Dove stiamo andando? L’intervista di Florio a Tony Matarrelli.
Inutile fingere: quello di chiamarlo «Toni» è ormai una sorta di «must». Era Toni lontano dalla politica quando, adolescente, celiava con gli amici sui gradini del Bar Carmine. Era Toni all'università, crescendo il suo interesse nella storia del movimento operaio, con le prime riunioni «engagée» in quel di Lecce. E' stato Toni da giovane (non imberbe, visto l'irsutismo che lo affligge fin da bambino) consigliere comunale, poi da adoratissimo assessore comunale e così da consigliere provinciale e poi da consigliere regionale: sempre presente, sempre in ascolto dell'interlocutore, sempre disponibile. Perché mai allora, una volta eletto al Parlamento della Repubblica, sarebbe dovuto diventare l'Onorevole Matarrelli? E' rimasto, deo gratias, Toni: e cioè uno con la testa sulle spalle, che non si dà le arie, incline anzi volenteroso di interessarsi dell'altro e soprattutto dell'altrui disagio. E Toni lo chiameremo noi, in occasione di questa intervista dagli spazi larghi. Chi scrive gli è amico, amico fraterno, fratello quindi, da quasi 30 anni. Ma, pur volendogli bene come ad un fratello di sangue, chi scrive non sempre è d'accordo con lui, non di rado si scontra con i suoi difetti («Ognuno di noi ha difetti», puntualizza lui di rimando...). Però gli riconosce una virtù fondamentale: l'onestà assoluta, materiale e morale, che induce a perdonargli il resto. Proveremo ad evitare i toni agiografici, limite facile da valicare quando si interpella un pezzo di sé. A 39 anni, con un cursus honorum fulminante, Toni siede sullo scranno che prima di lui fu di pochi e gloriosi mesagnesi: Santo Semeraro, Michele Graduata, Cosimo Faggiano.
Assolve all'onorevole ruolo con responsabilità e puntualità: lo affermano le statistiche ufficiali delle presenze alla Camera, l'affettuosa stima dei colleghi anziani ma anche il puntiglio con cui segue e sbroglia le questioni. Non trascura quello che una volta si chiamava «il collegio», e cioè il suo territorio, il comprensorio brindisino ma anche la terra di Lecce e di Taranto, senza negarsi puntate settimanali in via Capruzzi a Bari.
Non si può più ritagliargli la sagoma del politicante provinciale, immagine che qualcuno tra i suoi innumerevoli avversari provò in passato ad affibbiargli. Non si limita quindi a incontrare questuanti e a gestire quell'effimero consenso; si fa carico di piccole e grandi questioni, tanto da essere diventato un punto di riferimento esperto, anche per i settori storicamente più lontani dalla sinistra intesa in senso tradizionale. Come mai? Una spiegazione plausibile potrebbe essere quella per cui Toni non si domanda di quale colore sia la tessera nella tasca dell'interlocutore: non soltanto evitando le affiliazioni forzose, ma anche allacciando relazioni utili con i protagonisti della politica dell'intero arco costituzionale. «Purché perbene e leali», tiene a precisare, «non divento amico di chicchessia, soprattutto nell'oceano della cosa pubblica».
La copertina che Mesagnese Magazine ha voluto dedicarti ha un titolo inequivocabile (“Dove stiamo andando?”). Prova a spiegarcelo, questo momento sembra tanto intricato quanto fluido anche per gli addetti ai lavori. «Ho avuto la fortuna di incrociare una fase particolarmente avvincente sia sul piano politico sia su quello storico. Ho assistito alla defezione dei 100 e quindi alla mancata elezione annunciata di Romano Prodi, alla rielezione – per la prima volta nella vicenda repubblicana – del Presidente Napolitano, all'avvento del renzismo e cioè presumibilmente all'avvio della Terza Repubblica. Non finisce qui: avrò anche l'occasione di votare per il prossimo Capo dello Stato. Detto questo, l'Italia, vista da Roma, non è in una condizione meno grave. Assistiamo in presa diretta all'acuirsi delle contraddizioni che stanno privando i nostri giovani delle speranze, e gli adulti delle motivazioni ad andare avanti. Per dirla banalmente e semplificare, ci sono ricchi sempre più ricchi a scapito di poveri sempre più poveri: anzi, con una platea sempre più vasta di disagiati, di persone, di famiglie, di attività commerciali, di aziende in difficoltà. Questo è inaccettabile, è il momento di mettere in atto qualsiasi iniziativa per porvi rimedio».
