In vino Brindisi (di Paolo Perrino)
E’ tempo che penso alle possibilità di rilancio della nostra città.
Bisogna trovare qualcosa che valorizzi il territorio, preservi l’ambiente e crei ricchezza. Bisogna allontanarsi da un passato fatto da solo industria e inquinamento. Non è facile, una vera sfida.
La Puglia vive da molti anni un boom turistico notevole ma la nostra città ne ha beneficiato sempre in maniera molto marginale. Tanti tentativi a spot, senza una effettiva rete non hanno portato a grandi risultati.
Piccoli successi puntuali ma nulla che abbia creato valore aggiunto duraturo.
Ho sempre fatto il vino in casa. Era il mestiere di mio nonno e quasi per devozione, vivendo in campagna, siamo sempre riusciti a farci la nostra provvista di vino annuale. Vendemmia fermentazione e imbottigliamento. Pochissime quantità. Da qualche anno grazie al mio amico Carmine Dipietrangelo mi sono avvicinato al mondo del vino e dell’agricoltura in maniera più professionale.
E’ uno dei mondi che come pochi conserva un fascino antico. C’è sudore, sapienza, maestria che viene tramandata, dalla coltivazione della vite, alla spremitura dell’uva fino alla vendita. Ho conosciuto la cura dell’agronomo, ho avuto la possibilità di veder lavorare da vicino un enologo, un rituale magico, silenzioso che inebria senza nemmeno bere un goccio di vino.
Bisogna trovare il modo di condividere questa magia con tutta la città e coniugarla con una offerta turistica. Potrebbe essere la chiave di volta per un futuro diverso.
La scintilla per innescare un ciclo virtuoso che non si è mai riusciti a realizzare fino ad ora. Sono rimasto molto colpito quando ho visto dei ceppi di vite nelle aiuole di Via Del Mare. Non so di chi è stata l’idea ma penso che sia una meraviglia. E’ l’icona del nostro territorio quella dei vitigni vicino al mare.
Anticamente Brindisi era conosciuta per essere un grande porto commerciale. La presenza di argilla nel sottosuolo rese naturale l’impianto di diverse fabbriche di anfore per vino ed olio.
Eravamo uno dei principali produttori dell’antichità. Si costruivano le anfore e si produceva vino ed olio in grande quantità che dal porto partivano per tutto il Mediterraneo. Avevamo la terra buona, il mare ed un grande porto. All’epoca sapevano valorizzare meglio di oggi tutto questo ben di Dio.
Sulle anfore c’era inciso il nome del produttore e tanti resti di anfore brindisine si sono ritrovati sia in Africa che in Medio Oriente. Forse per questo motivo la nostra tradizione nei secoli è stata di matrice prevalentemente agricola, pur essendo una città di mare.
Oggi, con l’avvio delle operazioni di vendemmia che mi coinvolgono, mi sono imbattuto in un post dell’assessore Covolo che raccontava della sua giornata al quartiere Perrino. Non conosco personalmente Roberto Covolo ma è una persona che stimo da tempo perché conosco tutto quello che di buono ha realizzato negli ultimi anni e la sua grande capacità innovativa legata al territorio ed alla partecipazione.
‘’ Rigenerare e gestire suoli di proprietà pubblica attraverso la creazione di vigneti urbani con scopi produttivi, educativi e culturali’’ ha scritto l’assessore.
Leggendo ho avuto la conferma che può essere una strada importante da imbroccare.
Negli ultimi anni si sono organizzati eventi di successo intorno al vino. Sul territorio ci sono tanti grandi e ottimi produttori di vino.
Abbiamo fornito uva e vino da taglio a mezzo mondo nel passato, da un po’ di tempo abbiamo imparato a farlo buono anche noi. Cantine di grande esperienza e qualità che producono da molto e nuove che si affacciano ora con la stessa passione a questa attività preziosa.
