L’Ucraina e la vera posta in gioco (di Michele Graduata)

Quando il pensiero è debole e la politica assente, per leggere e interpretare la complessità del mondo contemporaneo,

spesso si ricorre alle semplificazioni, agli schematismi che non tollerano la discussione, ma pretendono soltanto di  schierarsi.

Quando si abbraccia il pensiero unico, secondo il quale da una parte vi è il Bene e dall’altra il Male; quando alcune scelte politiche sono lette con la categoria della “pazzia”, mentre altre vengono presentate come razionali; quando da una parte vi è l’orso e dall’altra l’agnello; quando vi è un aggressore da punire e un aggredito da proteggere; quando le argomentazioni di uno vengono liquidate come propaganda bellica e quelle dell’altro sono assorbite come ostie consacrate; quando  si teorizza che una parte è animata da mire imperiali mentre l’altra lotta per la libertà e la democrazia, allora non si contribuisce alla costruzione della pace, ma ci si consegna culturalmente nelle mani del più forte.

Per secoli l’Ucraina, in assenza di una integrità politica e statale, era passata da una dominazione straniera all’altra fino a quando, il 18 gennaio 1654, firmò insieme alla Russia un trattato che prevedeva una sorta di Confederazione. Da allora e fino ai giorni nostri, accanto agli estimatori di quell’accordo che parlano di “riunificazione” con il fraterno popolo russo, si sono sempre fatti sentire coloro che, al contrario, lo ritengono una “annessione” che ha comportato l’umiliazione della dignità nazionale ucraina.

Avventurarsi, perciò, su questo terreno che, nel corso dei secoli, ha visto impegnate le migliori intelligenze a favore di una tesi e dell'altra significa, a mio avviso, non cogliere l’essenza dell’odierna vera posta in gioco.    

Dopo la Rivoluzione russa del 1917 il capitalismo si era spartito il mondo con il comunismo che, nel frattempo, aveva imposto la sua egemonia su paesi in cui viveva circa un terzo della popolazione mondiale.

L’implosione dell’Urss, nel 1991,  aveva sancito, da un lato, la vittoria globale del capitalismo e, dall’ altro, mandato in frantumi il vecchio sistema bipolare con l’affermazione di un mondo multipolare. Per una breve stagione gli Usa avevano fatto affidamento sulla “Fine della storia” e si erano illusi di poter imporre il proprio modello in tutto il mondo. Si sono svegliati in presenza, non soltanto, delle fortissime resistenze del mondo islamico, ma anche delle diverse interpretazioni che vari protagonisti hanno dato dello stesso modello di produzione capitalistico. A differenza, infatti, di quello liberistico imperante negli Usa e che si caratterizza per le profonde disuguaglianze che crea al suo interno, in Cina si è imposto il “capitalismo politico” guidato dal partito comunista e dominato da una diffusa corruzione. In Urss, invece, si è affermato quello oligarchico, guidato da Putin, ma sostenuto da coloro che si sono arricchiti con le privatizzazioni varate da Eltsin e imposte dall’America, mentre in Europa si è diffuso il “capitalismo tecnocratico” che punta a delegittimare la politica e a svuotare la democrazia.

A partire dagli anni Ottanta del secolo scorso accanto alla rivoluzione economica in Cina, si sono registrate accelerazioni economiche anche in India, Vietnam, Thailandia, Indonesia che, di fatto, hanno riequilibrato il rapporto fra Occidente e Asia e messo in discussione la superiorità militare, politica ed economica del primo rispetto alla seconda. Mentre, infatti, fino al 1970 la produzione mondiale si concentrava per il 56% in Occidente e il 19% in Asia, oggi le proporzioni si sono invertite con un 37% contro il 43%.

Le due rivoluzioni, digitale e informatica, hanno da un lato contribuito alla crescita dell’Asia e alla deindustrializzazione dell’Occidente e, dall’altro, hanno rimodellato a livello mondiale la classificazione della ricchezza e del potere e posto con urgenza la necessità di un nuovo ordine mondiale.

Nello stesso tempo, lo scioglimento del patto di Varsavia e il mancato rispetto degli accordi fra Usa e Urss che prevedevano la non diffusione della Nato nelle Repubbliche ex sovietiche, hanno fatto assurgere l’Ucraina a ruolo strategico nella definizione di un nuovo sistema di sicurezza europeo.

 Oggi si tratta di decidere se questo nuovo ordine internazionale e questo nuovo sistema di sicurezza europeo devono essere costruiti attraverso il negoziato o mediante l’uso della forza.

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