Il perché del No alla “settimana corta”: non sono rispettati i fisiologici ritmi di impegno, svago e riposo degli alunni.

Effetti negativi si possono avere quando la scuola e le attività didattiche correlate non rispettano i bisogni di riposo, di gioco e di svago del minore.

Negli ultimi decenni la scuola è sottoposta da parte della società a continue richieste formative, sia per l’aumento delle conoscenze, sia per la complessità delle attitudini indispensabili agli adulti per comprendere e padroneggiare le varie attività lavorative e sociali. Ciò comporta un carico di lezioni, compiti e attività, in alcuni casi insostenibili per le possibilità di un alunno. Tendono ad aumentare le ore di lezione e quelle di studio necessarie per prepararsi alle interrogazioni quotidiane o per superare le varie prove d’esame. Inoltre, la necessità di utilizzare al massimo il tempo trascorso dall’alunno a scuola, ma anche la paura di incidenti che possono avvenire fuori delle aule scolastiche, ha fatto da una parte diminuire la durata della pausa di riposo, dall’altra, in molti casi, ha spinto gli insegnanti a costringere  gli alunni a consumare una frettolosa merendina nello stesso banco. Queste modalità di gestione degli alunni, assolutamente non fisiologiche per soggetti in età evolutiva i quali hanno bisogni di movimento, svago e gioco, ha comportato un aumento dell’instabilità e dell’irritabilità, una diminuzione delle capacità di attenzione, una maggiore svogliatezza, ma anche atteggiamenti aggressivi e disforici poco consoni ed utili in una classe. Insomma, piuttosto che liberare tensioni represse mediante il gioco libero, nelle giuste pause, è facile vedere un numero sempre maggiore di alunni, soprattutto maschietti, che per tutto il tempo delle lezioni ma soprattutto nelle ultime ore si alza spesso dal banco e vaga nella classe oppure, al contrario, resta imbambolato, apatico e addormentato nel suo banco per evitare rimproveri e punizioni. Questa modalità poco fisiologica di gestire i tempi dello studio e quelli necessari per il riposo ha, inoltre, determinato un calo nell’impegno scolastico soprattutto degli alunni maschi, con conseguenze anche sul piano del benessere psicologico.

Per essere più pratici elenchiamo di seguito gli svantaggi del tempo scuola compatto costituito da cinque giorni settimanali di 6 ore ciascuno. GLI ALUNNI: “ODIAMO LA SESTA ORA” – Al primo posto tra le maggiori criticità riscontrate nello svolgimento della settimana corta troviamo certamente la sfiancante e faticosissima sesta ora. Secondo una percentuale elevatissima di studenti l’ultima ora di lezione è proprio straziante e spesso si finisce per trascorrerla per forza di inerzia. Le opinioni degli allievi concordano nel dire che quello che manca, dopo una giornata dura di lavoro, è proprio la concentrazione. Questo problema, quindi, si ripercuote sovente nella scarsa qualità didattica riservata alle discipline presenti durante questa ora. IL CALO DELLA CONCENTRAZIONE: LE STRATEGIE – Al calo di concentrazione, riscontrato in tantissimi casi, sono seguite da parte in molti istituti scolastici alcune soluzioni importanti per scongiurare questo annoso problema: il doppio intervallo (con il

rischio di un maggior tempo per il recupero dell’energia mentale tra una pausa e l’altra), una ricreazione più prolungata rispetto ai canonici 15 minuti, fuori dalle aule didattiche, nei corridoi o addirittura negli spazi aperti della scuola e/o dei plessi. Tuttavia, molte di queste soluzioni non sono compendiate in parecchie scuole, con la conseguenza che invece di incentivare la socializzazione, il dialogo e la convivialità tra gli studenti si finisce per far sì che gli stessi assumano atteggiamenti repressivi e frustranti così da compromettere l’intera convivenza civile dell’istituto fino a giungere agli atti di aggressività fini a se stessi che la cronaca ci racconta. GLI ALUNNI BES – Anche per gli alunni BES la settimana corta rappresenterebbe un autentico ostacolo e di conseguenza un problema generale al loro apprendimento. Questo ritmo serrato metterebbe proprio loro seriamente in difficoltà. Atteggiamento, questo, nettamente contrario ed opposto alle dinamiche didattiche necessarie per questi alunni con gravi difficoltà di apprendimento (in forte aumentano di anno in anno). AUMENTO DEI PERMESSI – Se andassimo poi a controllare la statistica delle entrate posticipate o delle uscite anticipate nelle scuole in cui vige la settimana corta, ci renderemmo conto immediatamente che le giustificazioni per questo tipo di permessi sarebbero di gran lunga superiori rispetto ad una scuola con il tempo normale. I DOCENTI E LA SESTA ORA – Bisogna anche dire che la stragrande maggioranza dei docenti della sesta ora è ben disponibile a svolgere delle attività leggere (la visione di un film, alcune attività pratiche o manuali ecc.), il tutto però a discapito della didattica. Di contro esistono, in maniera minoritaria (per fortuna), altri docenti che “trattano la sesta ora come se fosse la prima e allo stesso modo programmano in quell’ora interrogazioni e compiti di una certa difficoltà”. (Ulteriore aspetto avverso gli studenti). QUESTIONE DI ORGANIZZAZIONE – Se poi analizzassimo complessivamente l’organizzazione della giornata, la questione si farebbe davvero seria oltre che preoccupante: se un ragazzo fosse impegnato anche in attività extra scolastiche (come spesso accade) la scansione oraria di quest’ultimo diverrebbe frenetica. Pranzerebbe alle 14:30/15:00, svolgerebbe le attività sportive/culturali subito nel primo pomeriggio e dedicherebbe del tempo alle ore di studio in tarda serata o quasi sempre dopo cena. Durante il fine settimana, poi, chi volesse recuperare con gli arretrati impiegherà la maggior parte delle ore disponibili del sabato e della domenica per fare i compiti assegnati per la settimana successiva. Questo fatto comporterebbe, paradossalmente, una riduzione dei momenti da trascorrere assieme alla propria famiglia.

Vangi Aldo, referente regionale del Forum delle Associazioni Familiari di Puglia Rubino Alessandro, psicologo-psicosomatista

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