Uilp: rendere il sistema previdenziale sostenibile ed adeguato.
Contribuire a rendere il sistema previdenziale italiano “sostenibile e adeguato” è , secondo la Uil pensionati territoriale di Brindisi, un diritto e dovere della politica.
Tagliare le tasse nel rispetto della sostenibilità finanziaria, delle migliori condizioni di lavoro, della dignità della persona e dello stile di vita, è la via maestra perché sostiene la crescita economica e investe il potere d’acquisto.
Dal 2012 al 2015 si è registrata una forte contrazione dei consumi del 10,2% con una riduzione complessiva della spesa delle famiglie per 72,2 miliardi di euro facente cadere la domanda interna.
Serve un piano straordinario esaustivo per il lavoro, un piano per il Sud e una riforma della riforma Fornero che il sindacato evoca e prevede da tempo stanziamenti, investimenti pubblici e la separazione dell’assistenza dalla previdenza.
È un piano che non può essere rimandato, perché è dovuto proprio dalla crisi della domanda che ha alimentato il peso sui bilanci familiari per circa 450 euro al mese, la mancanza di posti di lavoro e la disoccupazione giovanile.
La riforma delle pensioni è uno degli argomenti più controversi e dibattuti degli ultimi anni, in particolare dopo la riforma Fornero del 2011. Tra i temi più spinosi, ci sono sicuramente quelli della flessibilità in uscita, quello dell’adeguamento anche per le pensioni più basse e quello di allargare la platea dei beneficiari dei bonus di 80 o di 100 euro in busta paga anche alle pensioni minime. Nodi importanti che in controcorrente alle posizioni rigide della riforma Fornero chiedono tra le ipotesi quella di consentire il cumulo delle contribuzioni versate in più alle Casse previdenziali al fine di maturare il diritto ad una prestazione pensionistica. La modifica, secondo la Uil pensionati di Brindisi, necessaria per far fronte alla realtà del mondo del lavoro, alle carriere lavorative sempre più discontinue e agli interventi a favore di chi svolge lavori di cura familiare e lavori usuranti.
Gli aumenti dell’età pensionabile, presenti nella riforma Fornero, non hanno raggiunto l’effetto desiderato di scoraggiare il pensionamento anticipato e di aumentare l’età effettiva della pensione.
Le suggestioni sono prioritarie, perché un crescente numero di lavoratori non è in grado di lavorare fino all’età pensionabile obbligatoria oppure perché non desidera farlo.
Lo dimostra l’attuazione di questa Riforma della riforma Monti/Fornero. La fiducia è nella giustezza per l’incoraggiamento al ricambio intergenerazionale nell’aiutare i giovani, promuovere lo stato di salute, l’apprendimento permanente per la persona anziana e nel dare dignità al pensionato.
Il nonno e la nonna preferiscono andare in pensione lasciando il lavoro per aiutare i figli e assistere i nipoti oppure ”lavorare meno ore“ per stare e conquistare l’amore dei nipotini.
Il pensionamento parziale è efficace anche per le persone che svolgono lavori fisicamente o mentalmente pesanti o che hanno problemi di salute o di disabilità.
Gli incontri in questi giorni, di trattative con il Governo e le parti sociali, programmati fino al 21 settembre 2016, non sono definitivi se non esaustivi nella loro pianificazione. Dai tavoli tecnici devono emergere molti nodi da sciogliere sul mercato del lavoro e sulla Previdenza.
La necessità è nell’ipotizzare un ampliamento della platea per la quattordicesima (un milione e 100 mila pensionati in più), un allargamento della No Tax Area e la possibilità di usufruire dell’Ape gratuita (anticipo di pensione), che dovrebbe essere più o meno ampia.
La parificazione della “No Tax area” è un tema fondamentale che chiede la differenza tra i redditi da pensione e quelli da lavoro dipendente. La differenza rende ancora più povere le pensioni più basse. Allo stesso modo è palese l’estensione della “quattordicesima”, istituita nel 2007, solo con lo scopo di riconoscere una mensilità aggiuntiva per le pensioni basse, nate e sostenute da contributi previdenziali, la cui estensione ha la funzione di sostegno alla condizione di povertà e, dunque, è legata al reddito familiare, anziché individuale, alla ricchezza complessiva, attraverso lo strumento dell’ISEE.
