Il voto libero ed uguale (di Carmelo Molfetta).
Durante gli ultimi tempi, ci siamo abbeverati alla stessa fonte. Studiosi e cattedratici, uomini delle istituzioni, curiosi e studenti del diritto, hanno avuto nella sentenza della Corte Costituzionale n.1 del 2014,
quella, giusto per ricordare che ha dichiarato la incostituzionalità della legge elettorale denominata affettuosamente dallo stesso padre “porcata” e amorevolmente indicata convenzionalmente “Porcellum”, (stiamo parlando – come si sa - dell’on.le Calderoli) il principale motivo di studio in materia elettorale.
Per sommo gioco della sorte, poi, la sentenza è contrassegnata proprio dal numero 1 dello scorso anno, quasi a sottolinearne l’alto valore giuridico e politico.
Come dice il prof. Morrone, “una sentenza da iscriversi negli Annali”.
Io direi dall’alto contenuto fondativo o se, preferite ri-fondativo.
<Chissà se esiste uno studio sulle sentenze n.1 della Corte Costituzionale>
Io ne conosco almeno un’altra: la numero uno in assoluto quella del 1956 che dichiarava la incostituzionalità di un articolo del Testo Unico di PS che vietava la libera manifestazione del pensiero attraverso la diffusione dei volantini e dei manifesti, che doveva essere autorizzata dalle autorità del tempo.
Fa un certo effetto constatare che ancora oggi, sono sostituiti con atto d’imperio alcuni membri da una commissione parlamentare perché hanno manifestato una diversità di opinione rispetto a quella asseritamente dominante.
Ma dicevamo, per non perdere il filo, la sentenza n. 1 del 2014 dichiarò la incostituzionalità della vigente legge elettorale. (l. 270/2005).
Quella legge aveva sostituito, come sappiamo, la precedente (l.276 e 277/ 1993) convenzionalmente denominata Mattarellum, con altro sistema elettorale definito proporzionale corretto, con premio di maggioranza senza soglia minima, con liste bloccate.
Sistema elettorale che l’opinione corrente ha unanimemente detto aver creato un Parlamento composto da parlamentari nominati e non di eletti nel senso che non sono stati scelti dagli elettori.
In sostanza, venne accertato che i cittadini –ovvero i ricorrenti nel giudizio innanzi alla Corte di Cassazione – dopo l’entrata in vigore del Porcellum non poterono esercitare pienamente il loro diritto di voto secondo le modalità previste dalla Costituzione del voto personale, uguale libero e segreto.
Durante i lavori della Costituente, la legge elettorale era stata inserita tra quelle non sottoponibili a referendum abrogativo. In una sua recente pubblicazione lo storico Luciano Canfora ha ricordato che l’articolo 75 della Costituzione, risulta modificato rispetto alla originaria impostazione che aveva incluso anche la legge elettorale tra quelle che non potevano essere sottoposte a referendum, insieme alle leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto e di ratifica dei trattati internazionali. Sarebbe stato in seguito ad una manovra attribuita a Ruini che, durante i lavori svolti in Assemblea Costituente, l’Aula approvò l’attuale art. 75 in cui la parola “elettorale” venne “omessa”, secondo una dichiarazione rilasciata in seguito dallo stesso Ruini.
Oggi la legge elettorale è oggetto di legge ordinaria che può essere sottoposta a referendum, proprio in virtù di quella “omissione”.
Ove la materia fosse rimasta inclusa tra quelle non sottoponibili a referendum, ben sarebbe stato possibile modificarla ma attraverso la revisione della Costituzione. Tutti ne possono cogliere la differenza tra le due possibili opzioni.
Dal 1946 al 1993 si è votato con il sistema elettorale cosiddetto “proporzionale” la cui essenziale caratteristica è costituita dal principio generale di “una testa un voto”, per dire cioè che il voto di ogni elettore ha lo stesso peso in termini di efficacia sulla rappresentanza politica prodotta.
A seguire abbiamo votato con il “Mattarellum” sino al 2005, dal 2006 votammo con il Porcellum oggi abrogato.
Nel mezzo di questa scansione, siamo nel 1953, vi è stata una vera e propria sommossa popolare contro la famigerata “legge truffa”.
Quella legge elettorale che, introducendo una modifica all’allora vigente sistema elettorale, introdusse il premio di maggioranza del 65% dei seggi a favore di quella lista o gruppo di lista che alla consultazione elettorale avesse raggiunto il 50% dei voti
( addirittura più democratica rispetto al Porcellum che invece assegnava il premio di maggioranza senza tenere conto di alcun tetto minimo da superare).
