Gasdotto Tap e politica energetica: le contraddizioni di Emiliano (Carmine Dipietrangelo)

Con un tweet il presidente della regione Puglia, Michele Emiliano, ha comunicato di "avere chiesto formalmente a Tap Italia di cambiare l'approdo del gasdotto da Melendugno a Brindisi". 

Nel programma di governo presentato da Emiliano e approvato dal consiglio regionale si fa della partecipazione la cifra più importante della nuova amministrazione.

La "partecipazione come diritto" che integra la democrazia rappresentativa e' stata formulata nella prima proposta legislativa della giunta pugliese. Secondo questa proposta "cittadini,comuni,partiti,associazioni,imprese,sindacati,devono contribuire alle grandi decisioni,come quella di costruire un gasdotto o di chiudere una fabbrica inquinante".

Non si capisce quale coerenza ci possa essere tra il richiamarsi a questa procedura e l'aver chiesto a Tap,senza sentire alcuno,di spostare l'approdo a Brindisi.

Che intende per partecipazione Emiliano e sulla base di quale coinvolgimento del territorio brindisino, il presidente della regione ha deciso questo spostamento?

Non si hanno notizie di iniziative che,pur previste nella sua proposta di legge,siano state attivate per consentire ad Emiliano di decidere inopinatamente lo spostamento del suddetto approdo.

Nel silenzio dei tanti si fa passare, aldilà del merito, una simile e grossolana contraddizione. Mi auguro che le istituzioni locali,come sembra intendono fare,reagiscano e facciano capire anche ad Emiliano che i territori non vogliono più subire scelte calate dall'alto anche quando a farle per Brindisi sia questo presidente di regione.

Voglio far notare però che oltre alla questione di un metodo inaccettabile e offensivo,c'è una questione di merito che non può essere affrontata con la superficiale motivazione come quella di giustificare lo spostamento dell'approdo del gasdotto per alimentare a metano la centrale di cerano. Si è fuori dalla realtà e da quanto sta avvenendo in Italia,in Europa e nel mondo in materia energetica. Costruire o riconvertire,anche a gas,grandi centrali di produzione energetica e' ormai una strategia industriale vecchia e non più accettata,oltreché non compatibile con le dinamiche dell'attuale mercato dell'energia.

Di cosa si parla allora?

Il nuovo piano industriale presentato in questi giorni dall'Enel,oltreché confermare la ulteriore internazionalizzazione del gruppo,ha ribadito e impostato,rafforzandola,la sua strategia di "decarbonizzazione" e non prevede nessun aumento di ricorso al gas.

Nel piano si legge che l'Enel va verso un riassetto verde. Gli investimenti previsti per la futura produzione energetica saranno rivolti alle fonti rinnovabili arrivando al 53%,mentre quelli per la generazione elettrica convenzionale scenderanno al 17%. Non a caso l'Enel ha deciso da qualche anno un processo di dismissione delle proprie centrali alimentate da fonti fossili.

Nel 2019 la capacità elettrica dell'Enel,per più della metà,sarà garantita dalle fonti rinnovabili. Gli investimenti vanno,infatti, in quella direzione.

In questi giorni il governo del Regno Unito ha deciso di dismettere le proprie centrali a carbone entro il 2025 con l'obiettivo di "costruire una nuova infrastruttura energetica adatta al XXI secolo". Che a fare questa scelta sia oggi il Regno Unito,dove il carbone segno' l'inizio dell'età industriale, e' ancora più significativo.

La stessa scelta la stanno facendo gli Stati Uniti d'America e in questa direzione si sta orientando anche la Cina.

L'Europa già a inizio di quest'anno ha deciso di dare ai paesi membri l'obiettivo del 2030 come limite massimo entro cui eliminare il ricorso ai combustibili fossili(carbone,petrolio,metano) per la produzione energetica. Queste scelte di rinunciare ai fossili per produrre energia sono dettate dalla urgenza di limitare quanto più possibile la produzione di CO2,quale causa principale del mutamento climatico. Di questo si parlerà nella conferenza mondiale sul clima di Parigi tra qualche settimana.

