Il mondo e la politica hanno bisogno di Dio (di Michele Di Schiena)

Riceviamo e volentieri pubblichiamo dal MAnifesto 4 ottobre un contributo di Michele Di Schiena.

 

Il mondo e la politica hanno un grande bisogno di Dio ma si tratta di un’esigenza che si colloca agli antipodi di ogni temporalismo e di ogni forma di fondamentalismo religioso perché il Dio di cui hanno bisogno il mondo e l’attività concernente la direzione della vita pubblica non è quel Signore del cielo e della terra adorato nella sua solennità e neppure quella divinità dominante estranea alla realtà e comprensibilmente rifiutata dagli ateismi. E’ invece quell’anima creativa dell’Universo che dà impulso al suo sviluppo caratterizzato dal contrasto fra ordine e disordine, fra armonia e caos, fra bene e male: un conflitto connaturato a tutta la realtà esistenziale in difetto del quale verrebbe meno ogni forma di evoluzione e di libertà.

Quel Dio che è, come dice il teologo brasiliano Leonardo Boff, “la suprema realtà relazionale….la Comunione della Trinità che penetra e sostiene ogni essere e l’intero Universo”. E’ insomma la linfa vitale dei principi e dei valori supremi che sono a fondamento del Cristianesimo e pervadono anche tutte le grandi tradizioni culturali e spirituali sin dagli albori della civiltà: il principio di umanità che esige il rispetto di ogni persona quale metro di valutazione anche delle attività economiche e il principio di reciprocità, quella “regola aurea” già presente nell’insegnamento di Confucio e ripresa dal Vangelo col precetto “tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro”. Principi questi sui quali si possono concordemente ritrovare credenti e non credenti aprendo la strada a una fruttuosa collaborazione fra una spiritualità laica e una spiritualità religiosa, l’una e l’altra nutrite di interiorità e tese alla ricerca di senso sul destino degli uomini. Appare quindi artificiosa ogni contrapposizione fra “credenti” e “non credenti” perché, come sosteneva il Cardinale Carlo Maria Martini, si tratta di due forme di pensiero diverse ma entrambe più segnate da propensioni insidiate dal dubbio che dotate di granitica certezza.

Sorprende allora che Carlo Rovelli, fisico teorico e scrittore di eccellenti qualità, nel suo libro dal titolo “La realtà non è come ci appare” (Raffaello Cortina editore 2014) abbia criticato, riferendosi ai credenti, coloro “che dicono di conoscere la verità…..perché l’hanno appresa dai padri, perché l’hanno letta su un Grande Libro, perché l’hanno ricevuta direttamente da un Dio” e abbia aggiunto, riferendosi al Papa, “c’è sempre qualche signore vestito di bianco che dice ‘ascoltate me, io sono infallibile” (senza precisare che l’infallibilità papale riguarda solo le verità di fede). Rilievi ingenerosi perché prescindono dagli approfondimenti e dagli aggiornamenti del Concilio Vaticano II portati avanti da Papa Francesco il quale in una sua lettera a Eugenio Scalfari (“Dialogo fra credenti e non credenti” Einaudi- la Repubblica, 2013) precisa che “la questione anche per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza” perché…… “su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire” e aggiunge “io non parlerei, nemmeno per i credenti, di verità assoluta” perché “assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di relazioni….e la verità è una relazione”. E lo stesso Pontefice nella lettera Enciclica “Laudato sì” (24 maggio 2015) parla del “mistero dell’universo” e di un mondo costituito da “una trama di relazioni” e afferma che “tutto è collegato e ci invita a maturare una spiritualità della solidarietà globale”. Un discorso che ha molti punti di contatto con alcune annotazioni del citato libro di Carlo Rovelli il quale dice anch’egli che siamo immersi nel mistero e nella bellezza di un mondo fatto di campi quantistici e attraversato da una fitta rete di interazioni reciproche. Riflessioni che sembrano proprio dare ragione a Einstein quando affermava che “la scienza senza la religione è zoppa e la religione senza la scienza è cieca” facendo così giustizia del fondamentalismo religioso e dello scientismo dogmatico.

Viviamo in un momento in cui sono in crisi tutti i progetti politici di matrice liberista che ci hanno dato un’economia iniqua, i socialismi che nella versione comunista sono falliti e in quella socialdemocratica hanno perso la forza propulsiva delle loro istanze di trasformazione sociale e i partiti di ispirazione cristiana che non sono riusciti a tradurre in programmi concreti le istanze di libertà e di giustizia. Siamo di fronte a un mondo lacerato da mille contraddizioni: le inammissibili disuguaglianze sociali che rendono indispensabile un radicale mutamento del modello di economia egemone; il dramma delle immigrazioni che esige lungimiranti politiche di integrazione e non miopi e ciniche misure difensive; le sanguinose guerre, i terrorismi e le violenze che dimostrano quanto sia criminale il motto “si vis pacem para bellum” e l’urgenza di riproporre il grande principio “si vis pacem para iustitiam”. Va insomma superata la tendenza a varare le politiche che puntano a rafforzare i poteri, palesi e talvolta occulti, impegnati a condizionare e a controllare la cultura e l’economia cercando di accreditare come ineluttabili le scelte dominanti.

Occorre allora una grande rivoluzione etica che riproponga quel vitale imperativo di fratellanza che ci giunge dalla grandiosa bellezza relazionale del cosmo e da quell’amore assoluto che sembra pervaderlo nella quale molti vedono il mistero di Dio e altri un edificante Mistero. La politica degli ideali e dei valori deve accantonare quella del pragmatismo di bassa lega, dell’occupazione del potere e degli affarismi. E’ necessario che i personaggi degli apparati e dei “palazzi” facciano spazio a uomini che vogliono battersi per le cose in cui credono e che sono propensi più a dare che a ricevere. Senza l’avverarsi di questo sogno il futuro della politica rischia di diventare sempre più povero di tensioni morali, più grigio e più segnato da arroganze e prevaricazioni. Occorre una riforma radicale della politica per restituirla al confronto fra grandi opzioni ideali diverse e alla competizione leale fra modelli di organizzazione sociale ed economica alternativi. Bisogna riscoprire la lotta competitiva perché senza questo ingrediente la lotta politica diviene l’esercizio del nulla, la palestra di tutte le truffe, lo spazio occupato da quanti cercano il potere per voglia di potenza e di dominio.

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