Sviluppare l’offerta turistica intorno a questa produzione può dare dei vantaggi notevoli.
Il vino è l’emblema del turismo lento, quello buono che arricchisce, non deturpa e non vandalizza il territorio.
Può essere occasione di lavoro buono per tanti giovani, sia nelle aziende produttive che possono crescere con questa valorizzazione sia in tutto l’indotto che può formarsi.
In città abbiamo tante eccellenze in campo gastronomico che possono caratterizzarsi sempre di più, offrendo ai clienti in vacanza le bontà del territorio accompagnate da un buon bicchiere locale.
Ne godrebbero le attività ricettive, quelle artigianali e commerciali in parallelo.
Il vino ha il suo momento clou nei mesi di settembre ottobre e novembre e potrebbe essere una occasione per prolungare la stagione turistica che si interrompe ai primi di settembre.
Cantine aperte deve diventare cantine permanenti.
Visite alle cantine, degustazioni in enoteche e in ristoranti che possono sempre di più caratterizzarsi come tipici del territorio. E’ questo che cerca il turista.
Il vino per il nostro territorio è storia, possono essere messi alla luce e valorizzati siti archeologici nella zona di Apani dove c’erano le maggiori fornaci. Può essere l’occasione per incuriosire i turisti scesi dalle navi crociera senza farli scappare ad Alberobello, Ostuni o Lecce.
Il vino è il prodotto che meglio si abbina alla cultura. Oggi non si vende più la bottiglia, ci sono tanti produttori e la concorrenza è spietata, si vende la storia che c’è dietro a tanta passione.
Può crearsi offerta formativa, perché se si crea il giusto volano questa attività può aver bisogno di conoscenze specifiche ed approfondite che potremmo esportare.
C’è bisogno di innovazione. Nulla come la attività vitivinicola ha necessità di combinare innovazione e tradizione. Storia, geografia, meccanica, chimica, biologia e marketing.
Naturalmente occorrerebbe coinvolgere ed indirizzare molte attività cittadine in tal senso.
E’ una idea che lancio a tutti i nostri assessori ed a Riccardo Rossi, il nostro Sindaco.
Una operazione di questo tipo necessita dell’apporto di tutti i settori.
C’è gente specializzata in questo e molto più fantasiosa di me per sviluppare questi discorsi. Mi vengono in mente asfalti pigmentati color vinaccia nelle strade del vino, orti cittadini, street-art e murales sui fabbricati a tema, barrique seminate in città. La vite dovrebbe inglobare la città e renderla ceppo.
Col tempo si può pensare a rilanciare anche la attività fieristica o eventi come il Negroamaro Wine Festival nei mesi successivi, terminate le operazioni di vendemmia e primo imbottigliamento.
Sono convinto che per spuntarla nella offerta turistica nel territorio occorre caratterizzarsi e distinguersi. L’offerta non può essere a 360 gradi perché diventa dispersiva e poco attraente.
Un esempio in tal senso è il Barocco Leccese, i trulli di Alberobello, le ceramiche di Grottaglie, il bianco della città vecchia di Ostuni. Intorno si può sviluppare qualsiasi cosa, ma vince la specificità.
Possiamo provare a non vivere di sola industria. Ci sono tanti strumenti a sostegno dello sviluppo rurale e costiero come i nuovi GAL, occorre una parola che noi Brindisini conosciamo poco… sinergia.
Abbiamo al governo della città le persone per provarci e come dice Covolo nel suo post, Brindisi il vino lo ha nel nome. Non ha caso è l’unico capoluogo di provincia che ha un vino doc col suo nome. Brindisi doc è una etichetta che dà valore aggiunto alla produzione.
Una denominazione utilizzata in enologia che certifica la zona di origine e delimitata della raccolta delle uve utilizzate, certifica un prodotto di qualità e rinomato. Lavoro ce ne può essere tanto, ci vogliono le idee di tutti e volontà.
Paolo Perrino
Leu Brindisi