Iurlaro (Ala) su unioni e "adozioni" chiarisce la propria posizione
Unioni civili e “adozioni”: credo sia utile alimentare un dibattito, ma anche e soprattutto chiarire alcuni punti della riforma
e sbugiardare qualche falsità letta in questi giorni. Infine, pure, chiarire quella che è la mia posizione.
In ordine, partiamo proprio dall’istituto delle unioni. E qui, ho idea, occorre la prima precisazione. Ovvero, che non si parla e non si può parlare di unioni etero o omosessuali. Sarebbe discriminante, certo. Ma sarebbe anche, da un punto di vista strettamente giuridico, assolutamente inconcepibile. Lo è nel XXI secolo, lo è in un Paese che rivendica il proprio ruolo in Europa, lo è in una società che non può restare ancorata ad una visione ipocrita di se stessa. Le unioni tra persone e coppie al di fuori del matrimonio sono una realtà, importante per numeri, che deve essere formalizzata. Questo a tutela dei componenti della coppia, dello Stato e, anche, di eventuali figli nati da precedente rapporto. Appunto.
E questo ci porta al tema più dibattuto della questione. Ovvero, la cosiddetta “Stepchild Adoption” su cui sto ascoltando, mi si consenta il termine, un sacco di baggianate. Per comprendere meglio il significato dell’intero istituto occorre, per prima cosa, tradurre dall’inglese. A scanso di equivoci o posizioni strumentali, la traduzione letterale del termine è “l’adozione del figliastro”. Probabilmente tanto basterebbe, in alcuni casi, a chiarire davvero la natura di questa formula di adozione che, proprio come le Unioni Civili, non lede certo i diritti della famiglia naturale né di nessun altro. Piuttosto, è un istituto che, al netto del superamento di pregiudizi inutili e pericolosi, tutela in ogni senso lo stesso minore adottato.
Un punto fondamentale da chiarire è che la stepchild adoption non può in nessun modo essere equiparata all’adozione di un minore esterno alla coppia. L’istituto prende in esame l’unica ipotesi in cui ad essere adottato da parte di uno dei componenti dell’unione sia il figlio naturale, legittimo e riconosciuto dell’altro componente della coppia. Se non si tratta di un’ovvietà, non può evidentemente essere tale considerando il dibattito venutosi a creare, alla maggior parte dei cittadini dovrà apparire chiaro come l’adozione prevista dal Ddl Cirinnà si muove sui binari, se non del buon senso, della linea già acquisita dalla giurisprudenza. Non potrebbe essere altrimenti. La stepchild adoption non è certo una novità. In Italia esiste dal 1983 e dal 2007 è estesa non solo alle coppie sposate, ma a tutte le coppie eterosessuali. In tempi recenti, la stessa giurisprudenza, a suon di sentenze emesse dai tribunali, ha sancito come l’orientamento sessuale dell’adottante non può costituire un elemento ostativo alla stepchild. Lo è, invece, la capacità genitoriale, ovvero la capacità di un individuo di essere o meno di un buon genitore. Elemento che, a meno ché non ci si ostini ad una visione omofoba e discriminante dei rapporti tra persone dello stesso sesso, non può in alcun modo essere invalidato dalle tendenze sessuali del futuro genitore. Neppure, aggiungo, di quello biologico. E non potrebbe essere altrimenti.
Ricapitolando e sintetizzando, la stepchild adoption si concretizza come la capacità di un individuo, qualunque sia il suo sesso o il suo orientamento sessuale, ad adottare il figlio del compagno previo, dopo un accurato screening sull’idoneità affettiva, la capacità educativa, la situazione personale ed economica, la salute e l’ambiente familiare di colui che chiede l’adozione, il consenso del genitore biologico. Il tutto, si capisce, è in favore dello stesso figlio che, in questo modo, acquisirebbe una serie di doveri, ma soprattutto di diritti derivanti dall’adozione. Si pensi, basti questo, alla successione.
Non nascondo che, fuorviato dall’utilizzo strumentale e spesso improprio del termine “Stepchild Adoption”, io stesso ho mantenuto, sino al recente passato, una posizione più moderata sull’argomento. Eppure, ritengo che persino uno studio basilare del Disegno di Legge possa bastare per rendersi conto di come il riconoscimento delle Unioni Civili sia strettamente collegato a quello delle adozioni, rendendo impossibile, come chiesto strumentalmente da più parti, la scissioni dei due istituti.
Ci chiede tutt’altro, invece, l’Europa. Ce lo chiede la nostra stessa Costituzione. Ce lo chiedono, soprattutto, centinaia di famiglie e centinaia di bambini che, senza una corretta acquisizione del Ddl, rischierebbero di trasformarsi in “figli di nessuno”. Un’anomalia, questa sì, giuridica e sociale che, lo dico da cattolico e padre di famiglia, troverebbe solide basi solo sulle fondamenta dell’ipocrisia e della discriminazione più becera.
Sen. Pietro Iurlaro (ALA)