Carmine Dipietrangelo sulla questione Brindisi

Ci risiamo? Dopo solo sette mesi dalle ultime elezioni amministrative del giugno scorso la città si ritrova, ancora una volta, priva di governo.

La volontà della maggioranza dei consiglieri comunali si è già espressa formalmente per uno scioglimento anticipato del consiglio comunale. A fronte di una mozione di sfiducia già sottoscritta, l’uso strumentale delle dimissioni del sindaco non è certamente una consapevole presa d’atto ma solo un disperato tentativo di inutile sopravvivenza, certamente pensato (da chi per lei?) in funzione di un eventuale mercanteggiamento di uomini, tra ricatti e di lusinghe.

Quanto di più vecchio e miserevole si è visto nel passato.

Questo sindaco e chi la consiglia ha portato la città in questo ennesimo vicolo cieco. Hanno fallito.

Interrompere questa agonia è un dovere civico. La città se fino a qualche giorno fa seguiva con un certo imbarazzo e con inquietudine l’evolversi della crisi amministrativa, in queste ore è disgustata e indignata per la pervicacia con cui si insiste in questa agonia e per lo spettacolo offerto.

La città è pronta (si fa per dire) per questa ennesima campagna elettorale amministrativa anticipata?

Il ceto politico brindisino vecchio e nuovo è già in grande fermento e in mobilità, mentre l’opinione pubblica si sente sempre più frastornata, sbigottita e, ripeto, disgustata e indignata.

La rappresentanza della politica è ormai da tempo implosa e sembra mossa solo da rancori e rivalse.

Della città e delle sue sofferenze ne parlano, con consapevolezza e competenza, in pochi.

Distinzioni, visioni diverse, proposte innovative che dovrebbero fare anche la differenza tra i soliti protagonisti (diretti e indiretti) sono diventate merce rara. Solo contrapposizioni e recriminazioni.

Un po’ di storia e di ricostruzione della vita amministrativa della città, forse, servirebbe e aiuterebbe a non perseverare negli errori e nei guasti che hanno reso Brindisi, agli occhi di tutti, ingovernabile e inaffidabile.

Se non ricordo male, in 22 anni, da quando il sindaco viene eletto in maniera diretta (1994) la città ha già subito cinque di elezioni anticipate. Con questa saremmo alla sesta.

In questo periodo i mandati completati ininterrottamente per cinque anni sono stati solo due, uno di Antonino dal 1997 al 2002 (grazie al cosiddetto ribaltone), l’altro di Mennitti dal 2004 al 2009.

In meno di 12 anni si sono consumate ben cinque interruzioni anticipate. Con questa ultima, in 13 anni, ben sei.

Iniziò Michele Errico ( si, l’attuale consigliere e garante dell’attuale sindaco dimissionario) che, primo sindaco eletto direttamente dai cittadini, interruppe autonomamente (non si è mai capito il vero motivo) dopo solo 11 mesi l’amministrazione di centrosinistra.

Dopo di lui fu eletto a capo di una amministrazione di centrodestra, l’avvocato Maggi, la cui esperienza fu interrotta dopo solo due anni; venne eletto, sempre per il centrodestra, Antonino che per evitare l’ennesimo scioglimento anticipato fece il cosiddetto ribaltone portando a compimento i cinque anni e poi, dopo un anno e mezzo, per le note vicende giudiziarie, ci fu l’interruzione del suo secondo mandato.

Il secondo mandato di Mennitti durò poco meno di due anni ed infine c’è stata l’interruzione traumatica della giunta Consales per le note vicende giudiziarie.

La città di Brindisi – da quando si vota direttamente il sindaco – non ha potuto usufruire di quella stabilità amministrativa per la quale fu pensata e fatta la nuova legge elettorale comunale. Essa prevedeva che i sindaci potessero essere eletti per non oltre due mandati (10 anni).

La città è stata privata di questa opportunità, ed è come se non fosse cambiato niente rispetto a quando i sindaci venivano eletti e sostituti più volte dai consigli comunali.

In quasi tutte le città l’elezione diretta dei sindaci ha prodotto effetti positivi e di stabilità consentendo agli stessi di programmare e realizzare interventi, di coniugare programmi e visioni con opere e scelte, oltreché di formare e rinnovare nuove classi dirigenti. A Brindisi questo non è stato possibile.

I brindisini non hanno mai, con la dovuta serenità, potuto giudicare i propri sindaci per uno o due mandati interi.

Città disgraziata e ingovernabile?

Provo ad elencare alcuni motivi che mi sembrano siano la causa di questa instabilità o incapacità della città di autogovernarsi e di dotarsi di nuove classi dirigenti.

La città è stata abituata a farsi dirigere e comandare da altri e dall’alto.

