Referendum Costituzionale, Dipietrangelo: “no al tifo e al merito. La costituzione va cambiata, ma non così”
In questo avvio di campagna referendaria sulla riforma della costituzione hanno ancora una certa prevalenza i luoghi comuni, gli slogan.
Al voto del 4 dicembre ai cittadini saranno sottoposti ben 47 modifiche ad altrettanti articoli della costituzione.
Penso che si debba discutere apertamente delle modifiche che possano e debbano migliorarne il funzionamento, per riformarla e non per deformarla.
Sia chiaro non faccio parte della schiera di chi vuole imbalsamare il testo costituzionale.
Il richiamo al merito delle proposte deve essere veramente tale e non un modo per eludere proprio il merito.
I cittadini, per il tipo di quesito che viene loro proposto, saranno chiamati più ad un plebiscito che non ad una semplice risposta su un tema circoscritto come dovrebbe essere un referendum.
Più di un terzo della costituzione si deve votare con un si o con un no.
La Costituzione è la legge di tutti e quindi va valutata secondo i valori e i principi di ognuno.
Valutare le modifiche apportate ai 47 articoli rischia di diventare un semplice schieramento o posizionamento, secondo umori e sentimenti del momento e della contingenza politica.
Una riforma costituzionale deve essere valutata non isolatamente ma in una visione di assieme per comprendere se e in quale misura modifica e trasforma la democrazia politica vigente.
Ridurre tutto a slogan è un modo per sfuggire al merito che è poi quello che rimarrà dopo il referendum.
Così come non mi ha mai convinto chi in questi anni la politica l’ha intesa come tifo tra berlusconiani o antiberlusconiani, così come oggi quella che si divide tra renziani e antirenziani.
Valutare la costituzione con questo atteggiamento non si aiuta certamente ad un voto consapevole.
Per questo non mi convincono gli slogan di chi sostiene che con questa riforma si cambia e che basta un si per avere più occupazione, più investimenti, più semplificazione, più sviluppo, un paese internazionalmente più credibile.
Oppure che basta un si e d’un colpo si risolveranno tutte le disgrazie italiane.
Qualche manifesto chiede il voto per ridurre i politici e qualche autorevole rappresentante parla addirittura che i problemi dei più deboli saranno risolti. Manca quello che dica che il quesito di questo referendum sia “vuoi bene alla mamma?” pur di ottenere un si.
Insomma sembra che in questi anni, la causa della mancata crescita dell’Italia, dei 63 governi in 70 anni, il debito pubblico così elevato, la scarsa produttività, la burocrazia lenta e complicata, il divario tra nord e sud, sia stato della Costituzione.
I guai o i mali dell’Italia non sono da ascrivere ad alcune norme costituzionali ma soprattutto ad una politica incapace di esprimersi con serietà, sobrietà, competenza e onore come tra l’altro è contenuto nella stessa costituzione.
Ho sempre ritenuto che l’equilibrio tra la prima e la seconda parte della costituzione, compresa anche la legge elettorale, sia l’unico riferimento per qualsiasi sua modifica e adeguamento.
E veniamo al merito.
La eliminazione del senato e il conseguente superamento del bicameralismo paritario sembra essere il mantra di tutta la riforma e della propaganda a favore del si.
Intanto non è vero che il senato viene eliminato, viene solo nominato dai partiti attraverso accordi politici che si dovranno fare in ogni regione.
Il senato così come ridotto è un vero e proprio ibrido. Una mezza riforma. Una camera di serie B.
Sarà composto da 100 senatori e formato da consiglieri regionali, qualche sindaco e da 5 senatori indicati dal presidente della repubblica.
Nelle grandi democrazie i senatori non vengono nominati ma sono o eletti a suffragio universale (Spagna, Stati Uniti) o da una platea di 150.000 elettori (Francia) composta da sindaci, consiglieri comunali e regionali. In due casi vengono nominati.
In Gran Bretagna perché la camera dei lord è di nomina regia ed in Germania dai governi federali.
