Tomaselli (PD): “nel sud innovazione e modernità confliggono con arretratezza e ritardi cronici”
Nei giorni scorsi la Direzione nazionale del PD ha avviato una discussione sul tema del rilancio del Mezzogiorno,
anche a seguito dell’eco che hanno avuto le anticipazioni del rapporto Svimez 2015.
Matteo Renzi non ha inteso annunciare – rivendicandolo esplicitamente – alcuna “bomba” mediatica limitandosi ad una serie di riflessioni e ad avanzare un programma di lavoro, che culminerà nella presentazione a metà settembre, alla vigilia della legge di stabilità 2016, di un programma di interventi.
Un approccio serio e responsabile a cui dovrà seguire la verifica della prova dei fatti.
Tra i tantissimi racconti che si sono susseguiti in una straordinaria quantità nelle scorse settimane, mi ha colpito l’intera pagina dedicata dal principale quotidiano del paese ad una azienda promossa da due giovani pugliesi e da un imprenditore avveduto e lungimirante come Vito Pertosa, che opera nel settore dell’aerospazio, la Blackshape di Monopoli, di cui ho la fortuna di conoscere storia e protagonisti: uno dei tanti casi di eccellenza industriale della nostra terra e di vere e proprie avanguardie tecnologiche che si vanno facendo strada nel mercato mondiale.
Un esempio, tra mille possibili, che fa da contraltare alle perduranti arretratezze che ancora pervadono vaste aree del mezzogiorno: dalla debolezza delle infrastrutture materiali a quelle sociali, dalla disoccupazione giovanile e femminile al deficit di legalità e così via.
Insomma, una fotografia in chiaroscuro che ci consegna da anni – come sostiene da tempo anche la stessa Svimez – più sud che convivono in una sorta di dualismo interno in cui innovazione e modernità confliggono con arretratezza e ritardi di sviluppo cronici.
È qui la sfida, certo non nuova ma resa ancora più urgente dall’acuirsi dei caratteri e della qualità delle differenze: come costruire una connessione tra mondi così diversi e così contigui (territorialmente, culturalmente, socialmente)?
Al di là delle legittime ma francamente poco utili letture politicistiche, tutte piegate alla ricerca delle responsabilità, magari delle ultime in ordine di tempo, di una “questione” che resiste da oltre un secolo, a me pare più utile un confronto sul merito di quali politiche, di quali risorse e di quali strumenti possano aiutare a sanare il dualismo citato.
Le politiche. Ne servono di moderne e di efficaci, purché siano politiche nazionali, come richiama Carmine Dipietrangelo nel suo recente intervento, che, nell’aiutare la modernizzazione e la competitività dell’Italia intera, promuovano nel contempo nello stesso Mezzogiorno un netto avanzamento delle condizioni di vita, del fare impresa, della dotazione infrastrutturale, della legalità e così via. Alcuni esempi di politiche nazionali e di riforme di sistema, in parte già avviate negli ultimi mesi, della cui piena attuazione, io credo, si avvantaggerebbe innanzitutto il mezzogiorno: la riforma della pubblica amministrazione all’insegna dell’efficienza, del merito, della capacità progettuale; la riforma della portualitá e della logistica che superi visioni localistiche e rilanci la funzione nazionale di piattaforma nel mediterraneo, resa ancora più strategica dal recente ampliamento del canale di Suez; una politica nazionale per il turismo, settore di cui le regioni meridionali detengono una enorme quantità di fattori competitivi non “esportabili”; una politica industriale che, come dimostrano le vicende ILVA e le varie crisi industriali risolte negli ultimi mesi, da un lato confermi come sia possibile sconfiggere il rischio di “desertificazione industriale” e, dall’altro, ribadisca che una solida manifattura, sostenibile ed innovativa, continui ad essere ancora oggi la via migliore per creare occupazione solida e duratura.
Le risorse e gli strumenti. Al mezzogiorno, non vi è dubbio alcuno, negli ultimi venti anni di scelte di vari governi, compreso l’attuale, sono state sottratte risorse ingenti. Allo stesso tempo è, altresì, evidente che le altrettanto cospicue risorse ad esso destinate, di origine comunitaria e non solo, sono state spese spesso in modo non adeguato o addirittura sono rimaste non utilizzate. Siamo, infatti, il secondo paese per assegnazione di fondi UE ma solo il quartultimo per capacità di utilizzo: ancora nell’ultima programmazione l’Italia si presenta con ben 11 programmi operativi nazionali, 22 programmi operativi regionali, centinaia e centinaia di azioni….!!! La scelta di concentrare la gestione e la stessa destinazione delle risorse per un loro più solido ed efficace impatto sui bisogni di crescita del mezzogiorno diviene quindi non più rinviabile: vorrei dire, se non appare un’eresia, che mi pare ancora più importante che i soldi arrivino effettivamente ed utilmente al sud più che ne venga decisa al sud la finalità.
Individuare poche macro-aree di intervento è la prima conseguenza di tale ragionamento. Penso a tre priorità: le grandi infrastrutture, a cominciare dalle interconnessioni ferroviarie (la Bari-Napoli e la Palermo-Messina-Catania); il sostegno al sistema produttivo, alla ricerca e alla formazione del capitale umano; il turismo e la cultura.
Una impostazione che avrebbe come coerente corollario il sostanziale superamento (al netto dei vincoli procedurali in materia di gestione di fondi comunitari) della “regionalizzazione” nella gestione e nella destinazione dei fondi comunitari, considerando per davvero e finalmente il mezzogiorno come una unica grande macro area territoriale.
Si tratterebbe di vincere le resistenze di intere classi dirigenti di regioni ed enti locali che, per troppo tempo, hanno guardato a queste così ingenti risorse più come un cantiere di consenso che di opere e progetti di ammodernamento delle infrastrutture materiali e sociali della propria terra: da meridionale sostengo che ce lo dobbiamo dire con franchezza perché da questa verità può prendere le mosse una nuova consapevolezza dei nostri limiti e delle nostre potenzialità, nonché di ciò che, per davvero, possiamo e dobbiamo chiedere al paese intero.
Infine, vi è un altro tema, su cui varrà la pena tornare più diffusamente: come si organizza, in questa fase storica, la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica nel mezzogiorno. La crisi irreversibile dei partiti ha lasciato enormi spazi vuoti e lo stesso PD arranca e sembra declinare lentamente, specie in questa parte del paese, come sommessamente mi è già capitato di scrivere nei mesi scorsi, “verso meccanismi degenerati di ricerca del consenso e di cedimento della funzione delle formazioni politiche, con cui evapora ogni sembianza di comunità a vantaggio di un mero scontro di potere, da cui le persone perbene scappano e i mestieranti della politica restano”.
Ha davvero ragione Renzi quando, nel richiamare la storica coincidenza che vede il PD alla guida del paese e di tutte le regioni del sud, sostiene che non abbiamo più alibi e che la responsabilità è solo nostra: ma forse, specie nei territori dei tanti sud di cui abbiamo fatto cenno, vi sarebbe, anzi vi è proprio bisogno di un altro PD.
Sen. Salvatore TOMASELLI
Capogruppo PD Commissione Industria