Il referendum di Anonymus, la storia si ripete da duemila anni chiamato a decidere il popolo ha scelto: salviamo Barabba!

Era la sera del tre dicembre: la fila sembrava interminabile. Un nobile, lussuoso, riccamente arredato ampio salone li conteneva a mala pena.

Contati uno per uno erano esattamente trecento venti: in ginocchio, mani giunte e occhi imploranti perdono.

Lui, scudiscio in pugno e stivaloni e doppio petto da ordinanza li passava in rassegna: qualcuno più audace richiamava la sua attenzione reclamando comprensione: come faceva a non capire, il fustigatore, il valore della loro rinuncia.

La risposta arrivava tagliente come il rasoio; lo scudiscio segnava la guancia come il burro e veloce correva la mano a proteggere la guancia ferita: troppo tardi lo sfregio era ormai indelebile.

Tutti aspettavano che parlasse: le ginocchia doloranti e appesantite da palese ed evidente pinguedine coltivata da anni di privilegi in quanto tali non meritati, non vedevano l’ora.

Annunciata dal lampo degli occhi la voce arrivò possente come il tuono e crassa nelle espressioni: “ma come avete fatto a tagliare il ramo su cui eravate comodamente e molto lautamente seduti? Come vi è passato dalla mente di decidere la riduzione del numero dei componenti? A chi era rivolta la vostra misera mente quando avete votato a favore?

Era una vera e propria furia; non si poteva trattenere e loro erano lì in ginocchio frustati e frustrati per quello che poteva accadere da lì a poche ore.

Intanto l’assedio fuori dal salone sembrava sempre più minaccioso.

La pressione era tale che il misero cordone dei questori abituati alle risse da avanspettacolo da aula, non riuscivano a garantire la sicurezza degli inginocchiati.

Abituati a fingere di intervenire quando qualche “gianburrasca” esibiva un pesce morto, oppure un cappio o qualche scherzoso cartello, non sapevano come fare a trattenere la folla che si accalcava fuori dal salone: accidenti questi facevano sul serio.

Erano molte centinaia, provenivano da tutte le regioni e anche loro avevano le loro proteste da avanzare: i loro stipendi ridotti a poche migliaia di euro rispetto a quello che attualmente ricevevano erano in gravissimo pericolo.

A questo punto il più coraggioso, quello del “partito delle mogli e del mutuo da pagare”, in un salone impregnato dal puzzo di uno strano odore frutto della paura, alzò la mano e chiese la parola.

Calò il silenzio immediatamente; temevano la reazione di quello strano signore armato di frustino e con i capelli dipinti.

Balbettando ma con coraggio disse: “mi scusi, ma perché dobbiamo preoccuparci; aspettiamo manca poco. Avete visto quello che è accaduto in America? Ha vinto Trump, gli americani lo hanno votato nonostante tutti dicevano che avrebbe vinto l’altra candidata. Tutto può accadere.”

L’esperienza navigata di chi la sa lunga ebbe la meglio: gli inginocchiati ripresero colorito; la folla tumultuosa andò placandosi, l’aria era pesante ma speranzosa.

Arrivò la sera del quattro dicembre.

Il popolo aveva votato e aveva deciso.

Come duemila anni fa tra i due aveva scelto: salviamo Barabba.

Ma la democrazia, almeno quella, era salva.

Mesagne 8 dicembre 2016                   

ANONYMUS

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