Uilp: un Patto per la Salute Pubblica – alla ricerca di una realtà sanitaria nazionale
Con l’avvento della pandemia si sono aperti nuovi scenari che non possono essere smentiti
nella visione di un divenire continuo che stiamo vivendo.
Senza dubbio, come ho rilevato più volte nella stampa, non c’è da stare tranquilli: “di pandemie ne arriveranno ancora e sicuramente non passeranno inosservate”. Di certo la Uil pensionati “Stu Appia Antica” non chiede processi in piazza, ma vuole solo verità, in particolare per le case di riposo, che ha subito più vittime per il Covid-19, ma hanno bisogno di un ripensamento del sistema di accreditamento delle strutture e partecipazione delle famiglie.
I pensionati hanno raccolto le firme per una legge nazionale sulla non autosufficienza, ma non hanno ricevuto risposte. Perché? Oppure non si vuole essere in condivisione con le parti sociali?
Che fine ha fatto la Legge regionale per l’invecchiamento attivo e in buona salute? Anche il piano è fermo. Le nostre pretese hanno obiettivi chiari nella certezza per il diritto alla salute pubblica e per una sanità territoriale che sia “nuova normalità” tutta da costruire. Il nuovo Patto per la Salute ha bisogno di una svolta per una sanità territoriale da riscrivere, in mezzo ai sentieri dei vincoli europei e che intende immaginare un futuro addirittura migliore rispetto al passato.
Per lo Stato, di certo, non è possibile essere fallimentari e impreparati. La necessità è di essere concentrati sulla Salute Pubblica e avere una scelta universale da eseguire. Ogni Stato ha agito secondo le proprie linee guida. Insieme, sicuramente, si lavora meglio e si sarebbero salvate più vite umane.
In questa sfida si riconosce il potere della democrazia, come garante del Diritto alla “Salute pubblica” ma essa, purtroppo, è rimasta colpita nella sua egemonia di fronte all’emergenza Covid-19. Sono stati riscontrati errori, debolezze e fallimenti nel Servizio Sanitario Nazionale. Le migliaia di morti, solo nel territorio italiano, hanno certificato le genericità. La verifica, avvezza a ripensare, chiede una “svolta sulla sanità”. Essa è ormai vuota ed estranea anche a se stessa. Ormai vive nell’assurda realtà da rivoltare. È come una “scatola nera”da scalfire, in attesa di un nuovo modello di sanità universale da ricucire in linea verso una politica morale, innovativa, equa e rispettosa dei bisogni servili, luce della luce per l’individuo, la sua collettività e per tutti.
La storia la fa risalire agli anni successivi della seconda guerra mondiale nel periodo della tubercolosi. Il diritto di cura si configurava nel Progetto di riforma dell’ordinamento sanitario del 2 settembre 1945, ne garantiva i servizi socio-sanitari al benessere di cura per tutti di là dal reddito e dalle condizioni sociali solo a un carattere di salute universalistico e non privatista, s’ispirava a un carattere di salute universalistico e non privatista della “liberazione dal bisogno”, sancito nel 1941 dalla Carta Atlantica, e di “sicurezza sociale”, fondata sulla partecipazione attiva dei cittadini.
Il depotenziamento, secondo l’acronimo OMS – Organizzazione Mondiale della Salute, è dovuto alle misure deleterie delle politiche di rigore che hanno fatto “cassa da macello” depennando la spesa pubblica sanitaria e il welfare dal 1997 al 2013.
Questa politica scellerata ha dimezzato negli ospedali i posti letto per i casi acuti e la terapia intensiva e deprezzato il territorio portandolo perfino agli ultimi posti della classifica europea.
Si è passati da 530.000 posti letto nel 1981 a meno di 3,2 posti letto per 1.000 abitanti oggi, una situazione deplorevole rispetto alla media del 4,7 dei paesi Ocse, mentre a Brindisi è del 2,8 pl per mille abitanti.
La politica di cassa ha trasfigurato la sanità, metamorfizzando le sue origini in chiusure di ospedali e in aperture di cliniche private a danno della sua storia. L’evidenza obbliga tutti noi a dare una lettura al vissuto del Servizio Sanitario Nazionale nel considerare la nobiltà della legge 833 del dicembre 1978. Essa è una pietra miliare e un vanto di avanguardia non solo dell’Italia assumendone carattere mondiale: istituisce il Servizio Sanitario Nazionale (Ssn) e sostituisce le mutue prima esistenti.
Il riferimento è all’articolo 32, ma in particolare all’articolo 3 della Costituzione nel considerare la salute “principio fondamentale del diritto universale” e nel dare alla Repubblica, carattere di ruolo attivo e non di puro arbitrio nel dinamismo sociale.