Per una manciata di voti le forze politiche centriste mancarono l’obiettivo e una vera e propria sommossa di popolo portò alla abrogazione di quella legge ritornando così al sistema proporzionale puro.
Corre l’obbligo qui di una prima riflessione che riguarda il ruolo dei partiti in quanto aggregazione politica che concorre alla formazione della politica nazionale.
Senza alcun rigurgito nostalgico, ma solo come richiamo storico, possiamo sicuramente affermare che vi fu un tempo durante il quale la Politica, proprio attraverso i partiti organizzati, ascoltava il popolo, ed essa stessa riusciva a trovare soluzioni.
Oggi che la Politica è asserragliata sempre più nel proprio fortilizio, occorre l’intervento della Corte Costituzionale per rimettere le cose a posto ed a porre allo stesso legislatore una agenda di lavoro rispettosa dei criteri costituzionali.
Gli studiosi conoscono la doppia teoria che riconosce nei partiti politici una mera associazione di carattere privato, contrapposta a quella quasi pubblicistica che proprio per la funzione attribuitagli dalla Costituzione (art. 49) li vuole soggetti politici attivi e protagonisti nella determinazione della politica nazionale.
Al primo aspetto appartiene tutta la problematica della democrazia interna dei partiti politici rispetto al loro funzionamento – ed anche in questo aspetto spesso è il ricorso al giudice la soluzione di problemi interni, basti ricordare tutte le controversie in merito all’uso del simbolo di un partito ancora oggi attualissimo -.
Al secondo aspetto attiene ogni problematica relativa alla capacità rappresentativa dei partiti la quale, per essere garantita, presuppone in primis che i partiti esistano. La nascita dei partiti personali ha demolito quasi del tutto tale capacità, sostituendo la disciplina interna ai partiti (si pensi al sistema del centralismo democratico del PCI molto criticato ma anche da tanti praticato) in virtù della quale sin dalla selezione dei quadri dirigenti nella più piccola sezione di provincia, attribuiva ai rappresentanti – tanto quelli istituzionali quanto quelli propriamente politici – autentico potere di rappresentanza politica, con il culto del capo, in virtù del quale più gli si è vicino e più si conta.
Abbiamo così assistito ad un lento processo di modifica del sistema dei partiti i quali da “sistema multipartitico” sono passati a quello bipartitico, sino a quello attuale di natura personale. La vicenda della modifica della legge elettorale imposta dalla Corte Costituzionale, con la ricordata sentenza n. 1/14, e del dibattito ancora in corso è la testimonianza diretta di una vera e propria esclusione fisica dal dibattito di ogni forma di partecipazione da parte del territorio a favore di un dibattito tutto interno – e peraltro gravemente tardivo – ai partiti per così come residuati.
La rinascita di una reale funzione di guida della Politica passa esclusivamente attraverso la ripresa di credibilità della stessa in termini di riconoscimento della sua capacità di rappresentanza.
E dunque da una parte i partiti politici in grave crisi di rappresentatività, sempre più forgiati sulla base dei desiderata del capo, dall’altra e conseguentemente una politica sempre più di palazzo ed autoreferenziale, tutta finalizzata alla conservazione di se stessa, hanno prodotto la legge elettorale Calderoli su cui è intervenuta la mannaia della Corte Costituzionale.
In particolare, attraverso l’uso del principio di “ragionevolezza”, in vero da alcuni studiosi anche criticato per l’ingerenza in una materia ritenuta immune dal sindacato di legittimità costituzionale, la Corte è intervenuta esaminando due aspetti in particolare: a) il premio di maggioranza e b) le liste bloccate.
Con una operazione definita dalla stessa Corte “di mera cosmesi normativa e di ripulitura” le questioni di legittimità poste all’esame della Corte miravano “non a sostituire la legge elettorale con un’altra eterogenea, impingendo nella discrezionalità del legislatore, ma solo a ripristinare nella legge elettorale contenuti costituzionalmente obbligati senza compromettere la permanente idoneità del sistema elettorale a garantire il rinnovo degli organi costituzionali.
Si tengano a mente queste precisazioni per alcune considerazioni finali che si proporranno.