La brindisinità, per i brindisini, è solo chiacchiera da bar e da salotti, serve solo a nascondere incapacità e frustrazione. Tranne che per alcuni episodi – come la lotta contro il rigassificatore – per molti anni ha preferito delegare il proprio presente e il proprio futuro.

Lo sviluppo industriale è stato imposto e disinvoltamente accettato. Attorno ad esso si sono sviluppati intermediazioni politiche, imprenditoriali, sindacali, istituzionali che ne hanno minato l’autonomia, l’affidabilità, l’incisività propositiva e progettuale.

Tutto questo ha creato classi dirigenti mediocri e pronte ad essere utilizzate e più che dirigere hanno sempre preferito farsi dirigere.

Il loro prezzo o il loro ruolo è stato solo quello di sentirsi coinvolte, di essere prese in considerazione e di usufruire di qualche favore residuale.

Tutto ciò ha legittimato e fatto crescere, in maniera esponenziale, la litigiosità, la diffidenza reciproca, la dietrologia, la furbizia.

In questo clima la politica brindisina è diventata sempre più una marmellata, tanto più litigiosa quanto più consociativa.

Da tempo le differenze tra visioni, programmi, progetti, idee, non appartengono alla politica brindisina; esistono solo soggetti indistinti – alcuni sempre gli stessi da decenni a questa parte – che, secondo le convenienze, passano da una lista ad un altra, da una coalizione di centrosinistra ad una di centrodestra. E non perché non c’è più differenza tra destra e sinistra, ma perché è più comodo e più conveniente, in quel dato momento, mettere se stessi ed i propri voti a disposizione del presumibile vincitore di turno.

Leggo così la facilità della transumanza di candidati e di consiglieri in servizio permanente effettivo che si presentano ad ogni elezione comunale.

In questi 23 anni pochi sono quelli che si sono fatti da parte.

Ci sono poi i vecchi e i nuovi professionisti del consiglio comunale che in quanto proprietari di voti fanno, da sempre, il bello e il cattivo tempo dell’istituzione cittadina.

Ad esclusione di Michele Errico, tutti i sindaci – Antonino e Mennitti inclusi – sono stati vittime di questi professionisti del voto e del consiglio comunale.

La politica riguarda la vita e la vita è il ciclo delle generazioni che si succedono.

Brindisi ha bisogno di generazioni che si passano la mano che devono riabituarsi a vivere intorno al “noi” e non ad un “io”. E di ego, carichi di rancori e di aspettative mal poste, ce ne sono ancora troppi in giro e da tutte le parti.

La città è, innanzitutto, di chi ci vive, la abita, la usa.

Non è dei consiglieri in servizio permanente effettivo. I “noi” dovrebbero comprendere che far rinascere Brindisi, bonificarla, è opera difficile e impegnativa.

Nei programmi e nelle dichiarazioni troveremo certamente queste buone intenzioni, ma la storia amministrativa brindisina ci ricorda che di buone intenzioni e’ lastricata la via dell’inferno.

La città, ho detto più volte, dovrebbe essere il luogo per eccellenza del “noi”, e quindi della partecipazione.

Nella città convivono le sofferenze umane, le emarginazioni sociali con i luoghi dell’intelligenza, del successo, del voler fare e del saper fare.

La città non deve essere solo il luogo più evidente delle diseguaglianze vecchie e nuove, ma deve anche essere il luogo delle potenzialità e delle opportunità.

La città di Brindisi deve diventare il luogo in cui è possibile ripensare modelli di sviluppo, stili di vita e, sulla base di questo, ritornare ad essere attrattiva, sapendo mettere a valore tutte le sue potenzialità produttive, paesaggistiche e infrastrutturali.

Infine non sarebbe ora che le forze di sinistra e di centrosinistra si ritrovassero per riflettere assieme su questa storia di Brindisi prima di assumere qualsiasi decisione di fronte ad una eventuale e probabile ennesima elezione amministrativa comunale?

Ritrovarsi, con rigore e coraggio, per definire le condizioni e i contenuti per aiutare la città ad uscire da un pantano ventennale che ha condizionato pesantemente e per molto tempo il suo presente e il suo futuro. E sulla base di questo chiamare i brindisini a reagire per organizzare una risposta civica e larga.

E per quanto mi riguarda non dovrebbe essere escluso il movimento 5stelle. Risposta civica che è cosa diversa dalle liste civiche che si compongono per contenere i portatori di voti.

La città ha bisogno di chiarezza e di una guida in grado di accompagnare un suo cambiamento profondo. Lo deve fare in piena autonomia. Le forze di sinistra e di centro sinistra sono chiamate a provarci liberandosi sia della cultura minoritaria e di testimonianza come di qualsiasi persistente tentazione di fare alleanze di indistinti, ma soprattutto senza farsi più condizionare da scelte decise e sostenute al di fuori di Brindisi.

Carmine Dipietrangelo

Presidente Leftbrindisi

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