L’Italia non ha il Re ne’ è uno stato federale. Si faranno nominare i senatori dai consigli regionali evitandone la elezione diretta?
Il senato continuerà ad esistere, ma solo che non sarà eletto dal popolo.
E non è vero poi che questo senato non avrà poteri da sistema bicamerale come l’attuale.
Il senato conserva una serie di competenze legislative e non solo quelle che hanno carattere regionali o territoriali (continueranno ad esistere tra l’altro la conferenza stato-regione e quella stato-città).
Il tanto inutile bicameralismo paritario non è scomparso.
Il senato avrà le stesse competenze della camera dei deputati in materia di leggi costituzionali, di ratifica dei trattati internazionali e delle norme attuative e relative all’appartenenza europea (art.19). Ogni legge ordinaria dovrà essere trasmessa al senato (art. 10 comma 3) che ha dieci giorni di tempo per esaminarla su richiesta di un terzo dei senatori e trenta giorni di tempo per “suggerire” modifiche che naturalmente può respingerle. Ma se si voleva abolire il senato perché non farlo in maniera strutturale?
E se si voleva abolire il bicameralismo perfetto perché sostituirlo con uno imperfetto, confuso e pasticciato?
Si passa da un bicameralismo paritario ad uno che sussurra e suggerisce? Meglio questo che niente è la obiezione che sento in giro a sostegno della suggestione della semplificazione legislativa! La proposta sottoposta a referendum complica e non semplifica il procedimento legislativo. È del tutto evidente che in moltissime circostanze, quella maggiore rapidità di decisione politica, decantata dai sostenitori del Si, assolutamente non sussisterebbe. Inoltre, sulle competenze delle due camere, vi è la concreta possibilità che il probabile conflitto di competenze su materie specifiche di carattere bicamerale si aggrovigli in un contenzioso dinanzi la corte costituzionale.
E poi, nelle materie in cui il senato ha potestà legislativa piena assieme alla Camera dei deputati, quando emergerà un disaccordo tra le due Camere, cosa accadrà visto che in questi casi il governo non può porre al Senato la questione di fiducia? Una situazione che potrebbe diventare permanente nel caso in cui la maggioranza politica al senato (data la sua composizione) fosse diversa da quella della Camera.
Infine, rimettendo ad altri interventi di approfondimento sulle altre materie che il referendum pone, suggerisco a chi ne ha voglia di leggere l’art. 70 attuale e l’art. 70 riformato! L’attuale è composto da sole 9 parole, quello riformato da 451 parole pieno di richiami, rimandi, comma, rinvii. L’attuale costituzione prevede quattro possibili percorsi legislativi, con le modifiche apportate se ne prevedono almeno otto (secondo alcuni costituzionalisti sarebbero nove e secondo altri addirittura dieci) a dimostrazione di come la confusa e frammentaria formulazione delle norme impedisca persino di individuare con precisione tutt’e le possibili procedure legislative. Allora non si tratta di essere innovatori se si vota si e conservatori se si vota no. Si tratta di battersi per avere una costituzione che funzioni e che sia chiara a tutti e per tutti.
Non sono gli slogan o le strumentali semplificazioni elettorali che ci possano dare una buona costituzione.
Ci sono due mesi prima del voto, consiglierei ai tifosi dell’una o dell’altra posizione una lettura comparata dei 47 articoli che un parlamento non proprio costituzionalmente legittimato ha approvato.
Si deve cambiare certamente, ma non così. Ne potremmo pagare le conseguenze e ci
potremmo trovare a rimpiangere il passato.
Il voto su un più di un terzo degli articoli della costituzione meriterebbe un dibattito pubblico sereno, serio ,argomentato e almeno all’altezza di quello che seppero fare e garantire coloro che la costituzione la scrissero 70 anni fa. Per questo non servono i tifosi a prescindere ma un rispettoso dialogo e confronto. Su materie costituzionali così delicate il merito deve prevalere sulla contingenza politica o sull’idea che è meglio accontentarsi….che pretendere il meglio.
Carmine Dipietrangelo