Emiliano colpisce ancora (di Maria De Mauro)

Michele Emiliano ne ha fatta un’altra delle sue.

Ogni volta si spinge un poco più in là e disorienta o, meglio, orienta.

Orienta a perdersi in un indistinto politico in cui la destra e la sinistra, i fascisti e i comunisti, ma non quelli veri, quelli di centro, di sopra e di sotto, si amalgamano. È un’operazione studiata a tavolino quella di annullare le differenze politiche, le definizioni ideologiche, i principi identitari.

Quando, alle ultime elezioni regionali, Emiliano si è ricandidato alla presidenza della regione Puglia, il personaggio era noto, aveva già dato prova della sua spudoratezza in più di un’occasione, ma tanti, troppi, visti i risultati, hanno ritenuto che votarlo fosse il male minore e quindi, frutto della teoria suicida del meno peggio, ce lo ritroviamo l’8 Febbraio scorso, che firma la mozione della Lega sulle Foibe, con la quale la Regione Puglia s'impegna ad operare un giro di vite su chiunque pretenda di distinguere i morti della Shoah dai quelli delle Foibe e quindi di differenziare la Giornata della memoria dal Giorno del ricordo.

Perché di questo si tratta.

L'opera di revisionismo storico, in atto da anni, è quasi compiuta. A livello nazionale si alza, solitaria, la voce di Tomaso Montanari, rettore dell' Università per stranieri di Siena e strenuo sostenitore di una lettura storica basata sulle fonti, sui fatti, sulle testimonianze, sulle appartenenze ideologiche, sulle ragioni dell’una e dell’altra parte.

Anche il professore Barbero, illustre storico, seguitissimo anche sui social, tenta da anni di spiegare le differenze tra la Giornata della memoria e quella del ricordo, tra le vittime della Shoah e quelle delle Foibe, senza però mai oltraggiare i morti in quanto tali e senza ottenere quei risultati che le parole di un addetto ai lavori autorevole dovrebbero conseguire. (Perché si sa, i Social possono essere il tritacarne della verità, azionato da chiunque.)

Peccato che manchi, in Italia, ad ogni livello, un dibattito tra intellettuali libero dal filogovernismo, dal cortigianesimo. Ogni epoca è stata affetta da questo male, ma oggi pare proprio un’epidemia che danneggia soprattutto la costruzione dell’identità politica, ideologica, culturale giovanile, alla quale si fa continuamente riferimento, ma sempre in termini fumosi, mai veramente interessati.

Ne deriva che la Cultura di cui tanto si parla non è mai veramente calata nei fatti da essa prodotti e soprattutto non è un patrimonio che, realmente, si vuole trasmettere alle generazioni future.

E comunque, nonostante gli sforzi, nemmeno i risultati prodotti dall’impegno di Montanari sono confortanti: il professore è stato costretto a uscire dall’università di cui è Rettore scortato dalle forze dell’ordine per aver osato indire un seminario pubblico  sul tema “ Uso politico della memoria e revanscismo fascista: la genesi del Giorno del Ricordo”. La Lega e compagnia cantante non hanno gradito e con lei molti sedicenti intellettuali, come ad esempio Aldo Grasso che conduce una battaglia personale contro Montanari, perché mentre in area parlamentare nazionale, regionale, comunale, la politica presenta il tutt’uno indistinto, nel Paese l'estrema Destra, complici la distrazione, l’inadeguatezza, l’ignoranza, la scaltrezza, la paraculaggine della politica che non prende posizione e anzi la favorisce, gode di ottima salute.

Più volte l’ANPI nazionale, ma anche le ANPI locali, per esempio quella di Mesagne e altri esponenti politici di Sinistra hanno chiesto lo scioglimento di Casa Pound e di altre organizzazioni dichiaratamente di estrema Destra, nel rispetto della nostra Carta costituzionale, ma ciò non è avvenuto.

Chi ci governa, giurando sulla Costituzione, non ritiene opportuno farlo, perché significherebbe offendere i parlamentari che, dentro e fuori il Governo, pescano in abbondanza in quella palude. Del resto è esemplare la storia del sindaco di Nardò, Pippi Mellone, simpatizzante attivo di Casa Pound, eletto a Nardò con la benedizione di Emiliano.

E il PD che dice? Su questa questione mai sentito esprimersi, salvo che a chi scrive non sfugga qualche dichiarazione, che poi però non ha trovato seguito nei fatti.

Il rischio, che è già normalità, è considerare normali tanti episodi di dichiarata e ostentata matrice fascinazista, che normali non sono perché lesivi della Costituzione e della dignità di ogni italiano libero e democratico.

Questo è il risultato del revisionismo: un’infedeltà storica, compiuta da chi la Storia non la conosce, ma vuole mistificarla.

Qualche giorno fa, il magistrato Di Matteo, al quale tutti portiamo rispetto e riconoscenza  per il coraggio con cui conduce la sua battaglia contro Cosa Nostra, intervistato a proposito della Riforma Cartabia, ha condotto un accorato e condivisibile ragionamento sulla figura del magistrato. Con grande umiltà e determinazione ha difeso i tanti colleghi che fanno il loro lavoro con dedizione, che si spendono oltre ogni dire per far valere le ragioni della giustizia contro quelle del malaffare e della corruzione ad ogni livello e li ha separati da quelli che, mossi da una smania di carrierismo politico, hanno finito col dare il peggio di se stessi.

Il pensiero è corso ad Emiliano.

Che tipo di magistrato può essere stato?

E può un magistrato coerente con l’impegno richiesto dal ruolo che ricopre,  diventare un politico così irrispettoso della fiducia di tanti suoi corregionali, così confuso sul piano ideologico e cialtronesco su quello del profilo istituzionale?

La risposta è sì. Il progetto ambizioso della costruzione di un amalgama indistinto in cui far rientrare tutto e il contrario di tutto è più vantaggioso di un profilo politico sano, cioè chiaro e riconoscibile.

Maria De Mauro

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