Se la storia del Sud si riscrive a colpi di mozione
Nessuno avrebbe previsto che oltre alle infuocate giornate di caldo di questa estate, il Consiglio regionale pugliese avrebbe anche fatto divampare le polemiche sulla giornata pugliese per la commemorazione delle vittime dell’Unità d’Italia.
Di che si tratta? Nel mese di luglio la nostra massima istituzione regionale, ha approvato su proposta del gruppo consiliare M5S, inopinatamente assunto a cultore della storia patria (eppure dopo le sortite sulla storia di Di Maio bisognava essere quantomeno prudenti), una mozione che impegna la Regione a celebrare il 13 febbraio, anniversario della caduta del re Franceschiello e del regime borbonico (1861), la memoria della giornata sudista con disponibilità di adeguate risorse finanziarie per iniziative variegate.
Difficile dire se per insipienza, complicità politica, opportunismi o altro, la proposta è passata quasi all’unanimità in Consiglio Regionale (2 voti contrari e 1 astensione) e col pieno appoggio del presidente Emiliano. Qualcuno ha detto: “non avevano nient’altro da fare? Già, ma se proprio ci si deve occupare di storia e memoria, bisognerebbe almeno evitare di farlo con superficialità e approssimazione, e soprattutto di farne materia di strumentalizzazione per fini meramente politico-elettorali.
L’iniziativa ha provocato la reazione di molti storici, intellettuali, docenti che hanno promosso una petizione intitolata “Per un uso corretto della storia e della memoria”, che ha raccolto la sottoscrizione di oltre mille firmatari, che sarà consegnata in questi giorni al presidente del Consiglio regionale Mario Loizzo e al presidente Emiliano, e che in sostanza invita a non dare corso a tale giornata con una serie di motivazioni.
In effetti l’iniziativa del Consiglio regionale appare maldestra sul piano storico e forse spiegabile solo in termini politici: essa probabilmente raccoglie e solletica un diffuso sentimento antiunitario contro il leghismo del Nord, sicuramente crea un ponte tra il M5S e il Presidente Emiliano alla ricerca continua di allargare rapporti a destra e a manca, si unisce a mozioni analoghe approvate in altre regioni, ma tutto questo dimostra soltanto il drammatico degrado in cui sta scivolando la politica in Italia.
Individuare una giornata della memoria per le vittime meridionali che perirono in occasione dell’unita d’Italia, significa disegnare la formazione dello Stato unitario come il frutto di un crimine contro la popolazione meridionale, una ridefinizione dell’unificazione nazionale concettualmente infondata e politicamente irresponsabile.
Fissare poi tale giornata il 13 febbraio (caduta della fortezza di Gaeta) significa in pratica commemorare la caduta della monarchia borbonica, improvvisamente elevata a vittima, in altri termini l’ingresso del Sud nell’Italia unita sarebbe identificato come una sconfitta subìta ad opera di invasori, cui sarebbe seguita la resistenza dei briganti. Un falso storico: nell’ultima battaglia campale perduta dall’esercito borbonico sul Volturno le truppe “straniere” erano costituite da 25.000 garibaldini, quasi tutti del Sud. E il brigantaggio è un fenomeno storico troppo complesso e articolato per essere derubricato a semplice resistenza meridionale e anti sabauda.
Senza contare che certo non godono di una giornata del ricordo le migliaia di giovani meridionali che partendo dalla Repubblica Napoletana, passando per le stragi borboniche dei costituzionalisti del 1848, sino alle imprese garibaldine, hanno sacrificato la loro vita per dare una Patria unitaria al nostro paese e soprattutto la libertà in nome della quale oggi possiamo anche ricordare i vinti e i limiti del processo di unificazione.
Limiti che vanno studiati, approfonditi, evidenziati, nessuno infatti può sottovalutare gli episodi di violenza esercitati dalle truppe piemontesi sulle popolazioni meridionali, ma questo non può assumere i caratteri di un revisionismo storico acritico, insinuando l’idea sbagliata che l’arretratezza del Mezzogiorno possa essere attribuita al processo di unificazione italiana che ha sacrificato un Sud felice, libero e prospero sotto il regno dei Borbone. Non è così ed è bene esserne consapevoli.
Allora davvero si può credere che le classi dirigenti del Mezzogiorno si riducano a blandire un meridionalismo piagnone e rivendicazionista di derivazione neo borbonica? Se così fosse ci sarebbe poco da rallegrarsi.
Giovanni Galeone