La lotta politica nell’Ucraina indipendente (di Michele Graduata)
Le privatizzazioni varate da Eltsin, imposte dagli Stati Uniti e presentate come risolutive
per la crescita economica e l’affermazione di uno Stato di Diritto, di fatto, consegnarono la Russia e l’Ucraina nelle mani di un ristretto gruppo di oligarchi che, in poco tempo, si arricchirono attraverso vere e proprie azioni criminali.
A differenza di quelli russi, sostanzialmente uniti e ai quali Putin aveva concesso soltanto l’opportunità di arricchirsi ma non di interferire nelle scelte politiche, in Ucraina le cose andarono diversamente.
Qui, infatti, i nuovi ricchi si affermarono soprattutto nella zona del Donbass, dove era concentrata la maggior parte dell’industria mineraria, della produzione manifatturiera e delle riserve energetiche. Essi, inoltre, puntarono a influenzare le scelte politiche del paese scendendo in campo in prima persona o condizionandole dall’esterno mediante l’utilizzo delle ingenti risorse finanziarie di cui dispongono. Infine si presentarono divisi al loro interno fra il gruppo di Donetsk e quello di Dnepropetrovsk per la conquista e la gestione del potere.
In un clima di accentuata e intollerabile disuguaglianza sociale, di dilagante corruzione e di una giustizia amministrata dalla legge del più forte, dopo l’indipendenza dell’Ucraina nel 1991, la popolazione si affidò ciclicamente a diverse élite politiche nella speranza di poter migliorare le proprie condizioni di vita. In questa prima fase gli esecutivi eletti mantennero stretti rapporti con la Russia.
Dal 1991 al 1994, infatti, si incaricò l’indipendente Leonid Kravcuk di stipulare un accordo con la Russia e la Bielorussia per la costituzione di una confederazione di stati sovrani. Il suo governo cominciò a scricchiolare di fronte alla contesa per la base navale di Sebastopoli, sede dell’ex Flotta russa.
Dal 1994 al 2005 l’ex comunista e filorusso Leonid Kucma puntò a migliorare i rapporti con la Russia mediante la costituzione di un “partenariato strategico”.
Dopo la sua uscita di scena, l’Ucraina cominciò a vivere un periodo di instabilità politica causata dall’indecisione se affidarsi all’ Occidente o all’ Oriente. Dal 23 gennaio 2005 al 25 febbraio 2010 il filooccidentale e presidente della Banca Nazionale dell’Ucraina Victor Juscenko vinse le elezioni contro il filorusso Victor Janukovyc con una campagna elettorale incentrata sull’impegno a portare il paese nella Nato e nell’Unione europea.
La vittoria, contestata per brogli, costrinse la Corte Suprema a indire nuove elezioni che, da un lato, confermarono il risultato precedente, dall’altro, misero in moto azioni di protesta che sfociarono nella rivoluzione arancione che, in breve tempo, fu monopolizzata da gruppi estremisti di destra.
Dal 25 febbraio 2010 al 22 febbraio 2014 il filorusso Victor Janukovyc si prese la rivincita vincendo le elezioni con l’impegno di portare l’Ucraina nell’Unione europea, ma non nella Nato. Nel 2013 il neo-presidente, in presenza di una grave crisi delle finanze pubbliche, invece di dare corso all’accordo di associazione con l’UE, scelse di accettare un prestito di 13 miliardi di dollari dalla Russia di Putin. La decisione provocò aspre proteste che sfociarono nella rivolta di piazza Maidan e si concluse con la revoca delle autonomie concesse dai governi precedenti alle regioni di Doneck e Lugensk. La risposta fu l’indizione di un referendum che confermò la volontà di quelle popolazioni di unirsi alla Russia: la sua validità, però, non è mai stata riconosciuta dalla comunità internazionale.
In realtà la rivolta studentesca e popolare di piazza Maidan, di fatto, fu influenzata dalla lotta fra due gruppi di oligarchi: quello filorusso e quello filoccidentale: fra quest’ultimo il più attivo fu il plurimiliardario Petro Porosenko che, di lì a poco, diventerà il nuovo presidente ucraino.
Dopo la breve parentesi di Oleksander Turcynovi, dal 22 febbraio 2014 al 7 giugno 2014, l’imprenditore del settore dolciario e con interessi anche nel campo manifatturiero, agricolo e finanziario Petro Porosenko ripristinò l’accordo di associazione fra Unione Europea e Ucraina e si fece promotore dell’ingresso di quest’ultima nella Nato.
Il 20 maggio 2019 con le parole d’ordine: sconfiggere lo strapotere degli oligarchi, combattere i partiti e la politica, porre fine alla guerra in Donbass fu eletto, con il 73% dei voti, come nuovo presidente dell’Ucraina il comico populista Volodymyr Zelenski.
Sostenuto e finanziato dall’oligarca Jhor Kolomojskyj, uno degli uomini più ricchi al mondo e fino al 2015 governatore della regione di Dnipropetrosk, attraverso il suo gruppo televisivo 1+1 e lo show Servo del popolo, aveva fatto di Zelenskyj l’uomo più famoso d’ Ucraina.
Appena eletto, la sua principale preoccupazione fu quella di assicurarsi l’appoggio degli oligarchi, utilizzando l’amico fidato Serhiy Shefir come intermediario. Quando quest’ultimo, in circostanze misteriose, fu trovato morto, contro di loro emanò due leggi: la 5599 e la 5600 attraverso le quali si proibiva il conferimento di nuovi appalti pubblici.
Più che leggi punitive, in realtà, si trattava di proposte di compromesso che, tuttavia, furono subito aggirate, come fece l’ex presidente Porosenko, cedendo il suo settimanale Korrespondent e la televisione Kanal 5 ad acquirenti amici.
Sostenitore dell’integrità territoriale dell’intera Ucraina, Zelenskyj ha promosso azioni criminali contro le popolazioni del Donbass, ha chiesto di rinegoziare gli accordi di Minsky che prevedono la loro autonomia, ha vietato loro di studiare nella lingua russa, ha puntato al riarmo con la costruzione di missili a lunga gittata, si è predisposto a ospitare sul suo territorio laboratori chimici americani e sostiene il battaglione Azov, legato a Casapound, del quale, secondo il suo leader Andriy Jiachenko “soltanto” il 20% dichiara di essere un fanatico di Hitler.
In politica internazionale bisogna tenere presente non solo la situazione oggettiva, ma anche l’elemento soggettivo. Nella valutazione, perciò, di tutte le leadership, è bene farsi guidare dall’ammonimento di Tolstoj il quale in Guerra e Pace ricordava: “Il fondatore di una setta o di un partito, l’inventore, destano meno la nostra ammirazione quando sappiamo come e da che cosa è stata preparata la loro opera”.