Le conseguenze dell’amore (di Carlo Ferraro)
C’è una regìa sapiente dietro la campagna di articoli inneggianti la bellezza del nostro centro storico
ed il riscatto di una comunità dal retaggio della Scu, una narrazione che ha saputo distogliere l’attenzione dei più dalla domanda vera: non tanto di chi sia il merito di questa tanto osannata “rinascita”, (la storia recente è molto chiara al riguardo, almeno per chi ne ha memoria), ma piuttosto a chi giova questa narrazione ben orchestrata.
Infatti nella scelta di una capitale culturale non è in discussione la bellezza o meno di un luogo (con buona pace di chi quotidianamente tesse le lodi del nostro centro storico), ma piuttosto l’efficacia della proposta culturale, del progetto che vi si propone.
E su questo piano, paradossalmente, anche una città brutta (se mai ve ne fosse una nella nazione dei mille campanili), ma dotata di un buon progetto, potrebbe vincere.
Allora bisogna farsi la domanda giusta: a chi giova tutto questo?
Non certo alla popolazione che vede limitati fortemente i propri diritti al quieto vivere nella stagione estiva (come si è ampiamente riscontrato in questi mesi).
Ovviamente il primo attore a beneficiarne sarebbe l’attuale amministrazione che, forte di un un simile riconoscimento, potrebbe legittimamente aspirare alla riconferma nella prossima consigliatura.
Ma c’è di più; qualcuno si è posto il problema di dove alloggiare tutta la gente attratta dalla kermesse che comporta il fatto di essere la capitale della cultura per un anno?
Già due anni fa, prima del primo lock-down, e dopo la straripante stagione estiva, ebbi ad esporre le mie preoccupazioni rispetto alla tenuta fisica e sociale del centro storico; e quest’anno le presenze sono andate oltre ogni aspettativa.
Quindi c’è un problema, ed è quello della tenuta di un tessuto storico fragile e delicato, (basti pensare alle piazze invase da tavolini, ombrelloni, sedie, eccetera), e della popolazione residente che si vede in qualche modo privata di alcuni diritti fondamentali, primo fra tutti il riposo serale. Il nostro, in fondo, è un centro storico molto piccolo ( una delle sue tante qualità).
E quest’anno tutte le strutture ricettive erano sold out; quindi dove ospiteremo il surplus di affluenza?
Stranamente, a fronte di questo flusso ormai sicuro di turisti, i vari progetti approvati dall’amministrazione più di un anno fa, non partono ancora; mi riferisco al progetto di recupero di palazzo Murri come struttura ricettiva, o all’acquisto dell’edificio della ex Cassa di Risparmio da parte di privati per farne un resort alto di gamma, ed infine i vari immobili abbandonati nel centro storico ed acquistati con discrezione da pochi investitori, che sono tuttora lì in attesa dei progetti per il loro recupero.
Su questi immobili nel nostro programma elettorale era prevista la revoca ai privati nel caso non mettessero in atto alcuna iniziativa volta al loro recupero entro un dato lasso di tempo.
È possibile che siano tutti in attesa del fischio di partenza rappresentato dalla designazione di Mesagne a Capitale della Cultura per il 2024?
Se questo fosse vero ci troveremmo davanti ad una pessima prospettiva con solo due anni di tempo per realizzare i summenzionati interventi, in una frenetica corsa all’oro.
Recuperare un edificio in un centro storico è cosa ben diversa dal costruirlo ex-novo in una zona di espansione; implica molta più attenzione e cautela, cosa questa che cozza contro il concetto di fretta.
Quanti crolli “accidentali” si verificheranno in un contesto così delicato? Quanto resterà di autentico sotto le colate di cemento?
Questa situazione l’abbiamo già vissuta al tempo dei lavori per il Giubileo del 2000; molti lavori eseguiti frettolosamente ed approssimativamente, spacciati per lavori di recupero, con una inevitabile coda nelle aule giudiziarie.
A rafforzare questa ipotesi c’è il carattere particolare degli investitori privati nostrani, poco propensi ad affrontare il cosiddetto “rischio di impresa”; quindi investitori che aspettano di essere “incoraggiati” in qualche modo; e la prospettiva di investire in una futura capitale culturale è molto allettante.
E l’attuale amministrazione si è sempre mostrata oltremodo disponibile con questi investitori; basti pensare alle varie deroghe e varianti approvate in questi due anni.
Non è sembrata altrettanto attenta nell’elaborare un progetto convincente che metta in risalto il bene pubblico, a meno che non si voglia considerare bene pubblico il semplice fatto di avere il titolo di “capitale della cultura”.
Sarebbe solamente un bene “collaterale”, non certo oggetto di una attenta pianificazione, e dunque senza nessun beneficio effettivo per i cittadini, se non per ristoratori ed albergatori
Restano tuttora sul tavolo i problemi dei parcheggi per i residenti, e per i turisti, la regolazione del traffico all’interno del centro storico, l’uso dello spazio pubblico che, in quanto pubblico, deve essere a disposizione di tutti ma soprattutto dei residenti, se non si vuole ridurre il centro storico ad una semplice vetrina per l’estate, piena di strutture ricettive, che svuoterebbero il centro della sua linfa vitale: i residenti stessi, che con la loro presenza lo rendono vivo durante tutto l’anno e per tutte le ore del giorno.
Infine una questione di non poco conto: chi metterà i soldi in questa ghiotta operazione a breve termine? Il lock-down ha già impoverito numerosi nuclei familiari, costretti a vendere, e a volte a svendere, le loro case (anche nel centro storico). E quando non c’era un bene immobile da vendere sono dovuti ricorrere a prestiti onerosi, non certo chiesti alle banche. Di questo aiuto creditizio da parte di soggetti poco istituzionali se ne parla molto poco, ma si sa che questi soggetti hanno a disposizione fondi illimitati.
Non è che la famigerata insegna di Mesagne bucata dai pallettoni, sarà posta, alla fine della fiera, all’ingresso della Porta Grande?
Carlo Ferraro