Il Piano sanitario nazionale, inoltre, creava le Ussl – unità socio-sanitarie locali, e sul comportamento delle unità stabiliva obiettivi da programmare e ne affidava il ruolo di responsabilità e controllo ai Comuni e ai sindaci.
Di fronte al benessere degli anni novanta spunta il vuoto attraverso l’interesse del privato. Questo si manifesta nella legge 502/92, la quale avvia la cultura dell’Azienda ospedaliera in Asl (aziende sanitarie locali) e in Ao (Azienda ospedaliera); poi si avvalora con il “Decreto Bindi”, D.L. 229 del 1999 che con la sua riforma politica di sostegno, dà credito ai medici, nel passaggio da dipendenti pubblici, a esercitare l’intramoenia e, quindi, la libera professione all’interno dell’ospedale.
Un danno che ha messo in discussione la morale politica del diritto alla salute, garantito dalla Costituzione (artt. 3, 32 e 41) nel passaggio da un sistema di sanità nazionale pubblico, gratuito, equo e comprensivo di prevenzione e di riabilitazione a quello d’interesse privatistico.
Il riscontro è in un diritto di Sanità Pubblica indebolito non solo dal sistema corruttivo e clientelare, ma anche dalle corporazioni mediche, e dall’approvazione del nuovo titolo V della costituzione (2001) che ha affidato la Sanità alle Regioni oltre, come già detto, all’introduzione della libera professione intramoenia e il sistema lucro della sanità privata sostenuta con il denaro pubblico.
Il Patto per la salute (accordo Stato-Regioni del 2014) penalizza le categorie più deboli: anziani cronici, malati mentali (adulti ed età evolutiva) disabili, minori, tossicodipendenti (art. 6 del Patto), invece di affidarsi al concetto di diritto come condizione di benessere fisico e psichico e di rimanere sani in vita.
La svolta è nel diritto di avere una “Sanità Pubblica”, moralmente e politicamente ricostruita, che tenga conto della qualità dei servizi erogati e vada oltre la pura assistenza, sensibile ai temi dei bisogni per gli ammalati e responsivo degli stessi e non in politiche scellerate come quelle lombarde dell’autonomia differenziata, ormai sotto gli occhi di tutti su quanto è successo, responsabili di trasferire nelle RSA, Residenze Sanitarie Assistenziali, i malati di Coronavirus.
Lo abbiamo visto nella verifica, riscontrata del Covid-19, dove la sanità, avendo cancellato la formazione e la ricerca, ha piegato la scienza a finalità di “valorizzazione biologica” per fare posto all’apertura di nuove cliniche consegnando il 40% della spesa sanitaria corrente al privato.
Le nostre politiche hanno bisogno di una svolta, lo insegna la storia del vaiolo, attraverso la cultura della scienza e la collaborazione tra gli Stati anche in base alla Dichiarazione dei Diritti Universali. Il rischio, altrimenti, è nell’anziano o nella persona fragile che vediamo morire nelle case di riposo o nel “focolare” a Brindisi.
La storia ci rammenta le sfide vinte come quella dell’8 maggio del 1980 nella quale la 33esima Assemblea mondiale della sanità valorizzava il diritto della “Salute Pubblica” annunciando in questa frase “Il mondo e i suoi popoli sono liberi dal vaiolo”, la definitiva sconfitta della malattia di origine virale in circolazione da 3 mila anni che aveva ucciso, solo nel XX secolo, 300 milioni di persone.
L’idea contro il malessere universale è in una democrazia moderna, solidale e partecipata, pronta alla promozione di una sanità universale che parta dalla comunità e cerchi insieme soluzioni appropriate e sinergiche nella scienza della medicina territoriale, che si rispecchia nella ricerca, com’è suggerito dalla Dichiarazione dei Diritti Universali dell’uomo e del cittadino[1].
L’aspetto sociale è prioritario come quello della cura. In essi si riconosce il paziente come “essere persona e collettività”, che è “libera ed eguale in dignità e nei diritti garantiti”, bisognosa della “memoria del vissuto” per vivere lo sviluppo del presente e costruire il futuro sul “principio di eguaglianza formale e di eguaglianza sostanziale” (art.3 Cost.).
