gravina.
Un’altra ondata di arresti colpì la provincia di Brindisi l’8 Luglio 1937 a seguito di una riunione svoltasi a Ceglie Messapico alla presenza di Francesco Ricci cegliese rientrato dalla Francia, Rocco Spina, Francesco Barletta e Giuseppe De Tommaso. Nel corso della notte furono tratti in arresto tutti gli esponenti del Pci di Ceglie Messapica, Brindisi, Oria e Ostuni, mentre furono condannati: il contadino Rocco Spina di Ceglie; il meccanico Teodoro Ostuni di Brindisi; il calzolaio Leonardo Chirulli di Ceglie; il muratore Giuseppe Ribezzi di Brindisi; l’impiegato Francesco Barletta di Ceglie; il parrucchiere Francesco Magno di Ceglie, l’impiegato Gennaro Conte di Ceglie; il calzolaio Domenico della Rosa di Ceglie, il meccanico Giuseppe De Tommaso di Brindisi; Il venditore ambulante Cosimo Mauro di Brindisi; il contadino Antonio Telesi di Ceglie; il sarto Rocco Carrone di Ceglie; il falegname Arcangelo Ricci di Ceglie; il venditore ambulante Cosimo Urgesi di Ceglie; il contadino Oronzo Vitale di Ceglie; il bracciante Luigi Chirico di Ceglie; il contadino Rocco Chirico di Ceglie e il contadino Cosimo De Maria di Ceglie.
Il 29 Agosto fu arrestato a Brindisi il dott. Armando Monasterio che, in istruttoria, fu prosciolto per insufficienza di prove.
I sacrifici compiuti da questi militanti consentirono che l’Italia diventasse una unità politica, mentre l’antifascismo forgiò la coscienza di intere generazioni e costituì un patrimonio formidabile di autocoscienza morale e civile per affrontare le nuove sfide della Repubblica. “Dei confinati politici pugliesi 283 erano definiti comunisti, 2 social-comunisti, 22 socialisti, 12 anarchici, 4 repubblicani, 3 sovversivi, 99 antifascisti, 51 apolitici, 9 disfattisti, 6 senza qualifica. Di questi saranno riconosciuti colpevoli di organizzazione del partito comunista 225 (131 nel Barese, 14 nel Brindisino, 53 nel Foggiano, 31 nel Tarantino)”.
Nel Luglio del 1943 migliaia di antifascisti uscirono dalle carceri e salparono dalle isole di deportazione. Dopo la democrazia negata si trasformarono in tessitori di una democrazia allargata per ridare onore e dignità al nostro paese. La costruzione di una Italia nuova divenne il loro assillo prioritario e molti di coloro che avevano combattuto nella Resistenza furono chiamati a cimentarsi nella costruzione di un nuovo tipo di Stato.