Braccianti stagionali immigrati e morte del lavoratore sudanese a Nardò, Salvatore Capone ed Elisa Mariano interrogano il governo:

“questo circolo vizioso si può interrompere. bisogna volerlo”

E’ rivolta ai Ministri del Lavoro e delle Politiche sociali, delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, dell’Interno l’interrogazione depositata oggi dagli onorevoli del Pd Salvatore Capone ed Elisa Mariano.

Per sapere “se i Ministeri interrogati attraverso le opportune verifiche siano in possesso di dati aggiornati sullo stato dell’arte dei Protocolli su menzionati e di eventuali altre Intese siglate con l’obiettivo di contrastare lavoro nero, sfruttamento del lavoro, intermediazione e caporalato; se non ritengano di istituire, per tempo e in modo permanente, un Tavolo con tutti i soggetti istituzionali  sociali coinvolti perché episodi come quello del lavoratore sudanese non debbano più accadere e in ogni caso al fine di impedire l’intermediazione di manodopera immigrata nelle condizioni in cui è solita accadere; se anche in accordo con gli enti territoriali non ritengano di promuovere opportune forme di trasferimento degli immigrati nei campi di lavoro, anche con ticket a pagamento da parte degli stessi immigrati se non sostenuto dagli Enti pubblici, perché il circolo vizioso della relazione con i caporali sia drasticamente interrotto; se poi, anche in accordo con gli Enti territoriali, non ritengano di dover sostenere e favorire cornici istituzionali tale da garantire modalità di accoglienza e permanenza per impedire la costituzione dei ghetti nelle campagne dove anche le ristorazione, a quanto emerge dalle ricostruzioni giornalistiche, sarebbe appannaggio degli stessi caporali; se infine non ritengano di favorire e sostenere, anche in accordo con le imprese e le Istituzioni territoriali, la creazione di un marchio per i prodotti agricoli di provenienza da questa come da altre aree caratterizzate da simili fenomeni distorsivi del mercato del lavoro e lesivi della dignità umana e dei più elementari diritti, tale da poter aiutare il consumatore a riconoscere nei prodotti immessi sul mercato quelli garantiti da condizioni di lavoro regolare e tutelato; infine quali altre iniziative siano comunque in essere o siano in fase di attivazione”.

Nell’interrogazione (che segue) i due parlamentari muovono dalla morte del bracciante sudanese Abdullah Mohammed, 47 anni, morto nelle campagne di Nardò, località Pittuini, lunedì scorso 20 luglio mentre era intento al lavoro nei campi di pomodoro, e ricostruiscono la più complessiva situazione che ormai da anni si trovano a vivere frequentemente i lavoratori stagionali immigrati impiegati in agricoltura spesso senza contratto di lavoro, portati nei campi dai caporali, e costretti a lavorare in situazioni ai limiti dell’umano.

“Siamo convinti”, dice Salvatore Capone, “che lo stato dell’arte descritto nell’interrogazione posa essere affrontato e risolto solo se vengono spezzate tutte le connessioni malate che lo alimentano.

Ecco perché poniamo il problema del trasporto dei lavoratori immigrati nei campi, interrompendo la subalternità ai caporali che spesso gestiscono anche il trasferimento da campo a campo, ed ecco perché la gestione dell’accoglienza diviene fondamentale, interrompendo anche in questo caso una catena evidentemente inquietamente e illegale, oltre che determinando condizioni di vita e di lavoro degne di questo nome. Non a caso nell’interrogazione facciano riferimento alla “Indagine conoscitiva su  taluni fenomeni del mercato del lavoro nero (lavoro nero, caporalato e sfruttamento della manodopera straniera)” promossa nel 2009-2010 dalla Commissione Lavoro della Camera su sollecitazione dell’attuale Sottosegretaria al Lavoro e alle Politiche sociali On. Teresa Bellanova. Lì si chiarisce molto bene, tra l’altro, come il lavoro nero e sfruttato ben lungi dal rappresentare un’eccezione sia un elemento viceversa strutturato di precisi segmenti dell’economia italiana e possa essere adeguatamente contrastato solo a patto di “favorire un corretto incontro tra domanda ed offerta di lavoro straniero partendo dal dato inconfutabile che la richiesta attuale di manodopera viene considerata come non adeguatamente soddisfatta, ponendo con forza la questione relativa alle modalità di reclutamento di tale manodopera e a come regolamentarne la permanente sul territorio”. E’ grazie a quell’indagine, giova ricordarlo, se  nel nostro Codice Penale è stato introdotto con il D.L. 13-08-2011 n. 138 il reato di “Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”, art. C.P. 603-bis  che prevede per i soggetti ritenuti colpevoli  – a meno che i fatti accertati non costituiscano fattispecie più gravi di reati – la reclusione da cinque a otto anni e multe pecuniarie da mille a duemila euro per ciascuno dei lavoratori reclutati”.

“Solo qualche giorno fa”, conclude l’On. Elisa Mariano, “abbiamo rivolto al Governo una interrogazione sui cosiddetti schiavi del fotovoltaico per sollevare una questione delicata su cui è bene far luce ed intervenire tempestivamente. Il processo, non ancora iniziato, conta su 200 testimoni di giustizia, visto che molti dei lavoratori africani denuncianti hanno infatti deciso anche di testimoniare, e per questo adesso sono sotto protezione sociale. Tuttavia, da fonti di stampa e denunce delle organizzazioni sindacali apprendiamo che quei ragazzi, nonostante la tutela dello Stato, sarebbero finiti in una nuova spirale di sfruttamento, lavorando come braccianti agricoli nelle campagne del Brindisino: ancora una volta in nero,  sfruttati, con orari interminabili. Molti di loro, pur avendone diritto, non percepiscono nessun pocket money e  non alloggiano nelle case rifugio, in quanto queste strutture non sono sufficienti a soddisfare la richiesta di un numero elevato di persone. Per questo abbiamo immediatamente depositato un’interrogazione al Governo per conoscere quali siano le ragioni della mancata applicazione del programma di tutela spettante a tali lavoratori in qualità di collaboratori di giustizia e, in particolare, del ritardo nella corresponsione dei rispettivi pocket money mensili. E’ uno snodo cruciale che chiama tutti noi, classe dirigente, Istituzioni, imprese, ad una responsabilità ben precisa: capire cosa questa terra vuole essere e come. Se vuole essere la terra di un’agricoltura senza regole, dove i lavoratori sono trattati come schiavi, e il caporalato è ancora un anello importante, o se vogliamo essere una terra dove la filiera della dignità del lavoro, della sua tutela, della qualità lascia una traccia indelebile. Di certo, è difficile essere contemporaneamente le due cose”.

 

 

 

 

 

 

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