E' per questo che, in occasione del cosiddetto decreto degli 80 euro hai votato a favore, in qualche modo contribuendo in maniera determinante alla spaccatura del gruppo parlamentare di SEL? E, non contento, hai assunto una posizione pubblica in aperto contrasto con la leadership e la linea politica di Nichi Vendola? «Nella notte in cui si è arrivati alla conta dei deputati a favore o a sfavore di quel decreto io sono stato, ahimè, l'ago della bilancia che ha determinato l'opzione a favore. Il mio ragionamento è stato allora come ora molto semplice. Restituire 80 euro in busta paga era una manovra, piccola ma significativa, di redistribuzione del reddito. Anziché ostinarsi a portare avanti una opposizione pregiudiziale, SEL doveva raccogliere e rilanciare, ad esempio spingendo il Governo ad estendere quella misura anche agli incapienti ed ai pensionati. Io ho molto affetto e certamente altrettanta considerazione per Nichi Vendola, per la sua storia personale e pubblica che è quella di una persona di eccezionale limpidezza. Detto questo, sono molto perplesso e vorrei dire scontento della piega che sta prendendo il mio partito da un po' di tempo a questa parte. La scelta di non entrare nella famiglia del socialismo europeo e di confinarsi anzi negli angusti confini di scelte ideologiche e quindi antistoriche ha danneggiato quella ispirazione di assolvere al compito di sinistra di governo che proprio Nichi aveva saputo teorizzare e mettere in pratica in modo soddisfacente in quasi 10 anni di amministrazione pugliese. La situazione non sembra migliorare anche per quanto riguarda le scelte che dovremo compiere nell'imminente futuro: non credo infatti che sia una buona idea quella di candidare una persona, pure assai valida e che stimo personalmente, come Dario Stefano alle primarie di coalizione per la guida della nostra regione, contrapponendolo all'altro bravo protagonista della primavera pugliese e cioè a Michele Emiliano. Ti anticipo anche che, se vuoi chiedermi se anche io lascerò SEL, come molti miei colleghi deputati, non ti risponderò. E non per evitare una domanda ficcante, ma perché non so quello che accadrà, non so proprio che cosa succederà di qui a dopodomani. Certamente intendo avere rispetto in ogni senso per la mia storia politica e per le mie idee, non seguirò nessuno tra coloro che proveranno a distogliermi dai principi che hanno orientato la mia vita fin qui».
Ma almeno di Renzi devi dirmi: ti piace? «Renzi, questo è difficilmente contestabile, rappresenta un dato di novità come da tempo non si vedeva nella politica italiana. Parla un linguaggio nuovo, ha introdotto contenuti nuovi nel confronto pubblico, ha abbattuto dei tabù che per la sinistra rischiavano di diventare feticci, si ripromette di fare una moltitudine di cose, non sempre condivisibili, non sempre necessarie e non sempre utili. Io sono tra quelli che pensano che la valutazione su Renzi la si potrà fare soltanto una volta che avrà conseguito un po' di risultati coerenti con le promesse assunte. Ora è presto. Ma ora non mi sembra neppure il caso di sognare di dare la spallata al suo Governo: perlomeno ha il merito di aver dato una dose di fiducia agli italiani, si è conquistato, almeno per ora, un certo credito. Vediamo come saprà spenderlo».
E Mesagne, quanto è nel tuo cuore? «Molto più di quanto si immagini. Ho scelto, tranne rare occasioni, di tacere di fronte a scelte del sindaco Scoditti che mi lasciavano anche particolarmente perplesso. Al primo cittadino bisogna riconoscere una condotta morale impeccabile, ma anche addebitare alcuni errori politici piuttosto grossolani, tra cui quello di non decidere o di temporeggiare nelle decisioni, o quello di aver sbagliato clamorosamente a rapportarsi con la città, che è sembrata esclusa dai ruoli della partecipazione democratica. Latitando la politica, inoltre, abbiamo pagato pegno, a fronte di soggetti capaci nella burocrazia comunale, ad alcune figure apicali rivelatesi incompetenti nella migliore delle ipotesi, in malafede nella peggiore. Ho vissuto questi anni con attenzione ma anche con il rispetto e quindi il distacco che si deve ai ruoli di chi amministra un ente. Ora preferisco guardare al futuro. Ho un'idea, vediamo se diventerà un progetto». Anticipacela, i nostri lettori vorrebbero conoscerla. «E' ancora un'idea dai contorni vaghi. Immagino una candidatura forte nel senso dell'autorevolezza e dello spessore politico e una coalizione a sostegno che abbia preventivamente isolato le forze o i soggetti della conservazione e del freno. Abbiamo bisogno di coagulare una squadra di protagonisti vasta e composita, che peschi dal meglio della comunità cittadina coloro che al di là delle recriminazioni del passato vogliano costruire una Mesagne più moderna, trasparente, libera, partecipata ed efficiente. Deve tornare il primato della politica, certamente all'insegna del rinnovamento. Vediamo chi ci starà». Intanto, grazie ed in bocca al lupo. «In bocca al lupo a tutti noi».
G. Florio
L’intervista è apparsa pochi giorni fa su Mesagne Magazine. E’ pubblicata con l’autorizzazione dell’autore dell'intervista.