La salute è un diritto, “non è una merce come la sanità non è un’azienda”. Gli ultimi anni hanno evidenziato il potenziamento di una sanità “Azienda” e del diritto alla Salute Pubblica a “Merce”. Questo modello viola i principi costituzionali, invece di porre la salute del paziente ammalato a rango di un diritto fondamentale e inalienabile per l’individuo. Le esigenze di cura chiedono prevenzione e risposte anche alle sfide pandemiche. Queste sono ormai entrate nella sua quotidianità in particolare nella riaffermazione del primato alla salute pubblica rispetto agli interessi economici dei privati e al potenziamento dell’assistenza della popolazione anziana sia sui territori sia nelle RSA e all’abolizione delle Aziende Sanitarie locali a fronte del ripristino dell’Unità Sanitarie locali.
Anche il Covid-19 può essere sconfitto attraverso l’apporto della scienza e della solidarietà internazionale. Il mondo ha bisogno dell’universalità e condivisione della scienza, la cui visione è nella solidarietà e sussidiarietà. La “Salute Pubblica” ha bisogno di una “Sanità universale” aperta a un tavolo complessivo d’insieme.
Il vero problema è: dove sono i grandi uomini politici e gli intellettuali di un tempo? Abbiamo fatto l’Europa, ma non siamo riusciti a fare gli europei. Oggi abbiamo bisogno di un Diritto per la Salute a carattere universale. I grandi uomini politici sono pronti a interloquire insieme? Oppure si lavora solo su interessi limitati, ma la scoperta, sicuramente, arriverà in ritardo.
Serve una leadership: le masse sono motivate solo se vedono il problema, ma bisogna essere innovativi per scovare le radici del problema e realizzare la “svolta” per vivere il benessere comune, ridare salute e spirito innovativo per ritornare a commuoversi e ridere insieme come si faceva “un tempo” nelle sale cinematografiche vedendo Totò, Chaplin, Alberto Sordi, Vittorio Gassman o gli indimenticabili film di Zeffirelli e di De Sica.
Le case della Salute devono essere connettive di buone pratiche comunitarie, un Caregiver, cioè un modello che possa mettere al centro l’ammalato e i suoi problemi clinici in modo creativo.
Occorre “testare, tracciare e trattare” evitando di far galoppare il virus anche nella fase decrescente. Se si gestisce bene l’emergenza e si evita la catastrofe, la percezione è che si torni piano piano alla normalità.
La politica, però, non ascolta se si parla di pianificazione. Nessuno vuole assumersi la responsabilità di chiudere l’economia a fronte di un’epidemia del contagio invisibile che ha causato focolai e vittime superiori alla Sars del 2008 in una velocità istantanea e simile a una guerra mondiale, che non ha lasciato pause di riflessione ma fiocchi neri in casa senza una stretta di mano e un abbraccio forte.
Ora in un tempo di riforme/rivoluzioni, ci si chiede di avviare percorsi dinamici sulla prevenzione e sul rafforzamento dei Livelli Essenziali di Assistenza.
Il sindacato è stato ed è tuttora per la visione globale del processo produttivo, per la prevenzione della salute e per la rivalutazione dei processi e l’investimento in soluzioni impiantistiche che possano tutelare l’ambiente, la società e la salute della collettività, a difesa del lavoro pulito e sicuro dentro e fuori la fabbrica a protezione dell’esistente e a garanzia del lavoro e della salute. Il sindacato crede nel Diritto alla Salute su una Sanità Pubblica, universale, gratuita e partecipata non concorrenziale tra pubblico e privato con un ruolo che sia“garante” dei diritti costituzionali.
In questa e in tutte le battaglie, la sfida deve essere orientativa verso la Salute pubblica senza la logica del profitto, ma in base ai bisogni dell’individuo e la capacità di fornire servizi di qualità.
Il sindacato è per una svolta nella sanità territoriale che sia diritto a invecchiare a casa propria. Il ruolo del sindacato è di rivendicare, in questa nuova fase post-emergenziale, un ruolo propositivo, quali soggetti attivi per la ripartenza. Abbiamo la necessità di riequilibrare l’assistenza sanitaria.
Il sindacato crede nel Diritto alla Salute su una Sanità Pubblica, universale, gratuita e partecipata non concorrenziale tra pubblico e privato con un ruolo che sia“garante” dei diritti costituzionali.
In questa e in tutte le battaglie, la sfida deve essere orientativa verso la Salute pubblica senza la logica del profitto, ma in base ai bisogni dell’individuo e la capacità di fornire servizi di qualità.
Il segretario Tindaro Giunta
[1] La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo contempla anche i diritti umani fondamentali in materia sociale ed economica. Eccone l’elenco: il diritto alla sicurezza sociale e di ottenere la realizzazione dei diritti economici, sociali e culturali indispensabili alla sua dignità e al libero sviluppo della propria personalità (articolo 22);