Italicum, Riforma e PD (Carmelo Molfetta).

L’idea che l’ITALICUM possa garantire la governabilità, ancorché obiettivo degno di adeguata considerazione, è un vero e proprio azzardo.

Sarà anche suggestivo ipotizzare che un partito, da solo, possa accaparrarsi 340 seggi su 630 in virtù del meccanismo escogitato mediante l’attribuzione del premio di maggioranza; ma ritenere che un sistema elettorale, di per sè, possa garantire la stabilità del governo è smentito dalla storia politica dell’Italia Repubblicana.

D’altra parte il momento di travaglio che vive il Partito Democratico, quello che, illusoriamente, dovrebbe godere, nelle intenzioni degli ideatori della legge elettorale al vaglio della Corte Costituzionale, del premio di maggioranza, non garantisce certamente una tale stabilità di orientamento in favore del governo.

Peraltro è gia successo, proprio al momento dell’approvazione dell’Italicum, allorquando non pochi deputati del Partito democratico non votarono la fiducia al governo che passò grazie agli aiutini esterni.

In quella circostanza si verificò una rottura nel Pd: ben 38 deputati (2 assenti per malattia) della minoranza dem non votarono. Più o meno gli stessi che, decisero di non votare a Montecitorio il Jobs Act: allora furono 29 a non votare (tra cui Cuperlo, Fassina e Bindi) più i voti contrari di Pippo Civati e Luca Pastorino e due astensioni.

Esattamente proprio quello che l’Italicum vorrebbe evitare che accadesse.

Affidare alla sola tecnica elettorale la stabilità di governo, senza spessore culturale istituzionale dei componenti la maggioranza, senza dibattito democratico rispettoso dei diversi orientamenti, senza leadership accettata, è mero esercizio di potere.

Imperativo categorico è, dunque, decidere; decidere e governare: questo sarebbe, in estrema sintesi il contenuto della democrazia moderna.

Ed in effetti, “..la democrazia è proprio questo: è decisione, chi governa deve avere gli strumenti necessari per guidare il paese, per attuare il programma con il quale è stato eletto, per decidere. Questa è la forza di una democrazia, di una democrazia che decide”; in questo contesto c’è bisogno di “un Parlamento che controlli severamente e indirizzi l’azione dell’esecutivo ma che non pretenda di essere esso stesso, governo assembleare.”

Non si tratta di dichiarazioni di principio rese da Renzi in un momento di particolare allucinazione, ma del discorso fondativo del Partito Democratico tenuto da Veltroni al Lingotto di Torino il 27 giugno del 2007.

Trovate qualche differenza tra i principi fondativi del Partito Democratico proclamati da Veltroni e l’azione applicativa di quei principi attualmente esercitata da Renzi?

Lo svuotamento del ruolo del Parlamento per come noi lo abbiamo conosciuto, è una spregiudicata azione dell’attuale premier, oppure è la conclusione di un percorso che trova le sue origini addirittura negli atti fondativi del PD?

Le derive autoritarie, ove esistenti, non nascono mai all’improvviso. Esse per essere accettate devono sedimentarsi nell’opinione pubblica e per ottenere questo effetto occorre tempo.

Infatti, a ben ricordare, quegli stessi principi sopra ricordati, a loro volta non nascono il 27 giugno del 2007, ma anche loro hanno un background teorico peraltro costruito in sedi istituzionali di altissimo livello.

Durante la XIII legislatura, venne istituita la seconda Commissione Bicamerale dotata di poteri referenti – nota come la Bicamerale Dalema- la quale, a proposito della scelta della forma di governo tra “premierato” e “semipresidenzialismo”, alla fine del dibattito, optò per il semipresidenzialismo e, sul punto, il relatore di maggioranza, Salvi, dichiarò di “essere ben consapevole delle critiche che vengono mosse nei confronti di tale forma d governo..in particolare nella compressione delle prerogative parlamentari ..”, per quanto ritenendo che “la critica all’elezione diretta come portatrice di possibile autoritarismo o plebiscitarismo va certamente ridimensionata in quanto si può anche discutere sulla sua opportunità ma non della sua legittimità democratica”.

Come è del tutto agevole verificare, dunque, la possibilità della compressione delle prerogative del Parlamento in favore di un rafforzamento del potere esecutivo viene da lontano ed ha ben nobili origini.

Il problema, cioè, a mio umile modo di pensare, è molto più grave che quello di attaccare l’attuale premier, che in verità non fa nulla per sottrarsi, perché investe i principi di cui ciclicamente ci si innamora.

Di questi tempi di tutto abbiamo bisogno, eccetto che di propagando fondamentalista e di caccia alle streghe.

Occorre invece un pacato confronto delle idee e, occorrendo anche una sana autocritica.

Mesagne 13 agosto 2016

Carmelo Molfetta

  

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