Inizia davvero una nuova Era negli Stati Uniti (di Homo videns)

Che cosa cambia con Biden? Devo confessare che, nel vedere la cerimonia dell’insediamento di Joe Biden, ho sentito la stessa emozione

dell’insediamento di Obama, 12 anni fa. Come allora, mi sono domandato che cosa mi emozionava; e ho trovato la risposta: è la speranza, e forse la necessità di sperare, che un’altra America è possibile. L’avvento di Obama faceva sperare che finalmente il razzismo sarebbe stato sconfitto, una volta per tutte. Che il sogno americano (quello delle uguali possibilità per tutti di fare la propria carriera, indipendentemente dal proprio colore, dagli handicap della nascita, dalla condizione sociale ed economica), si poteva avverare. L’emozione di 12 anni fa era forse dettata anche da una non completa comprensione della società statunitense; e l’ingenuità fu dissolta dagli ostacoli che Obama incontrò negli otto anni della sua presidenza.

4 anni fa, poi, ci fu la doccia fredda dell’avvento di Trump; in questo periodo, che mi è sembrato lunghissimo, l’altra America si è presa la rivincita. I razzisti hanno rialzato la testa, la primordiale anima individualista del pistolero avventuriero si è risvegliata, l’arroganza del più forte ha sovrastato i diritti dei più deboli, è scomparso il “prossimo tuo”. Il coacervo di questi diversi e vari interessi ha trovato il suo condottiero in uno degli uomini più ricchi degli Stati Uniti, abilmente travestitosi da capo-popolo, quasi un novello Masaniello. Al culmine, l’era di Trump si è conclusa con un incubo, materializzatosi il 6 gennaio con l’incitamento (al grido di “law and order”) a marciare sul Parlamento e con il susseguente assalto della folla trumpiana per sovvertire il legittimo risultato elettorale che la legge e l’ordine avevano il dovere di garantire.

In verità, gli ultimi mesi di Trump hanno visto un continuo rifiuto di accettare la sconfitta, già prima che le votazioni avvenissero; hanno messo in discussione le stesse basi della democrazia statunitense. Il 6 gennaio, mentre si consumava il tentativo di “colpo di stato”, le immagini della complicità della polizia con i dimostranti rendevano chiaro che c’era stato un disegno pre-ordinato per costringere il vice-presidente Pence e il Senato americano a sovvertire il voto. Mi domandavo: se tutto questo fosse avvenuto in Russia, o in Cina, i media non avrebbero subito parlato di “colpo di stato”? Mi domandavo ancora: e noi siamo alleati, e vassalli, di questo tipo di società? Penso che in molti hanno temuto, in quelle ore, che gli USA fossero sull’orlo di una guerra civile. Per fortuna, la maggioranza dei leader repubblicani ha compreso la tragedia a cui si andava incontro. Ma la democrazia americana ha dimostrato di essere fragile.

Finalmente ieri, 20 gennaio 2021, l’incubo si è dissolto; ho rivissuto – penso insieme a molti altri – l’emozione di assistere ad una importante pagina di storia. Ma ho vissuto anche l’ammirazione per l’energia di un nonno (78 anni) deciso a curare le ferite presenti nella società americana.

Mi ha impressionato anzitutto, nel discorso di insediamento, la postura normale, senza enfasi, del nuovo Presidente; immaginate, invece, se al posto di Biden ci fosse stato Trump...

Poi, il tono del suo discorso, conciliante, da uomo di pace, e non di parte. E infine i contenuti. Anzitutto il richiamo alla verità; ha detto, in buona sintesi: “che ognuno abbia pure le proprie opinioni, ma non falsifichi quelle degli altri; e non si infarciscano i propri discorsi con delle falsità conclamate”.

Poi, il richiamo alle radici comuni degli americani, a quello che unisce, non a quello che divide; in questa identità americana, un grande posto è occupato dalla religione; lo abbiamo visto nei sermoni religiosi che hanno accompagnato la cerimonia. Biden ha più volte richiamato questo aspetto dell’identità americana, citando esplicitamente Sant’Agostino, uno dei principali Dottori (artefici della dottrina) della Chiesa Cattolica, ma ben accetto anche al mondo Protestante. Nel concreto, Biden ha ripreso dal Santo il concetto che un popolo è definito dalle caratteristiche unificanti; e, adeguandolo agli USA, ha elencato: le pari opportunità, la libertà, il rispetto, l’onore. Parole lontane anni luce da Trump, che ha voluto andarsene con l’arroganza che lo ha caratterizzato, tra fanfare e salve di cannone. Invece, Biden ha iniziato il suo quadriennio con umiltà, prima con un atto di volontariato e poi in una chiesa, nel significare la soggezione e l’ispirazione a qualcosa di superiore al proprio io. E in questo non si può non leggere la riconciliazione del Presidente degli USA con la Chiesa di Papa Francesco. Questo significativo tratto non sarà sfuggito sicuramente ai credenti, come non è sfuggito a chi – come il sottoscritto – credente non è.

Che sia quasi un ritorno all’era Obama lo si è visto nel giuramento di Kamala Harris, prima donna a raggiungere il vertice elettivo più alto mai raggiunto da una donna statunitense; e per di più una donna rispettata per la propria competenza, di colore, e di origini straniere. Un esempio per tante ragazze, in ogni parte del mondo. Ma non basta: nella squadra di governo di Biden c’è la presenza di tante altre competenze, valorizzate indipendentemente dalla razza, sesso, etc. Sapranno i nostri media, le nostre TV, ammalate di provincialismo, di sensazionalismo, di pettegolezzi, dare la dovuta attenzione a queste eccezionali novità?

E allora… Come non emozionarsi di fronte a una nuova era possibile? Come non essere partecipi della nuova speranza che si è aperta? Come non sperare nelle potenzialità che si aprono anche a noi Italiani, a tutti gli Europei? C’è sempre la ragion di stato, sia chiaro! Ma si apre una nuova fase, in cui servono – anche in Italia – governi capaci di suscitare emozioni; prima fra tutte l’emozione di percorrere insieme un cammino democratico e difficile; o di riprenderlo.

(Homo Videns)

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