Sul premio di maggioranza i rilievi sono chiari e di immediata percezione: poiché l’attribuzione del premio di maggioranza non risulta subordinato al raggiungimento di una soglia minima di voti, la rappresentanza democratica risulta irragionevolmente e gravemente alterata.
Il presupposto secondo cui tale operazione, l’attribuzione del premio di maggioranza, sarebbe finalizzata ad “assicurare la governabilità” non è neanche garantito poiché è ben possibile che “immediatamente dopo le elezioni, la coalizione beneficiaria del premio si sciolga in uno o più partiti che pur facendone originariamente parte ne escano”.
E qui la Corte ci ha preso in pieno ove si consideri che SEL, che pure faceva parte della coalizione con il PD è fuori dalla maggioranza, mentre è dentro la maggioranza una costola di un partito di opposizione.
Per cui la governabilità è assicurata da motivi opposti a quelli per i quali venne concepito il premio di maggioranza.
Sulle liste bloccate la Corte censura le norme che non consentono all’elettore di esprimere alcuna preferenza ma solo di scegliere una lista di partito, cui è rimessa la designazione dei candidati rendendo il voto <<sostanzialmente indiretto>>posto che i partiti - cha abbiamo visto in piena crisi di capacità rappresentativa, non possono sostituirsi al corpo elettorale e che l’art. 67 Cost. presuppone l’esistenza di un mandato conferito direttamente dagli elettori sottraendogli la facoltà di scelta, rendendo così il suo voto non più né libero né personale.
Ogni altra legge elettorale che dovrà sostituire il Porcellum, dovrà riferirsi in primis ai principi di diritto sanciti dalla Corte .
Ben si comprende e perciò appare condivisibile, sostenere che una legge elettorale debba perseguire, tra gli altri un “obiettivo di rilievo costituzionale come la stabilità del governo del Paese e dell’efficienza dei processi decisionali nell’ambito parlamentare”; solo che ciò deve avvenire attraverso “il bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti” senza cioè “determinare il sacrificio o la compressione di uno qualunque di essi in misura eccessiva e pertanto incompatibile con il dettato costituzionale”.
A gennaio dell’anno scorso scrivevamo che in quanto cittadino vorrei che la legge elettorale consentisse: a) l’esercizio del diritto di voto. La legge elettorale non è un esercizio di ingegneria politica ma è lo strumento attraverso il quale si concretizza l’atto di fiducia dei cittadini nei confronti dei suoi rappresentanti; b) messo nelle condizioni di votare il cittadino deve poter scegliere. Scegliere il proprio candidato del quale ne conosce le competenze, l’integrità morale, il legame al proprio territorio, il desiderio di rappresentarne gli interessi e di rendere conto assiduamente ai propri cittadini. Il voto rappresenterà lo strumento attraverso cui si esprimerà il giudizio sul suo operato in quanto rappresentante della Nazione; c) anche la governabilità è desiderio del cittadino. Essa dovrà essere assicurata dalla Politica e dai suoi rappresentanti e non delegata alla legge elettorale e dovrà assicurarsi senza alcuna azione privativa dei diritti degli elettori. Quanto più sarà garantito il bilanciamento tra questi interessi di rango costituzionale tanto più la Politica riacquisterà rispetto e capacità rappresentativa.
Sul punto, infine, anche riprendendo un inciso prima anticipato, vorrei dire all’onorevole Dattorre: oggi bisogna andare sino in fondo.
Su questa materia non può esserci disciplina di partito che possa minare il principio costituzionale di divieto di mandato imperativo: voi rappresentate la Nazione non una parte di essa.
La legge elettorale serve in primis agli elettori i quali hanno diritto di poter esercitare il loro diritto – dovere secondo i dettami costituzionali.
Anche perché “..la normativa che resta in vigore per effetto della dichiarata illegittimità costituzionale è complessivamente idonea a garantire il rinnovo, in ogni momento dell’organo costituzionale elettivo…in particolare la normativa che rimane in vigore stabilisce un meccanismo di trasformazione dei voti in seggi che consente l’attribuzione di tutti i seggi, in relazione a circoscrizioni elettorali che rimangono immutate sia per la Camera che per il Senato. Ciò che resta, invero è precisamente il meccanismo in ragione proporzionale depurato dall’attribuzione del premio di maggioranza…”.
L’Italia, ad oggi non è priva di legge elettorale.
Relazione presentata su iniziativa di Brindisi Left in Brindisi Hotel Orientale 24 aprile ’15.
Carmelo Molfetta.