Il Segretario Generale Uila Puglia interviene sulla questione della “carenza” di manodopera in agricoltura

Buongiorno: “80 giornate l’anno sono troppo poche. I braccianti chiedono più lavoro”

 

Ecco l’intervento a firma del segretario generale Uila Puglia,  Pietro Buongiorno

“Non è regolarizzando una platea di mezzo milione di irregolari che si risolvono i problemi dello sfruttamento e della schiavitù nel settore agricolo.

Il punto di partenza per una riflessione ampia e circostanziata del problema non può prescindere dal considerare che in Italia il lavoro di bracciante rappresenta uno delle occupazioni più instabili ed incerte. Lo dimostra un dato su tutti: il numero di giornate medie lavorate. Sono state 88 le giornate medie pro-capite dei lavoratori agricoli in Puglia nel 2019; in provincia di Lecce si scende a 78 giornate ciò a causa dell’imperversare di un’altra emergenza che si aggiunge all’emergenza sanitaria in atto: la Xylella. In due anni nel solo Salento sono state bruciate 200 mila giornate e persi 4000 mila posti di lavoro.

Dei 172mila lavoratori agricoli della nostra regione, più di 39mila sono stranieri (così divisi per etnie: Romania n° 10.314 lavoratori; Albania 5.892; Bulgaria 2.987; Marocco 2.567; Senegal 2.020). Di questi 172mila braccianti, quasi il 30% (circa 50mila) non raggiunge la soglia minima di 51 giornate lavorate nel corso dell’anno. Se poi andiamo ad analizzare la situazione dei lavoratori agricoli stranieri regolari della Puglia scopriamo che la percentuale di quelli che lavorano meno di 51 giornate sale al 41% (più di 16mila persone su 39mila regolari). Come dimostra l’indice di giornate pro-capite, sarebbe sufficiente dare più lavoro a chi già è impegnato nel settore per dare un primo ma sostanziale segnale alla mancanza lamentata mancanza di manopera in agricoltura, migliorando la condizione economiche di migliaia di famiglie.

Abbiamo, poi, un esercito di irregolari la cui posizione è oggi oggetto di scontro politico.

Come Uila abbiamo, in questi giorni, più volte precisato che riteniamo che la nostra agricoltura abbia necessità di braccia, ma in particolar modo abbia necessità di dare diritti a queste braccia, che siano italiani o stranieri.

Rispettare i contratti di lavoro e leggi sociali deve essere la normalità.

Crediamo che una prima risposta immediata possa essere data regolarizzando la posizione delle circa 60.000 persone già censite dalle istituzioni e divenute irregolari a causa dell’emergenza sanitaria, in quanto hanno perso il lavoro e non hanno potuto rinnovare il permesso di soggiorno. Una platea che potrebbe così colmare l’urgente carenza di manodopera agricola anche nella Nostra regione.

La regolazione dei clandestini ‘sconosciuti’ richiederebbe una serie di verifiche burocratiche lunghe e dall’esito non certo: in questo momento il Governo dovrebbe dare risposte ed intervenire con risolutezza e velocità e questo potrebbe essere un percorso per il futuro con un programma strutturato.

Sulle regolarizzazioni diciamo che non si può innescare una guerra tra poveri protratta in nome di una battaglia ideologica. Mettendo gli uni contro gli altri. Proprio quei braccianti (Italiani e stranieri che siano) che negli ultimi anni hanno subìto negli anni una perdita corposa di giornate dovrebbero subire la concorrenza da un lato di qualche milione di persone tra cassa-integrati e percettori di reddito di cittadinanza (che potranno cumulare i sostegni sociali ad una retribuzione, pur se stagionale; dall’altro di una platea di 500.000 irregolari, di cui una parte viene già impegnata illegalmente nei campi attraverso le cangianti forme che il caporalato assume”.

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