Il “nuovismo” di Renzi (On. Michele Graduata)

Una gravissima crisi economica che, in pochi anni, ha frantumato intere classi sociali e dissolto consolidate convinzioni;

le ricorrenti e stucchevoli lacerazioni all’interno del gruppo dirigente del PD, spesso consumate non su diverse linee politiche ma per accaparrare posizioni di potere; una martellante campagna antipolitica orchestrata e diretta al fine di mettere in discussione le regole e le garanzie che i partiti e i sindacati attuavano per garantire, su basi eque, una comune convivenza; infine la volontà di pochissimi (imprenditori che inquinano; super-manager che si arricchiscono licenziando; grandi speculatori che in un giorno accumulano enormi fortune; ecc.) di assicurarsi la libertà di non avere più alcuna responsabilità nei confronti della società, hanno incoraggiato la scalata alla guida del partito e del paese di una minoranza di oscuri amministratori locali fiorentini. E’ iniziata, così, la nuova stagione politica del renzismo.

Ha insegnato Bobbio che “il problema della conquista del potere non può essere completamente isolato dal problema dell’esercizio, o in altre parole, che il modo con cui il potere viene conquistato sia totalmente indifferente rispetto al modo con cui verrà in seguito esercitato”. Renzi ha, di fatto, conquistato la guida del partito calpestando le regole democratiche. Utilizzando, infatti, il cambio dello statuto del PD offertogli da Bersani per consentire a chiunque di partecipare alle primarie per l’elezione del segretario, ha potuto vincerle confermando il precetto del più celebre fiorentino per il quale: “Quando i principi hanno pensato più alle delicatezze che alle armi, hanno perso lo Stato”.

Dopo aver scalato il partito, Renzi si è presentato al grosso pubblico come il rappresentante di una nuova generazione animata da forza travolgente e avvolgente furbizia e per questo, naturalmente, destinata al comando. Facendo propria la lezione del conterraneo Machiavelli per il quale: “Gli uomini sono così ingenui e legati alle esigenze del momento che colui il quale vuole ingannare troverà sempre chi si lascerà ingannare”, ha cavalcato in modo virulento il diffuso populismo esistente nel paese e ha ricercato un rapporto diretto con il popolo in cambio della promessa della liquidazione di ogni mediazione politica, sociale e istituzionale.

Appena ha assunto responsabilità di governo il nuovismo renziano ha puntato a far cambiare verso all’Italia rottamando la sinistra, i partiti, i sindacati, umiliando il mondo del lavoro, dando la caccia ai gufi e alleandosi con Marchionne, la Confindustria, i petrolieri e la grande finanza. Facendo leva sulla sottomissione servile di tanti, ancora una volta sta compiendo in Italia una rivoluzione conservatrice al servizio del peggior continuismo utilizzando un linguaggio rivoluzionario per realizzare, di fatto, un progetto di restaurazione.

Così è sul piano politico, dove viene proposta la rottamazione della democrazia orizzontale che prevede la partecipazione effettiva di tutti all’organizzazione politica, economica e sociale, per reintrodurre quella verticale, dell’uomo solo al comando, che era stata bocciata alla Costituente.

E così è sul piano economico, dove si punta a rottamare la democrazia economica che, tra l’altro, prescrive: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”, per riproporre il liberismo voluto da Einaudi e rigettato da Ruini, a nome della stragrande maggioranza dei padri costituenti, con la motivazione che: “la teoria del mercato in libera concorrenza semplicemente non regge più alla luce delle vicende storiche”. In sostanza, il nuovismo di Renzi non è altro che il tentativo di rottamare il passato prossimo, per riproporre, come nuovo, quello remoto.

In questo contesto di restaurazione politica ed economica si colloca il referendum costituzionale previsto per il prossimo autunno. Dopo aver reso impotente la sinistra, diffusa la convinzione che non esiste più differenza fra Destra e Sinistra, dopo aver criminalizzato il conflitto di classe per costringere quelle più deboli ad accettare le scelte di quelle più forti, dopo il nuovismo predicato e realizzato sul piano politico ed economico, si punta ora a quello istituzionale, promosso dal governo Renzi e auspicato dalla J.P.Morgan, con lo scopo di depotenziare soprattutto le Costituzioni del sud Europa che mostrano, come scrive il colosso finanziario statunitense tra i massimi responsabili della crisi dei mutui subprime: “una forte influenza socialista in quanto riflettono la forza politica guadagnata dai partiti di sinistra al crollo del fascismo”.

La posta in gioco è, perciò, altissima: non si punta a cancellare la democrazia, ma a svuotarla dall’interno. L’obiettivo, in sostanza, è: concludere la stagione della sovranità affidata a parlamenti eletti a suffragio universale, e aprirne un’altra che, secondo le convinzioni dell’attuale presidente della Commissione Europea dovrebbe avere il seguente sbocco: “Decidiamo qualcosa (in Europa), la rendiamo pubblica e aspettiamo un po’ per vedere cosa succede. Qualora non ci sono grosse proteste o opposizioni dato che i più non capiscono assolutamente cosa abbiamo deciso, allora tiriamo dritto passo dopo passo, fino al punto di non ritorno”.

Michele Graduata

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