Don Elio Bardaro (di Pompeo Molfetta)
Si riporta il contributo del Sindaco Pompeo Molfetta nella serata di commemorazione di Elio Bardaro
Lo ricordo ancora, il volto bonario a sormontare un corpo massiccio e austero, i modi sbrigativi e risoluti di chi ha attitudine al comando, l’ immancabile borsello ascellare, la ruvida “r” moscia ossessivamente ripetuta nel fatidici “chi prende la parola?!” con cui governava il consiglio comunale.
Lo ricordo piantato nel bel mezzo della Porta Piccola circondato da uno stuolo di questuanti: uomini piccoli, ebbri del solo rendergli qualche piccolo servigio come comprargli il pesce al mercato, spedirgli una raccomandata, portare il vestito in tintoria pur di annusare su di lui il profumo del potere e sperare che dalle sue mani ne cadesse qualche briciola.
Lo ricordo nei mille conciliaboli al centro del capannello dei suoi fidatissimi replicanti con cui finiva poi a prendere il caffè da “Puccianna” ove immancabilmente pagava lui, e dove si facevano e disfacevano governi e alleanze. Proveniente dal partito Liberale, (che per noi, sacerdoti della rivoluzione antiliberista era come dire venuto dal nulla, finisce presto nella DC, ma a differenza di quasi tutti i consiglieri comunali ed i dirigenti del suo partito, non aderisce mai formalmente a nessuna corrente. Conservò gelosamente un autonomia che era parte della sua indole e che gli garantiva quell’abile capacità di mediazione, indispensabile per tenere unite intorno a se le diverse anime del partito. Per contro questa equidistanza da tutti i grandi potentati della DC ne confinò il ruolo solo in ambito locale e mai ebbe la spinta sufficiente per proporsi a livello regionale o nazionale.
Fu amico fraterno dell’ abruzzese Remo Gasperi quando questi era ministro delle poste e amico personale di Antonio Gava che da potentissimo ministro degli interni, gli rese l’onore di una visita nell’Aprile dell’85, in occasione delle elezioni regionali cui don Elio era candidato- Ma tanto non bastò a fargli fare il grande salto.
Si diceva invece che non corresse buon sangue fra lui e l’on. Italo Giulio Caiati, a quel tempo potente signore della DC meridionale e già ministro per il mezzogiorno senza portafoglio. Questi, non potendo carpire a pieno il consenso del sindaco, sembra che ne ostacolò la elezione alla regione. Questo si diceva ma i due in fondo si somigliavano, avevano la stessa bonaria umanità, la stessa concezione feudale del potere e lo stesso modo di conservarlo. La fila delle macchine davanti alla villa dell’onorevole Caiati era tanto lunga quanto la fila di pioppi ai margini della provinciale e quanto la fila degli indigenti nell’anticamera del sindaco Bardaro.
Si dice che don Elio si muovesse nei vari ministeri e nei grandi palazzi del potere romano con la stessa familiarità e consuetudine con cui percorreva i corridoi e le stanze del suo municipio. Sembra che anche a Bruxelles conoscesse ristoranti buoni per strappare a funzionari CEE contributi per la sua città. Tutto era disposto a fare per la sua città e per i suoi cittadini
Sarà dunque, buon amico di tutti ma vassallo di nessuno. Latore di un consenso ampio ed inossidabile che, nel momento di maggior fulgore poteva quantificarsi in circa 6.0000 voti di preferenza, che venivano soprattutto dagli strati più popolari, dai ceti meno abbienti, dal centro storico suo feudo personale, da quella povera umanità di cui conosceva perfettamente vizi e virtù.
Mai e poi mai un indigente, pur nel culmine della collera, avrebbe osato scagliargli una sedia contro come invece malcapitò a Franco Damiano ( 2/7/2000), un pò per l’imponenza del suo fisico, un pò perché, quand’ altro rimedio non vi fosse, sapeva metter mano al portafoglio, (soluzione anche questa non propriamente consona ai suoi successori sindaci comunisti me compreso ).
Incontrava ampio consenso anche nella borghesia imprenditoriale, fra i ceti medi, fra i commercianti per quella capacità di dare risposte “ad personam” spesso in deroga a leggi ed ordinamenti con procedure sburocratizzate all’occorrenza (licenze commerciali, concessioni edilizie..ecc...). Sapeva compiacere categorie ed ordini professionali grazie alla committenza di una esosa progettazione esterna di opere pubbliche, talvolta prive di copertura finanziaria,..
Non so se Don Elio abbia lasciato una eredità di pensiero, e non credo abbia introdotto particolari elementi di innovazione politica, il suo talento si esplicò tutto nella capacità di radicamento nel corpo sociale di cui seppe interpretare bisogni, aspirazioni, di cui conosceva le più segrete contraddizioni e su cui riusciva a dirottare tutto il buon vento assistenziale che caratterizzò il sistema nazionale di potere della DC. Senza dubbio però deve essergli riconosciuta la capacità di essere stato antesignano nel modo di interpretare il ruolo del sindaco come emanazione diretta del popolo
Non si può dire tuttavia che il popolo si riconoscesse in lui, anzi buona parte della città ne mormorava i difetti e numerosissimo fu lo stuolo dei suoi detrattori, ma tutti gli portavano rispetto per l’autorità del ruolo e per quel fascino suadente che il potere esercita sugli uomini.
Seppe utilizzare al meglio gli strumenti della mediazione e del compromesso con cui poté mantenere la leadership del partito per circa 20 anni consecutivi, resistendo fieramente ai mille attacchi esterni e alle congiure interne. Queste prerogative però non gli bastarono a salvare la DC e se stesso dal tracollo del ’92. Anche noi fummo tra lo stuolo dei suoi detrattori, ne avversammo per anni la politica facilona e assistenzialista, l’induzione ad una sottocultura borbonica, l’uso sprezzante del potere per il potere, ma oggi il giudizio finale non può che essere sospeso perché la sorte ha negato a lui il diritto di replica.
Oggi quel giudizio allora sprezzante deve essere mitigato da 30 anni di storia che hanno profondamente tradito il nostro anelito al cambiamento: è passata la prima repubblica, forse anche la seconda e pare che tutto sia cambiato affinchè niente sia cambiato
Affidiamo il suo ricordo all’immagine laconica e triste di quando salì per l’ultima volta sul palco di un comizio elettorale, per sostenere un nuovo capolista della DC venuto da chissà dove, in una competizione amministrativa (’92) cui era ormai estraneo. Mentre, l’on. nessuno , arringava tiepidamente una folla sparuta e distratta alla “Porta Grande”, don Elio, per la prima volta in seconda fila, volgeva le spalle ai suoi elettori. Giù dal palco alcuni vecchi leoni democristiani scuotevano la testa presagendo un futuro imminente gonfio di sventure.
Se ne andava così, senza neanche l’onore delle armi, l’ultimo governatore della DC e se ne andava tirandosi dietro uno stuolo di uomini politici cresciuti alla sua ombra, non certo alla sua altezza cui anche la riconoscenza dovette far difetto.. Si dice ( e speriamo che così non sia stato) che la sua prima notte da morto la passò da solo nella chiesetta di San Leonardo, nel suo amato centro storico; in pochi restarono a vegliare la salma, tanto sa essere ingrato e crudele il cuore dell’ uomo.