Brevi considerazioni sul presidenzialismo della destra italiana (di Domenico Urgesi).

La destra italiana si è ringalluzzita, sta assaporando la vittoria, la sente già in tasca,

tanto da dare fiato alle trombe con i suoi ultra-centenari cavalli di battaglia: Dio, Patria e Famiglia, la triade di ogni regime autoritario, e della società tradizionale nazionalistica e bizzoca.

Sono tanto convinti di avere la vittoria in tasca, che adesso hanno giocato il jolly: il presidenzialismo. La motivazione è presto detta. Dicono: in Italia ci sono stati troppi governi in pochi anni, i partiti sono arbitri dei governi; oggi fanno un’alleanza, pronti a farne un’altra domani e dopodomani; tengono i governi sotto scacco…

In realtà, se ci pensate, quasi tutte le Restaurazioni sono giustificate da questa motivazione. Ma, per rimanere all’Italia, domandiamoci, è questa una deriva recente? O non nasce da lontano?

A guardare i fatti storici, in Italia le tendenze autoritarie erano innate nel Governo Sabaudo, e furono rafforzate – a cavallo della prima guerra mondiale – tanto dai movimenti futuristi che da quelli dannunziani (elitari e anti-sistema allo stesso tempo). I Reazionari si coagularono, infine, nella cosiddetta “marcia su Roma”, un insieme di azioni eversive unite dal grido “Abbasso il Parlamento!”. Azioni ben coordinate da una buona parte della destra nazionale (sia quella parlamentare che quella economica) e tollerate dalla Monarchia Savoiarda, messe in atto contro i lavoratori, le organizzazioni socialiste e cattoliche, il libero pensiero.

Mi sembra opportuno ricordare che, alle elezioni del 1919 per la Camera dei Deputati, il Partito Popolare di Don Sturzo prese 100 seggi, il Partito Socialista ne prese 156, altri Socialisti e Radicali ne presero oltre 70, su un totale di 508. Si noti, per completezza, che il Senato esisteva, ma i senatori non venivano eletti, erano – diciamo per brevità – nominati dal Re.

Alle successive elezioni del 1921, il Partito Popolare prese 108 seggi, il Partito Socialista 123, il Partito Comunista 15, altri Socialisti circa 40 (su 535). Come si vede, se i partiti di massa si fossero coalizzati, avrebbero potuto proporre al Re un loro Governo; sia nel 1919 che nel 1921. Tuttavia, a causa della non risolta questione del rapporto dei Cattolici con lo Stato italiano, delle divisioni nella Sinistra, dei contrasti insanabili tra Popolari e Social-Comunisti, i partiti di massa non seppero esprimere un Leader condiviso. Perciò, i Partiti di area liberale formarono dei Governi deboli, dilaniati al loro stesso interno. Insomma, una situazione di stallo, più o meno come quello che è successo nelle elezioni del 2018.

Si badi bene che non ci sono paragoni tra le due situazioni, né politici, né economici, né sociali. L’unico punto in comune, tra il periodo attuale e quello di 100 anni fa, è la situazione di ingovernabilità, o di confusione. Una confusione politica, ma anche psicologica e culturale. Comprensibile quella di allora: si era appena all’avvento della “società di massa”. Meno comprensibile la confusione di oggi, dato che nella “società di massa” ci viviamo da oltre un secolo.

In quella situazione, Vittorio Emanuele III vide (di buon grado) in Mussolini l’uomo che avrebbe messo a posto un Parlamento dominato dai partiti di massa, i quali non riuscivano a mettersi d’accordo. Registriamo che ci sarebbe voluta una dittatura e una guerra mondiale…

Se queste sono le premesse del fascismo, non si sottovaluti il fatto che nella propaganda fascista dell’epoca, la marcia su Roma e la presa del potere da parte del PNF fu presentata come una rivoluzione. Si badi: erano veramente convinti, i fascisti di allora, di fare una rivoluzione: contro le lungaggini della democrazia parlamentare!

Per dimostrarlo, basti solo ricordare il famoso discorso del bivacco. Il 16 novembre 1922, nel discorso di presentazione del suo Governo alle camere, Mussolini disse:

«[...] Io affermo che la rivoluzione ha i suoi diritti. Aggiungo, perché ognuno lo sappia, che io sono qui per difendere e potenziare al massimo grado la rivoluzione delle camicie nere».

«[…] Potevo fare di questa aula sorda e grigia un bivacco di manipoli: potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto».

«[…] Io non voglio, finché mi sarà possibile, governare contro la Camera: ma la Camera deve sentire la sua particolare posizione che la rende passibile di scioglimento fra due giorni o fra due anni».

Ebbene, in questo discorso è il succo della filosofia politica del fascismo, che condusse velocemente alla adozione della legge elettorale plebiscitaria, al partito unico, alla riduzione del Parlamento a semplice Organo di ratifica del Governo; e infine nel 1939 alla abolizione della Camera dei Deputati, sostituita dalla Camera dei Fasci, ossia persone nominate dal Partito Fascista. È questa la matrice del modello autoritario a cui guarda la destra italiana; Berlusconi e Salvini occhieggiano a Putin; Merloni a Trump. Il loro obiettivo è il modello monocratico, autoritario: ridurre la democrazia parlamentare e il sistema col quale i cittadini concorrono alla formazione della volontà politica. Mettere in pericolo le autonomie locali e regionali. Non credo che tutto questo sia chiaro alle persone che in buona fede pensano di poter dare il voto “ad una donna, cristiana, e patriota”.

Perciò, quando Meloni, Salvini e Berlusconi parlano di presidenzialismo, bisogna intendere che stanno parlando di questo, che stanno solleticando l’ideologia politica dell’Anti-parlamentarismo. Anche se magari non faranno tutto subito, ma un pezzo alla volta. Perciò, chiariamo esplicitamente cosa significa la fiamma nel simbolo, non facciamoci ingannare! Il vero pericolo è questo: uno stravolgimento completo del sistema parlamentare. E la persistenza della fiamma è proprio il marchio di questa ideologia. Con quel simbolo, la Meloni in doppiopetto dice ai suoi seguaci: “Tranquilli, siamo sempre noi!” “Faremo un governo monocratico, che non avrà bisogno di confrontarsi con i partiti. Sarà il nuovo Presidente a nominare i Ministri e il Governo a proprio piacimento, senza i partiti fra le balle, e senza i sindacati, le associazioni, le diverse sensibilità culturali”. Ha detto anche: “Chi fa gesti estremistici… tradisce la causa”. Più chiaro di così?

Un’ultima considerazione: se questa analisi è fondata, allora bisogna avere chiaro che Calenda e il terzo polo da un lato, e il M5S dall’altro, e ogni piccolo partitino estremista, stanno fornendo alla Destra la vittoria su un piatto d’argento. Ogni voto dato a costoro sarà responsabile della deriva autoritaria. Sia chiaro; non si tratta di difendere il sistema politico-economico così com’è. Si tratta di affermare che la democrazia parlamentare và allargata, che bisogna dare potere politico, (inventando anche nuove forme), ai cittadini e ai corpi intermedi (associazioni, comitati, oltre ai sindacati e ai partiti), senza bisogno di ricorrere al modello Putiniano o a quello Trumpiano. La democrazia è faticosa, ma và difesa dai suoi nemici. Ad ogni costo.

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