La guerra in Ucraina e la “promessa infranta” (di Michele Graduata)
Tutti i cicli storico-politici che hanno scandito l’ascesa e la caduta degli imperi si sono sempre conclusi con trattati, documenti, memorandum
che hanno sancito la fine delle ostilità, chiarito i termini dell’accordo raggiunto e imposto un nuovo ordine internazionale.
Così è stato con la guerra dei Trent’anni (1618-1648) che si concluse con la pace di Vestfalia e il documento diplomatico sottoscritto che riconosceva lo Stato come unico strumento fondamentale del nuovo ordine europeo.
Così con il ciclo Napoleonico che si concluse con il Congresso di Vienna (1814-1815) e l’ accordo epocale che prevedeva un nuovo ordine incentrato su un equilibrio complessivo fra legittimità e potere.
Così ancora dopo la Grande Guerra, con il Trattato di Versailles del 1919 che, decretando l’esclusione della Germania dall’ordine europeo, si dimostrò troppo punitivo per consentire una riconciliazione ed eccessivamente debole per impedire alla Germania di riprendersi dalla sconfitta.
Così, infine, è stato dopo le due guerre mondiali, quando il nuovo ordine internazionale, sottoscritto a Jalta, poggiava sulla divisione del mondo in due zone d’influenza: quello della Nato, istituita il 4 aprile 1949, e quello del Patto di Varsavia del 14 maggio 1955, con in mezzo una serie di paesi non allineati che, tuttavia, divennero oggetto di particolari attenzioni sia da parte degli uni che degli altri.
Il sistema di sicurezza europeo, invece, fu plasmato dalle potenze vincitrici che divisero in due la Germania, dopo il rifiuto da parte di Adenauer della proposta sovietica che, in cambio della neutralità, garantiva la riunificazione.
In controtendenza con questi precedenti, dopo la caduta del muro di Berlino il 2 e 3 dicembre del 1989 si tenne a Malta un incontro fra il presidente americano George H Bush e quello sovietico Michail Gorbaciov nel corso del quale fu sancita la fine della guerra fredda.
In un clima “di reciproche aperture e di generale riconciliazione” furono affrontate due questioni. Da un lato il riordino di un nuovo sistema internazionale, condiviso da americani e russi, incentrato sulla promozione della democrazia e libero dall’equilibrio del terrore. Dall’altro la costruzione di un nuovo sistema di sicurezza europeo che avesse come corollario la riunificazione della Germania.
Il 1 ottobre 1990 le due Germanie tornarono ad essere una sola realtà statuale, ancorata alla Nato, mentre il 1 luglio 1991 l’Unione Sovietica, d’accordo con le altre nazioni che ne facevano parte, sancì ufficialmente la fine del patto di Varsavia.
Lo “spirito di Malta”, come era stato battezzato, andò in frantumi nel corso degli anni Novanta con la progressiva espansione verso est della Nato. Questa inversione fu determinata, anche, per l’avvento a posti diresponsabilità nell’amministrazione americana dei neocon Condoleezze Rice, Robert Zoellich e Paul Wolfowetz e dopo l’elezione del democratico Bill Clinton.
Poiché l’incontro maltese si era concluso senza un documento ufficiale scritto, per decenni si sono scontrate due diverse interpretazioni dello stesso. Gorbaciov ha sempre sostenuto “di aver rinunciato agli assetti europei ottenuti dall’Urss dopo la Seconda guerra mondiale, in cambio della non espansione della Nato verso Est”. Gli americani, dal canto loro, hanno sempre sostenuto l’inesistenza di queste rassicurazioni.
Putin, fin dal suo insediamento, ha sempre avallato la tesi di Gorbaciov. Ha rilanciato la teoria della “promessa infranta”, a partire dal 2017, quando il politologo americano Joshua Shifrinson ha trovato nei British National Archives di Londra un verbale nel quale il rappresentante americano Raimond Seitz aveva annotato: “Abbiamo promesso ufficialmente all’Unione sovietica nei colloqui 2+4, così come in altri contatti bilaterali tra Washington e Mosca, che non intendiamo sfruttare sul piano strategico il ritiro delle truppe sovietiche dall’Europa centro-meridionale e che la Nato non dovrà espandersi al di là dei confini della nuova Germania né formalmente, né informalmente”.
Oggi, di fronte alle tragedie che si stanno consumando in Ucraina, tutti vogliono la pace e auspicano la pace. Ma un conto è volerla e auspicarla, un'altra costruirla giorno per giorno. In questo ultimo caso è necessario tener conto non solo delle “ragioni storiche” (riunificazione o annessione) che dividono i Russi dagli Ucraini, ma anche di quelle “più recenti” che hanno diviso la Russia dagli Stati Uniti.
Se il diritto all’autodeterminazione di alcuni popoli viene scisso da quello alla sicurezza di un altro, allora non solo non si costruisce la pace in Ucraina, ma si stanno preparando le condizioni per una nuova guerra fredda fra Occidente e Asia nella quale l’Europa, con l’aumento delle spese militari, rinuncia ad essere Venere e diventa un piccolo Marte al servizio degli Usa.
Michele Graduata