Se questo,allora, è il quadro nazionale e mondiale in cui si sta riorganizzando la politica della produzione energetica,mi chiedo che senso ha parlare ancora di utilizzare il metano nella centrale di cerano che prevedibilmente dovrà essere chiusa tra non più di 15 anni sia per suo esaurimento fisico e sia per il limite posto dall'Europa.

Se per giustificare lo spostamento del gasdotto Tap, previsto, progettato e già in fase di costruzione sulla costa di San Foca,si ricorre tardivamente a proporre il sito alternativo di Brindisi, chi lo fa non sa di cosa parla.

Non si utilizzi la centrale di cerano per giustificare questa scelta. Si trovassero altre motivazioni ma non questa per convincere i brindisini su ciò che Emiliano ritiene non opportuno realizzare nel territorio leccese.

La trasformazione a metano della centrale di Cerano,realisticamente,mi sembra poco credibile e forse non compatibile con l'attuale suo assetto produttivo e tecnologico alla luce anche dei recenti investimenti realizzati per la sua ambientalizzazione(copertura del carbonile,interventi sui filtri,ecc.). È' credibile una sua riconversione a metano? Chi se ne dovrebbe fare carico? Il mercato dell'energia alimentato ormai per più del 50% da fonti rinnovabili ha bisogno ancora di centrali a carbone o a gas? La strategia energetica italiana non sembra che vada in questa direzione. Anzi. E con quali risorse si dovrebbe costruire una nuova centrale(perché di questo si tratta) dal momento che ne' il governo e ne' l'Enel prevedono investimenti in questa direzione?

Lo sforzo finanziario invece andrebbe rivolto alle fonti rinnovabili,all'efficienza energetica,al risparmio,alle innovazioni e alla ricerca. Il metano deve essere utilizzato per altro e non per aumentare una capacità elettrica già sovradimensionata rispetto allo stesso fabbisogno italiano.

L'approdo a Brindisi del gasdotto non può allora essere giustificata da nessuna ragione industriale ed energetica. L'impegno andrebbe rivolto invece in direzione della futura dismissione o esaurimento produttivo della centrale di Cerano. Tra più o meno di 15 anni con questa situazione il territorio dovrà fare i conti. 

Classi dirigenti lungimiranti dovrebbero cominciare a costruire una alternativa per evitare di viverla come emergenza e non come una opportunità per valorizzare competenze, imprenditorialità,professionalità che nel corso degli anni si sono formate a Brindisi. L'esperienza della centrale di costa morena non ha insegnato niente? Adesso si è in tempo per avviare un confronto con l'Enel per inserire il futuro del nostro territorio nelle nuove politiche industriali del gruppo,nelle tecnologie green,nel suo nuovo assetto verde. Gli investimenti futuri dell'Enel,aldilà di quelli necessari per la produzione energetica convenzionale,possono riguardare il nostro territorio? Anche in questo modo ci si può preparare al dopo uso dei combustibili fossili(e tra questi c'è il metano). Lo ripeto, il 2030 e' tra 15 anni!

Brindisi,allora,reagisca,e,se è in grado,offra ad Emiliano elementi di valutazione non solo per una legittima difesa di un territorio che non può accettare,attraverso un tweet,la localizzazione di una infrastruttura che se non va bene a Melendugno non si capisce perché dovrebbe andare bene a Brindisi,un sito,tra l'altro, a suo tempo scartato.

Ad Emiliano va ricordata la "partecipazione come diritto" dei brindisini prevista dalla sua stessa proposta di legge; una partecipazione ricca di contributi per costruire,partendo da Brindisi,una nuova politica energetica e ambientale regionale coerente con i limiti e gli obiettivi nazionali ed europei. Brindisi si dovrebbe difendere così,guardando al suo futuro che non può essere rappresentato da un gasdotto che tutti sanno non potrà mai alimentare la centrale di Cerano. Non voglio credere che con lo spostamento del gasdotto e con la scusa di Cerano si voglia risolvere un problema politico creatosi sul territorio leccese,o,come pensa qualcuno,è solo un modo per dire che Emiliano la sua parte l'ha recitata.

Carmine Dipietrangelo

Presidente LeftBrindisi

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