Per l’Ape sembrerebbe configurarsi una fase “sperimentale per due anni”, generalizzata e rivolta a tutti i lavoratori con almeno 63 anni e 7 mesi, che vorrebbero lasciare il lavoro attraverso il prestito della pensione con massimo di 3 anni in anticipo rispetto all’età prevista di vecchiaia. Il prestito consiste nel restituire una rata in venti anni, comprensiva anche d’interessi bancari.
Con l’estensione dell’Ape social, tale prestito non dovrebbe comportare una riduzione della pensione e quindi, il suo anticipo dovrebbe essere più conveniente. I costi bancari del prestito dovrebbero essere a carico dello Stato, mentre per chi fa una scelta volontaria e non rientra tra le categorie più svantaggiate, la rata, purtroppo, sarebbe aggravata da interessi finanziari.
La trattativa però, non sembra essere conclusiva a causa delle risorse che il Governo non vuole mettere a disposizione. Il sindacato chiede 2,5 miliardi. Per la Uil i nodi sono nei “lavoratori precoci” e nell’innalzamento dell’asticella “Ape social”. In realtà per l’anticipo di pensione, si potrà chiedere dal compimento dei 63 anni che sarà utilizzato senza penalizzazione in un’area limitata di categorie: disoccupati senza più ammortizzatori sociali, lavoratori disabili e con familiari disabili e lavoratori con mansioni gravose (lavori usuranti, macchinisti, infermieri, edili, maestre d’asilo, ecc.).
Chi rientra in queste categorie (63 anni e 20 anni di contributi e purché abbia maturato una pensione non superiore a 1.200 euro netti – 1.500 euro lordi), beneficerà di una detrazione d’imposta che azzererà la penalizzazione dell’assegno.
Per l’Ape volontaria quindi, la rata resta ventennale che oscillerà tra i 50 e i 60 euro al mese per una pensione maturata di 1.000 euro. Per chi percepisce una pensione più alta e chiede di anticipare fino a tre anni il taglio dell’assegno si farà sentire e potrà arrivare fino al 25%.
L’altro punto sarebbe quello dei lavoratori precoci, cioè per chi ha avviato la sua attività lavorativa prima dei 18 anni. Questo costituisce una priorità perché è la soluzione più urgente da risolvere. L’intesa è di cancellare le penalizzazioni istituite dalla riforma Fornero, varianti tra l’1% e il 2% per ogni anno e che colpiscono dal 2018 i lavoratori che accedono alla pensione prima dei 62 anni.
Infine il sindacato chiede misure senza penalizzazioni di portare da 42 anni a 41, il livello massimo di contributi da versare e uno sconto contributivo tra i due mesi e i tre mesi per ogni anno lavorato prima dei diciotto anni.
Secondo la Uil pensionati di Brindisi è possibile poter dare un giudizio positivo a questi incontri, solo alla conclusione dei lavori, ma certamente è un bene se nel confronto tra Governo e sindacati, sono trattati e discussi in materia di pensioni i temi dei lavori usuranti degli operai edili, degli infermieri e delle maestre d’asilo.
Il sindacato chiede al Governo di cominciare a dare risposte concrete. Non è accettabile lasciar vivere i cittadini tra lavoretti a nero, voucher o lavoro stagionale e saltuario, rischiando costantemente l’infortunio mortale. Non è giusto per loro e neanche per le parti sociali che tutelano i diritti, la dignità e gli stili di vita del cittadino pensionato e del giovane che lavora, che vuole lavorare e formarsi una famiglia.
Il sindacato dei pensionati di Brindisi chiede infine un Piano di lavoro anche in vista della legge di Stabilità, a fronte di un’inarrestabile crisi che dal 2008 ha cancellato 1,6 milioni di posti di lavoro e inglobato nell’area di sofferenza e disagio occupazionale circa 3,7 milioni di persone.
Il segretario Responsabile
Tindaro Giunta