Dipietrangelo: Acquedotto Pugliese e le scelte sbagliate di Emiliano
Con il decreto n. 141/99 l’allora governo D’Alema decise di trasformare l’Acquedotto Pugliese da Ente Pubblico economico (EAAP)
in società per azioni. La proprietà rimaneva in capo al ministero dell’economia così come lo è stata fino al 2001.
Con lo stesso decreto si dispose che l’Acquedotto Pugliese continuasse a gestire il servizio idrico integrato fino al 2018 ( nell’ultima legge di bilancio il parlamento ha concesso invece una proroga di tre anni). Questo in deroga a quanto previsto dalla legge 36/94( affidamento del servizio idrico integrato attraverso gara di evidenza pubblica o gestione in house da parte dei comuni titolari del servizio). La concessione ad Aqp spa fino al 2018 scaturiva dalla necessità derivante dal periodo di ammortamento del mutuo contratto dallo Stato per risanare, con 300 miliardi di vecchie lire, lo stesso Acquedotto Pugliese. Un risanamento resosi indispensabile a causa delle precedenti gestioni dei vari e pletorici consigli di amministrazione che avevano caratterizzato la vita dell’EAAP.
AQP divento’ così una società concessionaria di un servizio pubblico per effettuare il quale è titolare della gestione e della manutenzione delle reti e delle infrastrutture preordinate all’approvvigionamento, trasporto, trattamento e distribuzione di acqua potabile, nonché del servizio di fognatura e di depurazione delle acque reflue.
Con la legge finanziaria per l’anno 2002 (L.488/01) il governo Berlusconi decise il passaggio gratuito delle azioni dell’Aqp alle regioni Puglia e Basilicata che avrebbero dovuto dismettere entro sei mesi avviando così il processo di privatizzazione. Questo non è avvenuto e meno male. Questo vincolo saltò grazie alla modifica apportata dal parlamento a questa norma consentendo così di far rimanere in mano pubblica l’acquedotto pugliese. Una mano pubblica, quella regionale, che non si concilia con la legislazione vigente e con le direttive europee e tiene ancora aperta fino alla scadenza della concessione (2021) del servizio idrico integrato pugliese la questione dell’assetto societario di AQP spa. E’ il problema dei problemi di cui si dovrebbe discutere alla luce del sole.
La trasformazione in AQP spa del vecchio EAAP creò anche la condizione per superare i consigli di amministrazione indicati e condizionati dalla politica con la nomina dell’amministratore unico. In questo modo si potette avviare un profondo risanamento e una riorganizzazione per far diventare l’Acquedotto una impresa industriale anche se pubblica. La scelta dell’amministratore unico ha contribuito così a ridare efficienza, autonomia e soprattutto unicità alla gestione del servizio idrico integrato che in Puglia riguarda tutto il territorio regionale(ambito unico, il più grande d’Europa, gestito da un unico soggetto). Questa scelta ha caratterizzato 15 anni di gestioni di Aqp ed è stata fatta sia dai governi di centrodestra(Distaso prima e Fitto dopo) sia da quelli di centrosinistra (Vendola). Gli amministratori che si sono succeduti sono stati naturalmente indicati dalla politica ma nella loro unicità hanno garantito autonomia e responsabilità diretta. Il ritorno al vecchio consiglio di amministrazione prima di tre ed oggi addirittura di cinque ha riportato la politica in maniera piuttosto invasiva nell’acquedotto rendendolo di nuovo pervasivo alle pressioni interne ed esterne alla società. Ne è la dimostrazione che da quando con la giunta Emiliano si è fatta questa scelta la società ha perso serenità, unicità di direzione e di controllo, capacità e trasparenza nella spesa(gli investimenti e le opere cantierizzate sono diminuite). Inoltre si è tornati, proprio con la scelta del cda, ad una gestione politica e ad un uso politico della sua composizione che in quanto tale rimane condizionata dagli equilibri politici e dalle convenienze del momento. E non a caso la stessa composizione risponde ad una visione tutta centrata sugli equilibri politici di Bari e dintorni. I risultati sono chiari: in meno di tre anni sono cambiati gli assetti e per soddisfare esigenze non certamente strategiche e di gestione ma per solo ragioni di convenienza politica.Si è proceduto allo stesso allargamento a cinque per queste ragioni. Nessuna ragione aziendale, nessuna esigenza organizzativa è alla base di una simile scelta. Le stesse nomine sono il frutto non di competenze o di managerialità ma solo di convenienze e rendono lo stesso consiglio di amministrazione permeabile a pressioni e condizionamenti oltreché potenzialmente subalterno ad interessi esterni. E non a caso nella prima intervista pubblica del neo e attempato politico di centrodestra, Dicagno Abbrescia, non ha parlato sull’acqua o sull’Aqp, ma solo di politica e di superamento di destra e di sinistra per giustificare la sua nomina. Alla faccia della competenza e autonomia manageriale! Ma quello che risulta ancora più grave è che queste scelte rischiano di minare la unicità e l’organizzazione della gestione del servizio idrico integrato dal momento che deleghe distribuite tra i vari componenti il cda potranno deresponsabilizzare la stessa struttura. Ogni componente il cda può diventare o può rispondere come riferimento di circoli di interessi o essere individuato come tale con un serio rischio per la imparzialità e la trasparenza delle scelte e degli obiettivi aziendali. La preoccupazione per le ripercussioni che queste scelte avranno sul territorio pugliese, sull’utenza che paga una delle tariffe più alte d’Italia, sull’organizzazione aziendale, sul sistema dell’indotto e delle imprese, sui lavoratori, è abbondantemente giustificata. E tutto questo avviene senza aver mai potuto discutere del futuro dell’acquedotto pugliese, del mandato dato a questo cda e al precedente per l’assetto da dare ad aqp a concessione prorogata e in scadenza nel 2021. Sarebbe opportuno quindi che si procedesse all’azzeramento del cda e alla individuazione di un amministratore unico a cui affidare un mandato di gestione e un vincolo per il futuro assetto societario. Così come sarebbe più che urgente un dibattito pubblico(anche in consiglio regionale) e un confronto con il sistema dei comuni che rimangono gli unici titolari del servizio idrico integrato per un bilancio sugli investimenti, sulla loro partecipazione in Aqp, sul bilancio idrico regionale, sulla gestione pubblica del bene comune acqua, sul piano industriale per i prossimi tre anni di Aqp. L’acqua è un bene pubblico e lo sono anche le infrastrutture del servizio idrico che vanno gestite con criteri di efficienza e di economicità secondo logiche industriali in grado di assicurare costi sostenibili, certezza e qualità del servizio. Quello che va evitato è che la gestione e la organizzazione di un servizio così delicato venga sottoposto, a causa di queste scelte, anche a disorientamento,confusione, demotivazione, depauperamento tecnologico del personale. L’Aqp può ancora restare la più grande impresa pugliese ed anche pubblica a condizione che sia, appunto, un’impresa e come tale, gestita da un management capace, coeso, determinato sulla base di indirizzi chiari e coerenti dati da Regione e dai Comuni e non condizionato dalla politica del momento. Non sembra che le nomine di Emiliano rispondano a questi criteri.
Carmine Dipietrangelo