Italia Caritas ed un articolo di Michele Di Schiena

ITALIA CARITAS del febbraio scorso titola ECCO IL REDDITO INEFFICACE ED ESCLUDENTE un articolo di Francesco Marsico.

Perché il Reddito di Cittadinanza (RdC) sia “inefficace” non si spiega nell’articolo, come se sostenere il reddito molto basso non sia una cosa necessaria (non è quello che fanno pure le Caritas?) ma si esterna il timore che l’impossibilità di attuare a pieno quanto promesso possa “rafforzare le posizioni di quanti ritengono scarsamente utili ed addirittura dannosi provvedimenti che si occupano di povertà” e si lamenta che il Governo non abbia voluto “ascoltare e valorizzare le esperienze territoriali e la competenza dei corpi intermedi, risorse essenziali per ridurre la possibilità di errori di valutazione”. “Escludente” – e qui siamo d’accordo – perché esclude dal beneficio gli stranieri residenti da meno di 10 anni in Italia, “limite temporale privo di motivazioni giuridiche e fortemente a rischio di incostituzionalità”. Ma vedremo che la Costituzione italiana dice anche altro.

Che alla chiesa cattolica italiana il RdC non piacesse si era già capito nel settembre scorso quando al Consiglio Episcopale Permanente il presidente della CEI, Mons Bassetti, a questo proposito aveva detto “bisogna stare anche attenti a non incrementare troppo il debito pubblico”.

Ma l’avversione più dura e sorprendente si è manifestata nell’audizione del 6 marzo scorso alla Commissione lavoro della Camera di Deputati. Così Silvia Truzzi su IL FATTO QUOTIDIANO dell’8 marzo: ”“Tra i rischi del Reddito di cittadinanza c’è quello di attenuare la spinta a cercare lavoro o a convincere a rinunciare a offerte di lavoro che prevedano una retribuzione non distante da quanto previsto dal Reddito”, hanno detto i rappresentanti dell’Ufficio nazionale per la Pastorale sociale e del Lavoro della Cei e il Comitato scientifico delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani in audizione alla Camera. La scomunica si conclude così: “È enorme il rischio di aumentare queste forme di cittadinanza non solo passiva ma anche parassitaria nei confronti dello Stato””. Quindi i poveri, coloro che non riescono a ricollocarsi nel mondo del lavoro sono “parassiti.

E’ notizia di questi giorni che, contro ogni previsione, il maggior numero di domande per il RdC siano in Lombardia e Piemonte. Viene spontaneo chiedersi se i partiti e le organizzazioni sociali conoscano davvero la realtà della povertà in Italia.

Questo allineamento della CEI e della Caritas sulle posizioni di Confindustria e dei partiti di opposizione ed anche della CGIL in nome del debito pubblico, del mancato coinvolgimento delle organizzazioni sociali e dello “scoraggiamento” che il reddito di cittadinanza produrrebbe sulla ricerca del lavoro desta perplessità e preoccupazione.

Riportiamo di seguito un articolo di Michele Di Schiena apparso il 24 gennaio 2019 su Nuovo Quotidiano di Lecce in cui si ricorda, tra l’altro, cosa dice la Costituzione Italiana a riguardo.

Il reddito di cittadinanza: pietra dello scandalo per le politiche liberiste

Il reddito di cittadinanza, inteso come l’insieme di alcune misure rivolte a venire incontro alle esigenze vitali di 5 milioni di cittadini in povertà assoluta (vale a dire privi dei mezzi indispensabili per soddisfare le necessità essenziali di una vita dignitosa) è una legge dello Stato voluta da una maggioranza parlamentare espressa dalle forze politiche premiate dal responso elettorale del 4 marzo dello scorso anno. Ebbene, contro questa legge, simile a quella in vigore in quasi tutti i Paesi europei, si è scatenata una campagna propagandistica dell’opposizione politica, propiziata e sostenuta dai poteri forti a tutti i livelli, la cui portata, per durata e intensità, non ha precedenti nella storia della nostra democrazia. Una campagna da taluni sospinta fino alla prospettazione di un referendum abrogativo della legge che potrebbe diventare un coltello senza impugnatura destinato a ferire solo chi improvvidamente ad esso volesse porre mano. Un contrasto aggressivo da parte di forze politiche che sono state pesantemente ridimensionate dall’esito della recente consultazione elettorale e che oggi si dimostrano incapaci di esercitare un’opposizione democratica razionale e costruttiva nei contenuti anche se ferma nel dissenso e dura nei toni.

