Il Nuovo Grande Gioco (di Michele Graduata)

Solo all’interno di una lunga e complessa prospettiva storica si possono leggere e interpretare le odierne dinamiche politiche, economiche  e militari

che vedono contrapposti la Russia e il Caucaso insieme agli Usa in un nuovo Grande Gioco.

Una accentuata frammentazione etnica, religiosa e culturale avevano sempre impedito la formazione di forti sistemi statali  e costretto, per millenni, la regione caucasica al dominio di potenze straniere.

A partire dal XV secolo, all’epoca di Ivan il Terribile, la Russia cominciò ad entrare per la prima volta in contatto con  il Caucaso. Sotto Pietro il Grande la regione fu inserita nel vasto progetto di espansione verso Oriente; la stessa fu oggetto, nel 1762, di particolare attenzione da parte di Caterina II e definitivamente conquistata tra il 1801 e il 1829.

Il rigido controllo governativo provocò forti resistenze, soprattutto nella parte settentrionale della regione abitata da montanari, che fecero scattare politiche repressive e si conclusero, nel maggio 1917, con la formazione “dell’Alleanza del montanari uniti del Caucaso” che, dopo la Rivoluzione d’ottobre, rifiutò di riconoscere il nuovo potere.

La “Nuova ingegneria nazionale” sovietica che puntava alla riorganizzazione amministrativa, culturale e linguistico del nuovo impero fu letta come il tentativo di ricondurre le popolazioni caucasiche nell’orbita di una Russia sovietica e si concluse con atroci repressioni che toccarono il culmine tra il 1936-38.

Poiché nel corso della Seconda guerra mondiale consistenti gruppi di nazionalisti ucraini si erano schierati al fianco dei nazisti in funzione antirussa, nei loro confronti scattò una feroce reazione da parte dell’Armata Rossa che provocò la deportazione in Siberia di circa un milione di persone. Soltanto nel 1956, in occasione del XX Congresso del PCUS Chruscev riabilitò le popolazioni represse del Caucaso settentrionale.

La nuova politica inaugurata da Gorbaciov che puntava sulla perestrojka (la ristrutturazione dell’economia) e sulla glasnost (la trasparenza e l’ampliamento degli spazi pubblici di libertà), di fatto, mise in moto tendenze politiche di tipo nazionalista, autonomista e separatista.

Nei primi mesi del 1990 per primo fu il parlamento della Lituania a dichiarare la secessione dall’Urss, poi fu la volta di Georgia, Ucraina, Bielorussia, Moldavia, Azerbaigian, Armenia, Uzbekistan, Kirghizistan, Tagikistan e del Turkmenistan. La sera di Natale del 1991 Gorbaciov annunciò la fine dell’Unione Sovietica.

Dopo l’implosione dell’Urss le economie di questi Stati indipendenti, che si reggevano sulla bolletta petrolifera, entrarono in crisi. Le privatizzazioni operate da El’cin e avallate dagli Usa, li spinsero a giocare, prima, la carta della stipula di contratti diretti con le potenze straniere per la vendita del prodotto che transitava sul loro territorio. Poi, insieme agli Stati Uniti, giocarono quella della costruzione di nuovi oleodotti e gasdotti che baipassassero quelli controllati dalla Russia. Era iniziato il nuovo Grande Gioco fra la Russia e gli Stati Uniti che, a differenza del primo, non puntava alla conquista dell’India ma vedeva ora contrapposti gli stessi protagonisti per il controllo delle riserve di petrolio e gas del Mar Caspio.

 E’ toccato al nuovo presidente Putin interpretare il sentimento di umiliazione che aveva pervaso la società russa utilizzando una ideologia imperiale volta a ribaltare il ruolo marginale nel quale è stato confinato il suo paese.

Dopo la carta politica dell’indipendenza e quella economica del controllo del gas e del petrolio, oggi sul tappeto vi è quella militare, avallata sempre dagli Usa, che punta all’inserimento di questi paesi nella Nato e, di fatto, mette in discussione la sicurezza della Russia.

Si tratta di un nuovo Grande Gioco nel quale ognuno gioca la sua partita, soltanto l’Europa stenta a trovare una sua autonoma collocazione schiacciata al suo interno fra paesi che hanno diversi gradi di dipendenza energetica dalla Russia.

(Fonte Facebook)

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