Quello a cui stiamo assistendo è invece un antagonismo incoerente e contraddittorio portato avanti con anatemi e accuse che affermano tutto e il contrario di tutto. Si dice che il reddito di cittadinanza sarebbe solo una scelta assistenzialista e nello stesso tempo lo si definisce un ibrido connubio fra la lotta alla povertà e il tentativo di promuovere l’occupazione; si sostiene che la legge sarebbe priva delle necessarie coperture finanziarie e non si tiene presente che l’Europa, sia pure dopo una faticosa trattativa, si è dimostrata di avviso diverso; si sottolinea criticamente la riduzione della platea dei beneficiari e al tempo stesso si nega che il provvedimento rechi ai destinatari apprezzabili vantaggi; si mette in evidenza (con qualche ragione) l’inadeguatezza delle strutture amministrative che dovrebbero assicurare l’esito positivo della complessa attuazione della legge ma si ricorre a tale argomento solo con l’intento di creare intralci sorvolando sulle responsabilità dei precedenti governi per lo stato in cui si trovano i centri per l’impiego e i connessi servizi; si denunciano i pretesi intenti elettorali di una riforma da anni proposta e patrocinata dal Movimento pentastellato dimenticando le promesse preelettorali berlusconiane e la legge sugli 80 euro in fretta e furia ideata dal governo Renzi in prossimità delle ultime elezioni europee; si censura duramente il reddito di cittadinanza e poi si riconosce che tale riforma non è cosa tanto diversa (mentre effettivamente lo è in termini quantitativi e qualitativi) dal reddito di inclusione (REI), frettolosamente approvato dal governo Gentiloni, chiedendone il ripristino.

Deve essere motivo di riflessione il fatto che, nonostante i suoi limiti e le sue discrasie, una legge inedita e coraggiosa in favore dei non abbienti sia avversata con tanta determinazione dall’establishment e dalle forze politiche che ne condividono gli orientamenti. Un’ostilità che non tiene peraltro in alcun conto l’art. 38 della Costituzione per il quale “i lavoratori hanno diritto che siano preveduti e assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita” non solo in conseguenza di infortuni e gravi menomazioni di salute, ma anche in caso di “disoccupazione involontaria”. Una disposizione del nostro Statuto che dovrebbe indurre la CGIL (all’indomani di un importante congresso) e l’intero sindacato a centrare di più la loro attenzione per affrontare il problema della lotta alla povertà in coerenza con la loro storia e guardando alle incognite cui va incontro il lavoro con l’avvento delle nuove tecnologie.

Ma quanti pregiudizi e quante ingiustificate avversioni negli ambienti della sinistra tradizionale! E quanti preconcetti, quante distrazioni e quanti silenzi fra gli intellettuali e nel più avanzato mondo cattolico al quale la duplice fedeltà al Vangelo e alla Costituzione dovrebbe forse suggerire qualche più aperta e partecipata attenzione a una legge additata come pietra dello scandalo dalle politiche liberiste. C’è da chiedersi allora se non siamo di fronte a qualcosa di più profondo di una spropositata reazione rivolta a recuperare i consensi perduti dalle forze in passato maggioritarie e cioè se questa agguerrita “mobilitazione” non sia mossa dall’esigenza di salvaguardare la logica della politica economica liberista da provvedimenti che ne possano intaccare i “dogmi” e la capacità di condizionare le scelte più rilevanti della politica. E a ben guardare la risposta sembra essere affermativa tenuto conto della dovizia dei mezzi impiegati e della larga convergenza di poteri, istituti e interessi impegnati a ostacolare prima e a far fallire poi una scelta che potrebbe mettere in discussione alcuni capisaldi del sistema economico imperante: quello che i poveri possono trarre vantaggio solo dall’accrescimento della opulenza dei ricchi e quello per il quale le esigenze vitali dei lavoratori possono essere in qualche modo tutelate solo attraverso sostegni e incentivi pubblici in favore di grandi imprese.

Il fatto è che la partita decisiva che si sta giocando in Italia, in Europa e nel mondo in uno scenario segnato da emigrazioni di massa che nessuno può fermare, da crisi che impoveriscono i già poveri e da repressioni e resistenze violente, non è certo quella fra europeisti e antieuropeisti (perché in qualche modo europeiste sono tutte le persone di buon senso) e nemmeno quella fra qualche fronte repubblicano di evanescente identità e schieramenti sovranisti carichi di contraddizioni interne. Il conflitto fondamentale è invero quello fra il moderno liberismo che concepisce la vita come una gara nella quale è giusto che vincano i più forti col danno e l’esclusione degli altri e quell’“umanesimo sociale” per il quale solo la solidarietà può tutelare gli interessi generali partendo dalla promozione delle classi sociali più deboli. “Oggi- ha scritto il teologo della liberazione Frei Betto - la lotta non è più di una classe contro l’altra ma di tutta la società contro un modello perverso che fa dell’accumulazione della ricchezza l’unica ragione di vita. La lotta è dell’umanizzazione contro la disumanizzazione, della solidarietà contro l’alienazione, della vita contro la morte”.

Michele Di Schiena

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